TESTO Il passaggio di un cuscino...
don Angelo Casati Sulla soglia
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SS. Trinità (Anno C) (16/06/2019)
Vangelo: Gv 14,21-26
«21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Dopo la Pentecoste che ci ha raccontato come il mistero di Dio - la sua vita, il suo amore - ora debordi - deborda nel mondo - ecco una domenica, questa della santissima Trinità che sembra quasi fare da soglia da cui contemplare il mistero di Dio che noi chiamiamo Trinità. E per prima cosa vi devo confessare che, ogni volta che aggiungo un anno a questa mia tarda età, la sensazione che provo è quella di sentirmi piccolo, sempre più piccolo a balbettare qualcosa su Dio. E mi sembrerebbe triste - anche questo voglio dirvi - ridurmi a numeri: unità, trinità.
Confesso la fatica nel far mie le parole del prefazio di questa messa. Posso accettarle solo se si ritraggono dietro le quinte e mi lasciano a pensare che Dio non è solitudine, che è amore tra volti: il Padre che ci ha creati, il Figlio morto e risorto per noi e lo Spirito che abita noi e la terra. Dobbiamo infatti riconoscere che Gesù non ha mai usato la parola "trinità", lui che Dio ce lo ha raccontato con la sua vita. Ebbene mentre il numero, per come sono fatto io, lo sento gelido, mi incanto al racconto di Gesù. Sentite: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola, il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". E ancora: "...ma il Paraclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che vi ho detto".
Parole colme di calore, di presenze: un abitare dentro. Festa della Trinità, forse potremmo dire festa dell'amore. Dell'amore che è in Dio e che è in noi, dal momento che noi siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Un amore che fa del Padre e del Figlio e dello Spirito santo una cosa sola, perché l'amore ha questo di bello: che fa una cosa sola di coloro che si amano. Ma, badate, senza stemperare d'un minimo la bellezza dei volti. Perché se un amore stempera il volto dell'altro è un falso in amore. Voi mi avete capito, non vado per numeri, vado per immagini. E una che mi ha colpito -perché l'ho trovata nella lettura del libro della Genesi e poi nelle parole del vangelo di Giovanni - è l'immagine dell'ospitalità. Perdonate starei per dire che c'è così tanta ospitalità in Dio che poi, quando l'amore lo spinge a uscire, crea ospitalità.
Sentite: "Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Dio mette tenda. In noi. E tenda chiama tenda. E questa mattina ancora una volta affascinati dal racconto della tenda di Abramo. Tenda di Abramo ovvero tenda dell'ospitalità. Lui apre la tenda a forestieri e si trova ad aver ospitato Dio. Qualcuno di noi - lo immagino - ha negli occhi icone inenarrabili dove vengono ritratti i tre misteriosi personaggi - sono tre o sono uno? -alla tavola presso le querce di Mamre, diventati come una icona della Trinità. Qualcuno di noi li ricorda. Ma tutti noi siamo rimasti ancora una volta stupiti per l'eleganza dell'ospitalità alla querce di Mamre. Con un Abramo che supplica i tre perché rimangano.
I forestieri non sono un peso, sono una grazia, sono un benedizione: "appena li vide corse loro incontro all'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra dicendo: Mio Signore se ho trovato grazia ai tuoi occhi non passare oltre senza fermarti dal tuo servo". Certo ci stupisce la magnanimità dei preparativi, la festa. Ma tutto nasce da uno sguardo sull'altro, sugli altri. Non ti conosco, ma c'è qualcosa di sacro in te: "Si prostrò sino a terra". Penso che al di là delle cose che possiamo radunare per l'altro, da radunare sia prima di tutto questo sguardo. E l'ospitalità diventa tenda di Dio, luogo della Trinità. Una ospitalità della mente, del cuore. E poi del gesto. Tu ospiti e sei ospitato.
Voi mi perdonerete se non entro in disquisizioni. Vorrei invitarvi a pensare a qualcosa che assomigli a quella tenda di Abramo, perché questo è il modo più concreto per adorare il mistero nascosto di Dio. Provate a riandare nei vostri ricordi. Io vorrei condividere con voi uno di quei fatti davanti ai quali ti viene spontaneo dire: "lì c'era Dio". E' in una lettera di Annalena Tonelli. Annalena è la volontaria laica, impegnata in Somalia, assassinata il 5 ottobre 2003, mentre rientrava in casa, dopo la giornata trascorsa in ospedale. In una sua lettera racconta una notte per lei indimenticabile. Scrive: "C'è da perdere la testa a ricordare".
E prosegue: "Lei era una giovane poliomielitica che moriva di tubercolosi... non aveva voluto curarsi, lo stigma... ed ora moriva... io insegnavo alla scuola e andavo a trovarla... ci capivamo con il linguaggio del cuore... io non capivo nessuna delle sue parole e non tentavo di dirle nulla, tanto lei non mi avrebbe capita... lei aveva due gambine flaccide, sottili come stecchini, un corpo emaciato da far paura... era piccola, un pugnettino di ossa, un viso bello, espressivo, consapevole, portava con dignità il velo nero delle donne sposate... secondo i dettami della sua tribù era stata sposata e subito divorziata... ma le era stato donato lo status di donna sposata e lei lo portava con dignità e orgoglio. Quando venne il momento del passaggio mi chiese... non so come... di rimanere con lei quella notte... la cameretta asfittica e lurida... indimenticabile nella memoria un reparto dell'ospedale lazzaretto di Wajir... le lenzuola nere... lei che tossiva incessantemente... io desideravo solo rimanere con lei e rimasi... seduta sul suo letto sempre più sfinita... pregavo, la sostenevo, la guardavo negli occhi, l'amavo con tenerezza infinita... il caldo era sfibrante, lei respirava sempre più a fatica... ad un certo punto crollai e lei si tirò su, si tolse il cuscino lurido da sotto la testa affranta e me lo offerse... spirò verso le cinque del mattino... io le tenevo la mano, le sorridevo alla luce fioca di una lampada a petrolio... DIO c'è... nel nome di DIO onnipotente e misericordioso... sia fatta la volontà di DIO. Forse sono alla fine della vita. Ricordo il passato... e vorrei solo passare quello che rimane su questa terra stringendo la mano di uno che muore e sorridendogli teneramente".
Chiudo, ogni mia altra parola in aggiunta sarebbe dissacrante. La tenda di Abramo in pieno sole, la cameretta lurida di un ospedale africano, la storia del cuscino che va dall'una all'altra. Mi sembra di scorgere come attraverso una fessura la Trinità. I miei occhi sono su Annalena che stringe tenera una mano, su quel pugnettino di ossa, un viso bello, che riesce a sfilare e a donarle un cuscino. Al fioco lume di una lampada. Ora faccio silenzio, gli occhi sono umidi.