TESTO Ascoltare per credere
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (12/05/2019)
Vangelo: Gv 21,1-19
«27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».
Nella Festa della Dedicazione i Giudei incontrano Gesù e lo interrogano a bruciapelo, più per ipocrisia che per soddisfare un desiderio legittimo di verità. Infatti gli domandano: “Fino a quando terrai il nostro animo sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente.” In realtà avrebbero dovuto comprendere essi stessi che egli è il vero Messia (Cristo) per i continui insegnamenti di verità che aveva impartito e anche per le opere di misericordia che attestavano in ogni caso l'identità di Dio Padre, che lui compiva soprattutto a beneficio degli ultimi, dei poveri, dei derelitti. Le opere di cui si parla del resto avevano giovato in un modo o nell'altro anche agli stessi increduli Giudei, se non altro perché avrebbero potuto capire che determinati fenomeni sono di provenienza divina. E invece si mostrano refrattari sia alle parole sia alle opere di Gesù. Il motivo fondamentale è che essi “non sono sue pecore.”
Questa espressione, come osserva Cipriani, potrebbe rimandare all'idea della predestinazione, per la quale Dio avrebbe destinato una parte dell'umanità alla comunione perenne con lui e per ciò stesso alla salvezza e la parte restante al peccato e alla dannazione. Sembrerebbe che Gesù, affermando questa distinzione implicita fra coloro che saranno salvati (le sue pecore) e coloro che si perdono, giustificherebbe questa posizione.
In realtà tutti quanti siamo destinati alla salvezza e ogni uomo per vocazione è orientato verso Dio, in questa vita e in quella futura. Occorre tuttavia che ci si decida risolutamente ad aderire alla parola di Cristo, che con determinazione ci si disponga ad accogliere il suo messaggio e con perseveranza a perseverare nella sua sequela attiva. Le “pecore” sono coloro che ascoltano la parola di Gesù e che si mettono al suo seguito senza riserve, che reagiscono con fiducia disinvolta alle sue sollecitazioni (come appunto fanno le pecore orientate dal loro pastore), che non obiettano alla consistenza dei suoi insegnamenti. Tutti possiamo essere “pecore” perché la redenzione e la salvezza sono destinate universalmente a tutti. Scopo della Chiesa, istituita da Cristo sul fondamento degli apostoli è appunto rendersi presenza sacramentale di colui che “pasce” il popolo di Dio, rendendo discepoli tuti gli uomini di tutte le nazioni nel ministero degli apostoli e dei loro successori. Responsabilità personale di coloro che ricevono l'annuncio è quella di ascoltare, assimilare, credere e seguire, nell'atteggiamento effettivo e reale delle pecore. Gesù infatti continua: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco e mi seguono”.
Come potrà invece usufruire dei benefici di salvezza chi si ostina a rifiutare l'annuncio di Cristo, omettendo di mostrarsi docile e remissivo, mostrandosi irriducibile nel non credere perfino di fronte all'evidenza?
Tutti siamo chiamati ad essere pecore di Gesù, perché Gesù non si è risparmiato per nessuno. Ha dato se stesso nel suo sacrificio sulla croce che ha raccolto tutti i popoli dispersi, riunendo lontani e vicini come in una sola persona e agevolando in tutti la vita e la salvezza. A noi è chiesto semplicemente di credere in lui, di aderire e di vivere senza esitazione. Ci viene chiesta una fede forte e radicata nell'umiltà, che ci faccia comprendere e far nostro l'amore inverosimile di chi ci chiama a sé dopo essersi sacrificato risolutamente e dopo aver dato al vita per noi.
Cristo infatti non si mostra pastore se non in conseguenza del suo essere stato “agnello”, vittima immolata il cui sangue sparso ci ha redenti: “L'agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.”(Ap 7,. 16 - 17). Questo fonda l'attendibilità delle affermazioni di Gesù intorno al ruolo di pastore che attribuisce a se stesso: non esercita un dominio gratuito e incondizionato che prorompe dall'alto al solo scopo di imporsi e di sottomettere, ma un ruolo di guida sollecita e paziente che gli deriva nient'altro che dall'amore con cui ha dato se stesso se nza riserve, concedendosi al sacrificio di immolazione. E' pastore per il fatto che in primo luogo vuole essere agnello. E per l'appunto la salvezza appartiene a Dio seduto sul trono e all'Agnello (Ap 7, 10).
Niente è più convincente dell'amore manifestato per mezzo del sacrificio e appunto il sacrificio consumato da Cristo per tutti noi è un incentivo ad omettere ogni resistenza e a credere senza riserve e a testimoniare.
Nell'esperienza degli apostoli (I Lettura At 13) si evince l'amara esperienza della reticenza continua dei Giudei che si mostrano chiusi e refrattari a Cristo e al suo messaggio anche quando questi agisce nella forma invisibile per mezzo di Paolo e di Barnaba, che senza riserve si rendono latori del suo annuncio incontrando la medesima resistenza dei loro interlocutori. Ciò tuttavia non spegne l'azione dello Spirito e non scoraggia il ministero degli apostoli, perché essi continuano imperterriti e risoluti la loro missione, senza rinnegare la loro vocazione divina. Piuttosto, se gli ostinati Giudei si rifiutano di credere, essi si rivolgeranno ai pagani estendendo così la loro opera ad altri popoli appunto perché la salvezza non è delimitata né circoscritta ma è donata a chiunque crede. Come affermerà sempre Paolo in un altro contesto, la Parola di Dio non è incatenata (2 Tm 2, 10) e non si scoraggia alle ripulse e alle resistenze del cuori induriti. Se in alcuni luoghi è destinata a non portare frutto a causa dell'ostinazione dell'uomo, in altri produce il copioso dono di far comprendere che in essa Cristo è veramente il pastore che ha premura delle sue pecorelle, non importa chi siano, basta che mostrino docilità nell'ascoltarlo e nel seguirlo.
Disporsi all'ascolto e alla sequela produce infatti che si sperimentino i benefici dello stesso Cristo “pastore” che in quanto “agnello” non può non guidarci e sostenerci adeguatamente.
Gesù che ha condiviso le nostre stesse sofferenze addossandosi gli stessi dolori e al contempo condividendo tutte le nostre vicende, come pastore non può che comprenderci e indirizzarci verso sentieri adeguati per i nostri itinerari di vita; ci conduce verso il conseguimento delle mete e degli obiettivi a noi consoni orientandoci nei criteri di scelta vocazionale. E soprattutto conducendo ciascuno di noi alla meta universale della salvezza destinata a chiunque crede.