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TESTO Che rumore fanno i miei passi?

don Angelo Casati   Sulla soglia

III domenica T. Pasqua (Anno C) (05/05/2019)

Vangelo: Gv 8,12-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

Permettete che io vi legga i versetti che stanno a conclusione di queste parole di Gesù che ora abbiamo ascoltato. Raccontano il contesto: "Gesù pronunciò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò perché non era ancora venuta la sua ora". Sono versetti che dicono il clima che si respirava in quei giorni intorno a Gesù. Già i capi religiosi avevano mandato delle guardie per arrestarlo, ma il tentativo era andato buco. Questo non è dunque un dibattito tra credenti e non credenti: siamo nel tempio, luogo sacro.

Ed erano giorni a conclusione di una grande festa, la festa della Capanne, festa che vedeva il tempio illuminarsi per l'accensione di grandi candelabri e bacini di luce. Si faceva memoria del cammino nel deserto, dove Dio era stato luce nel cammino: si raccontava di una colonna di fuoco che li aveva accompagnati perché potessero viaggiare di giorno e di notte. Dio luce. E Gesù a dire che è lui la luce del mondo, riflesso della luce del Padre, ma una luce che dà vita, non una luce che soffoca la vita. Il testo annota che Gesù sta parlando nel luogo del tesoro, là dove si depositavamo offerte di ogni genere. Con il rischio di una religione ridotta a mercato. Mercato e potere. Il tempio illuminato che di più non si poteva, ma la religione senza luce, perché se ad abitare la religione non è il cuore, la religione, anche se le scenografie sono imponenti, è buio pesto.

Gesù non è per una religione che consacri il potere di alcuni, ma per una religione che consacri la dignità di ognuno. Certo fa impressione questa incomunicabilità, che abbiamo ritrovato anche nella prima lettura: Paolo è ai domiciliari a Roma, riceve notabili dei Giudei, parla loro della speranza di Israele che ha preso un volto in Gesù di Nazaret, alcuni credono, altri no. E c'è dissenso tra di loro. In nome della fede, che dovrebbe portare ragioni di pace e invece porta contrapposizioni. E Paolo cita un passo del profeta Isaia, che dà come una ragione dell'incomunicabilità: è una questione di cuore. Non è una questione di testa, ma di cuore. E' scritto: "Il cuore di questo popolo è diventato insensibile". Quando il cuore diventa insensibile, la religione, qualsiasi religione, si pietrifica, nascono i fondamentalismi. C'è lo scontro con il diverso: succedeva ai tempi di Gesù, succede anche oggi.

E' una questione di cuore. Nelle parole di Isaia c'è un'espressione che mi ha fatto molto pensare: "Sono diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi e non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore". Capite: si comprende "con il cuore". Non sarà - me lo chiedo - che abbiamo dimenticato questa illuminazione: che si comprende e ci si comprende con il cuore? E non sarà che sia proprio questo alle radici di tante troppe incomprensioni, contrapposizioni: l'assenza del cuore?

Questo faceva la differenza tra quei capi dei Giudei e Gesù. Loro tutta testa, prescrizioni e potere, Gesù il cuore, il profeta che annunciava, prima ancora che con le parole, con i gesti, un Dio che fa sorgere il suo sole su tutti e fa piovere sul campo di tutti. Il Dio che non schiaccia, ma solleva. Una religione non armata, ma disarmata, un cuore non armato, ma disarmato. Un cuore armato, se ci pensiamo, è un non senso. E' la morte del cuore. Conta il cuore, conta la relazione. Mi è ritornato alla mente un passo bellissimo de "Il Piccolo Principe", là dove la volpe parla di addomesticare, che nel suo linguaggio significa tessere relazioni.

E dice al Piccolo Principe: "Se tu mi addomestichi, nella mia vita ci sarà un sole. Riconoscerò un rumore di passi che sarà differente da qualsiasi altro. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra, il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica". Voi mi capite: la differenza tra luce e tenebre è la differenza tra i passi che fanno nascondere sotto terra e i passi che ti fanno uscire dalla tana. Oggi siamo chiamati a discernere: quali sono le parole, i gesti, le scelte, anche religiose e politiche, che fanno nascondere sotto terra e quali invece quelli che ti incoraggiano a uscire dalla tana. Sarebbe stato molto bello se oggi a parlarvi non fossi stato qui io, ma una piccola sorella di Gesù, suor Franca, che ho incontrato in questi giorni.

Pensate cinquant'anni passati nel mondo arabo. A far che? Non a far proselitismo, a vivere accanto, silenziosamente, donando lo sguardo di Gesù. E mi parlava del sacramento dell'incontro. E di come sia fecondo il sacramento dell'incontro, come possa far sì che ci si conosca, che si riconoscano i valori di una fede e di un'altra, e come si possa pregare insieme l'unico Dio. Mi ricordava i sette monaci trappisti uccisi in Algeria nel 1996, ora beatificati. Il loro monastero, sotto l'impulso del priore, Frère Christian de Cherrgè, era diventato un sacramento dell'incontro tra cristiani e musulmani.

Ricordo una lettera al vescovo, mons. Henri Teissier, di una donna musulmana, scrisse: "Dopo la tragedia e il sacrifico vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore, di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian ad alta voce e con commozione ai miei figli, perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte... Nostro compito è innaffiare i "semi" affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po' ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi". E'una questione di cuore. Giovedì pomeriggio ascoltavo la piccola sorella Franca: i suoi mi sembravano passi che fanno uscire dalla tana, in giorni in cui si sentono passi cadenzati che mettono paura e ti fanno rintanare.

Voi mi avete capito: il sacramento dell'incontro, un rumore di passi che fa uscire dalla tana. E i miei passi? Che rumore fanno i miei passi?

 

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