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TESTO La differenza: mani che accarezzano gli occhi

don Angelo Casati   Sulla soglia

IV domenica di Quaresima (anno C) (31/03/2019)

Vangelo: Gv 9,1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Pensieri in uscita, uscita libera, per accensioni, senza concatenazioni - concatenazione è parola che sa di catene - pensieri in uscita, così i miei oggi. Così forse un po' sempre. E non sapere dove sostare: dentro o fuori? E subito a dirmi "fuori", sì un desiderio di stare fuori. Perché la bellezza, in questo racconto del cieco nato, è fuori, all'aperto. Fuori mi incanto, dentro mi rattristo. Il nostro brano di vangelo segue senza cesure quello della scorsa domenica e segna il dentro e il fuori. Risentiamo i versetti che fanno quasi da cerniera: "Allora raccolsero pietre per gettarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. Passando vide un uomo cieco dalla nascita".

E' fuori, è per le strade, all'aria libera e aperta. Fuori da un asfissiante dibattito teologico. Dobbiamo però anche ammettere che nemmeno i discepoli erano totalmente fuori: non si erano ancora scrollata di dosso quella malattia di fare disquisizioni, dichiarazioni. Ce la portiamo addosso, quasi fosse incollata alla nostra pelle. E infatti che cosa avviene? Davanti a un cieco si mettono a dibattere se è per colpa sua o dei suoi genitori che sia nato cieco. E guardate dove arrivano i nostri sofismi religiosi: ma come potrebbe essere per colpa sua, se uno è nato così? Gesù taglia corto: "Né lui né i suoi genitori...". Come dicesse: ma basta! Ma non vi riesce proprio altro che discettare di peccato? Ma dove vi portano questi discorsi? Ma che cosa è per voi questo cieco? E' un caso teologico o è una persona?

Guardate che questa è una malattia mortale, mortale e mortifera, ancora in piena esplosione, oggi. Noi parliamo, asetticamente, e spesso sprezzantemente, di categorie, come se non avessimo davanti un uomo, una donna, quell'uomo, quella donna, senza il pur minimo sospetto che su quel viso è incisa una storia. Come incisa era una storia negli occhi di quel cieco nato. Ma ci pensi che cosa è stata la sua via? E lui adesso per di più si deve anche sorbire parole, parole, discorsi. "Basta parole!" - sembra dire Gesù - "Facciamo, operiamo. Finché è giorno operiamo. Finché c'è luce, finché sono in vita". Il suo anelito più profondo è - lo abbiamo sentito - fare le opere che fa il padre suo. Fare gesti che manifestino la passione e il modo di operare di Dio, lo splendore della sua gloria. Che non ha niente a che vedere con quel vuoto di cuore che ha trovato nel tempio e, in misura, se pure minore, nei discepoli.

Quasi dicesse: "Bando ad arroganze e meschinità, mettiamoci all'opera. E siano, le mie, le opere del Padre. Che in principio creò la luce e la annidò negli occhi del primo uomo e della prima donna. E così il racconto si apre alla bellezza, due squarci di bellezza all'inizio e alla fine, quando in scena sono Gesù e il cieco. Nella parte centrale del racconto ci sta purtroppo lo squallore e la cecità dell'inquisizione. Che non riesce comunque a sporcare la bellezza dell'incontro tra Gesù e il cieco. E guardiamo Gesù. Vi inviterei a guardare i suoi gesti al rallentatore: lo vediamo chinarsi, sputare per terra, fare con la saliva del fango e spalmarlo sugli occhi del cieco. Sentì le dita, il cieco, sentì, forse per la prima volta, la diversità. L'enorme diversità tra le parole e le dita, tra le dichiarazioni e i gesti: un rabbi diverso, uno che si china, uno che ti accarezza gli occhi. A uno che si china per te, a uno che ti accarezza gli occhi, puoi anche credere, puoi anche aderire all'invito: "Va' a lavarti alla piscina di Siloe".

Che cosa alla fin fine ci muove? Le parole, vuote di colore, di calore? O le mani sulla pelle, le dita che accarezzano la pelle? Forse dovremmo chiedercelo più spesso. La spalmatura tenera del fango sugli occhi diventa nel racconto quasi un rito, il rito della luce, un sacramento che parte da mani che accarezzano. Tornato dalla piscina di Siloe il cieco sarà sotto assedio. Ma gli si è annidata come una luce dentro, e non solo negli occhi, e quella luce lo fa indipendente, libero, resistente ai sofismi, non imbrigliabile: splende, sconcertando, la sua libertà. Resiste con la fierezza degli umili agli uomini che pontificano dall'alto. Anche questo un frutto della fede. Se diventiamo gregari, vuol dire che non abbiamo luce negli occhi.

Anche oggi, come sempre, è in atto il tentativo di rubarci la luce, la luce della coscienza, dell'intelligenza, dell'evidenza, per farci succubi, arresi, gregari. Abbiamo bisogno di luce negli occhi per resistere alla grande macchinazione dell'inganno, della menzogna, della manipolazione. E c'è luce alla fine del racconto, squarcio di luce purissima. Pensate la tenerezza di Gesù che viene a sapere che il "già cieco" l'avevano buttato fuori dalla sinagoga e va a cercarlo. Tenero. Chissà - mi sono chiesto - se lungo i secoli Gesù sarà andato a cercare tutti quelli che dalle varie inquisizioni sono stati spietatamente espulsi. Dentro il cuore mi sono detto che sì, sarà andato a cercarli, per rincuorarli, per sostenerli. Lo va a cercare. Bellissimo, pensate, lui, il "già cieco", non l'aveva ancora visto in faccia.

Di lui aveva sentito solo parole, che mettevano in moto fiducia, di lui aveva conosciuto il palmo delle sue mani, il modo con cui gli aveva spalmato il fango sugli occhi. Nella sinagoga aveva poi visto volti inquietanti, volti pallidi. Ma lui, il rabbi del fango, che volto aveva? Lo incrocia. Non è più un senza volto: immaginiamo i suoi occhi che si perdono nel volto di Gesù. Ma c'è un volto piu segreto di quel rabbi e Gesù glielo affaccia, quasi in desiderio che il cieco lo veda anche dentro: "Tu credi nel figlio dell'uomo?". "E chi è Signore, perché io creda in lui?". "Lo hai visto, è colui che parla con te". Non so se ricordate, è la stessa riposta di Gesù alla samaritana che allude al futuro Messia: "E colui che parla con te".

Sono cessate tutte le mediazioni, tra noi e Dio. Che bello! Un Dio che parla con te, non importa se a un pozzo o lungo la strada. Un Dio che parla con te. "Si parlano" si diceva una volta di due che si erano innamorati. Parlarsi, guardandosi negli occhi, finalmente aperti, nello spazio di una strada fa la differenza con il parlarsi, con occhi accecati, nello spazio chiuso del tempio. Fede è credere in un Dio che ti apre gli occhi e parla con te. Non so se è una sottigliezza: oggi c'è tanto "parlare di", mi sembra meno "parlare con". Meno parlarsi, meno raccontarsi.

Parlare "con" te, guardandoti negli occhi, è la differenza che fa Gesù, la bellezza che fa Gesù. In cui crediamo.

 

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