TESTO Raminghi ed erranti, ma guidati
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
I Domenica di Quaresima (Anno C) (10/03/2019)
Vangelo: Lc 4,1-13
1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».
5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». 8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
affinché essi ti custodiscano;
11e anche:
Essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
“Mio padre era un Arameo errante”. Con questa espressione Mosè introduce una professione di fede che consegna al popolo d'Israele e che è evocativa di un passato lontano per cui adesso il popolo deve rendere grazie al Signore. Arameo errante era infatti Abramo, trovandosi ad uscire dalla propria terra per diventare nomade, peregrino, con la sola fiducia che Dio lo avrebbe condotto in un luogo ben preciso. Ramingo, vagava quindi senza una meta e sarà poi Dio stesso a guidare il suo cammino verso la terra di Canaan. Come pure Dio guiderà la sua discendenza nelle vicende storiche della dimora in Egitto, della liberazione dalla schiavitù del Faraone, il rientro in patria... Insomma in questa retrospezione con cui il popolo è invitato a professare la propria fede, emerge un dato di fatto culminante: solo al Signore si devono i benefici e soltanto a lui si deve che Abramo (e poi Giacobbe e Isacco) abbiano trovato una stabile dimora. Mentre su invito di Mosè gli Ebrei professano questa fede, sono chiamati a offrire le primizie dei raccolti, considerando ancora una volta come anche sui prodotti della terra Dio è provvidente. Essi infatti sono considerati immeritato dono divino, come un dono sono anche la vita e la libertà.
La patria, la casa, la terra da coltivare, i pozzi da cui attingere acqua, i figli che consentono la manovalanza nel lavoro dei campi, tutto va riconosciuto come dono del Signore di cui occorre rendere grazie e allo stesso Signore la gente d'Israele è chiamata ad affidarsi vivendo le proprie speranze e coltivando continua fiducia. I benefici succitati che Dio ha concesso, la memoria della vita trascorsa e delle tappe defatiganti sostenute prima di raggiungere la stabilità, sono occasione di esprimere il proprio “credo”, cioè la propria radicalità di fede in Colui che è stato fautore di tali e tanti benefici.
Principalmente l'uomo è consapevole inconscio d essere sempre ramingo e bisognoso di dimora, anche in tempi ben più recenti a quelli di Abramo: quale orientamento, quale destino anche per noi, uomini odierni succubi di un sistema subdolo e fallace che apparentemente ci esalta con l'illusione di collocarci al di sopra di tutto lo scibile e perfino al di sopra dello stesso Creatore?
Vantiamo il progresso nelle conquiste dell'elettronica e della robotica, senza accorgerci che siamo ormai diventanti succubi degli strumenti che adoperiamo e che probabilmente non saremmo in grado di sopravvivere in assenza di computer e di macchine e elettroniche. Ci autoesaltiamo perché con i robot saremo in grado di risolvere gran parte dei problemi della nostra convivenza rendendo sempre più agevole ogni situazione, ma non ci accorgiamo che proprio i robot, soprattutto quando siano in grado di intelligenza artificiale autonoma (speriamo mai) potrebbero addirittura arrivare a dominarci rendendoci sottomessi alle stesse strutture che abbiamo fatto.
E soprattutto siamo sempre più convinti che l'indifferentismo etico e la morale relativa costituiscano un valore; in altre parole non soltanto siamo protesi al peccato ma addirittura nella maggior parte dei casi legittimiamo le scelte peccaminose e non solamente in campo di etica sessuale. Il peccato sembra quasi una scelta affermata e dilagante, al punto che qualcuno ironizza perfino con una parafrasi di un'evangelica espressione: “Chi è senza peccato, rimedi”.
Ma la persistenza nel peccato procura davvero soddisfazioni o ci relega all'effimeratezza e al piacere che dura solo un momento? Siamo davvero appagati nel peccato e nella dissolutezza morale, oppure questa ci da un contentino passeggero per ritrovarci di volta in volta privi di vera soddisfazione e realizzazione? Occorre che procacciamo per noi stessi il bene duraturo ed efficiente, non ciò che ci piace perché è seducente e facile ad attuarsi, cosa che appunto è il peccato.
Ci siamo inconsapevolmente smarriti e cerchiamo la strada di casa, procedendo come a tentoni. Siamo raminghi ed esuli, necessitati di guida e di sostegno, perché possiamo approdare al nostro porto sospirato, alla nostra vera patria. Che risiede in Dio, unico vero obiettivo del nostro viaggio di ritorno. Come dice il Qoelet, “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è tutto per l'uomo.”
Fortunatamente abbiamo tutte le carte in regola per considerare che Dio ci viene in soccorso oggi come ai tempi della professione del popolo d'Israele; anziché contare i nostri sforzi poveri e insufficienti per essere graditi a Dio, possiamo enumerare i benefici che Lui ha fatto per noi, principalmente nel suo Figlio fatto uomo, che ha vissuto la nostra stessa esperienza camminando con le nostre scarpe e percorrendo i nostri stessi sentieri. E come adesso ci dice espressamente Luca, sottoponendosi alle medesime insidie del maligno. Anzi, affrontando le seduzioni del demonio in condizioni ben più svantaggiose della nostra, nei quaranta giorni di fame, di sete e di abbandono nelle asperità del deserto. Quali sono in sintesi le tentazioni con cui il diavolo tenta di sedurre Gesù? In fin dei conti non sono dissimili a quelle in cui volentieri acconsentiamo noi tutti oggigiorno: essere superlativo e affermarsi sugli uomini e sul mondo intero. Cipriani nota infatti che in tutte le proposte maliziose del diavolo vi è sempre una frase ricorrente: “Se sei Figlio di Dio...” E Gesù è chiamato a vivere la sua messianicità e il suo essere Dio non secondo il volere del Padre ma secondo le aspirazioni propriamente umane, terrene e trionfalistiche. Vuole spingerlo insomma ad essere Messia in grado di soggiogare tutto e tutti, da padroneggiare il mondo e da disporre di ogni cosa. Tutto l'opposto del piano divino di umiltà e di misericordia con il quale il Padre vuole realizzare il suo progetto in lui.
Eppure Gesù, in quella condizione avversa e ostile tiene testa al demonio togliendogli ogni mezzo di contropartita. Il diavolo infatti si allontana, per “tornare” al momento opportuno. Cioè nell'”ora” della passione e della croce, quando regnerà in quella fase l'impero delle tenebre.
La Quaresima è il tempo privilegiato nel quale, scoprendoci raminghi e senza fissa dimora, siamo man mando condotti da Dio verso casa e volentieri ci affidiamo a lui riconoscendolo come il fautore dei suoi doni; e a spronarci e la figura stessa di Gesù che, sottomesso alle insidie dello stesso diavolo di cui sarà esorcista, ci ragguaglia che non è impossibile fuggire le tentazioni e mettere in fuga l'Avversario che tende a procurarci nient'altro che il malessere esistenziale che conduce alla perdizione.