TESTO Commento su Marco 2,13-17
Penultima domenica dopo Epifania (anno C) (24/02/2019)
Vangelo: Mc 2,13-17
13Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. 14Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
15Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 17Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Siamo nel capitolo 2 del Vangelo di Marco. Gesù sta muovendo i suoi primi passi nel ministero pubblico. Nel primo capitolo l'evangelista indica la giornata di Gesù dopo aver tratteggiato in pochi versetti il Battesimo e la tentazione nel deserto che segnano l'avvio ufficiale della sua missione.
Nel suo annunciare il Regno Gesù ha bisogno di collaboratori e lo vediamo nella chiamata di Simone e Andrea che diventano i testimoni della impegnativa giornata di Cafarnao. Gesù diventa sempre più popolare e nello stesso tempo Gesù schiva questa sorta di esaltazione. Egli necessita di collaborazione e non si stanca nel ricercarla.
Colpisce che la folla fa calca intorno a Gesù e il Signore non è attento alla massa, ma ai singoli ed è attento a Levi, il figlio di Alfeo, che non è tra la massa, ma è occupato in altro. Lui è preoccupato a riscuotere le imposte per Roma. A questo personaggio Gesù propone di seguirlo.
L'invito alla sequela Gesù lo dona a un pubblicano, ovvero ad un uomo, che per il solo fatto di agire per Roma è odiato e lo formula a un tale che neanche si preoccupa della sua presenza. Un grande insegnamento Gesù invita a seguirlo e non sceglie per meriti particolari, ma per un amore grande che va oltre i nostri errori. Quello che Gesù offre è un dono grande che può essere compreso solo quando lo vedremo faccia a faccia, ma di cui su questa terra, pur in mezzo alle difficoltà, si riesce a ravvisarne la profondità.
Colpisce l'immediatezza della risposta di Levi. Egli è affaccendato in altro ma comprende che occorre mettersi in gioco senza tentennamenti alla proposta di Gesù.
“Era seduto e poi si alzò” e qui ravvisiamo un messaggio teologico ovvero di una persona adagiata, bloccata, ferma nel suo interesse. L'incontro con Gesù lo fa alzare viene utilizzato con la sua parola il verbo greco Anastas che indica la risurrezione. Possiamo leggere così Levi risuscitò e lo seguì e risorge per quella parola chiave “seguimi”.
Gesù prende l'iniziativa. Ci viene in aiuto il dipinto del Caravaggio, a San Luigi dei Francesi, con quella grande capacità del pittore di mettere in evidenza questa chiamata. La tela del Caravaggio porta con sé una serie di significati allegorici. Prima di tutto, protagonista indiscussa della tela, che rappresenta il simbolo della grazia divina, è la luce che deriva dalle spalle di Gesù e non dalla finestra. Quella stessa grazia che investe tutti gli uomini ma che, allo stesso tempo, gli lascia la libertà di aderire o meno al mistero della Rivelazione. E' la luce che spinge i personaggi come se fossero su un palco a recitare. I vestiti sono quelli dei contemporanei di Caravaggio e sono dei personaggi che fanno parte della gente comune.
Il pittore vuole comunicare che la chiamata di Dio è universale e senza precisa collocazione nel tempo e tutti saremo chiamati. Per quanto riguarda la gestualità il gesto di Cristo, ovvero protendere la mano, viene ripetuta da Pietro, che rappresenta la Chiesa e media tra il mondo divino e quello umano, e viene ripetuto a sua volta da Levi stesso; c'è la rappresentazione della salvezza che passa attraverso la ripetizione dei gesti istituiti da Cristo e ripetuti dalla Chiesa nel tempo. L'attenzione del Cristo è interamente diretta verso Matteo mentre sta già uscendo e sa che l'uomo lo seguirà; nel suo movimento, nella mano tesa, vi è una citazione diretta alla Creazione di Adamo di Michelangelo, dipinta sui soffitti della Cappella Sistina.
Guardando all'icona della chiamata di Levi comprendiamo come Gesù non si stanca mai di cercarci e sa bene dove è possibile l'incontro.
Il brano prosegue con il rabbì di Nazareth che si siede con pubblicani e peccatori sfidando il pettegolezzo del tempo degli abitanti di Cafarnao. Di fronte a coloro che si scandalizzano per questa scelta la risposta di Gesù è chiara: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
La storia della salvezza è sempre segnata da questo imperativo. La missione della Chiesa trova in questo il suo centro.
Penso alle critiche ingenerose nei confronti di Giovanni Paolo II quando incontrava Castro o Pinochet trovava sempre i benpensanti di sinistra o di destra pronti alla condanna. Penso alle critiche a Papa Francesco davanti alle aperture di dialogo con il mondo contemporaneo mantenendo fissi i principi ed i valori senza mai metterli in discussione. Lo penso nelle nostre realtà parrocchiali nella diffidenza che si ha ad accogliere chi è stato in errore o si trova nell'errore esprimendo giudizi lapidari che costituiscono veri e propri marchi indelebili nei confronti delle persone.
Gesù smonta tutto questo e chiede a noi di cambiare modo di vivere la nostra fede in un rapporto nei confronti dei fratelli non di giudizio, ma di attenzione.