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TESTO Commento su Sir 27,5-8; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

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VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/03/2019)

Vangelo: Sir 27,5-8; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,39-45

In quel tempo, Gesù 39disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.

41Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

Le letture dell'odierna liturgia sembrano ambigue in quanto ci danno uno sguardo sull'uomo che sembra ambiguo. La prima di esse parla dell'uomo con parole che sembrano ispirate da pessimismo, così pure il vangelo, la seconda con parole di ottimismo, pur riscontrando dei segni inequivocabili di corruzione.
Niente è più ambiguo della parola umana. Questo è quanto ci dice la liturgia di questa domenica ottava del tempo ordinario del nuovo anno liturgico. Questo è il concetto che viene ribadito, sia nella prima lettura, che nell'Evangelo di Luca, che ci accompagnerà per tutto quest'anno liturgico.
La parola che è, il mezzo privilegiato di comunione e di comunicazione, è in grado di offrire, ai nostri interlocutori, verità e menzogne, svelare o coprire, a secondo di ciò che alberga nel nostro cuore.
In quanti ci fregiamo di essere cristiani, per il semplice fatto di essere battezzati e aver ricevuto i sacramenti dell'iniziazione cristiana, siamo chiamati a far risplendere la verità del vangelo, preoccupandoci, in quanto discepoli di Gesù Cristo, della rettitudine del nostro animo, prima di quello degli altri, dando così l'esempio e non pretendendo dagli altri ciò che noi non tocchiamo neanche con il nostro dito mignolo.
È attraverso la sincerità e la limpidezza del cuore che, la parola, uscita dalla nostra bocca, concorre a costruire la comunità a cui apparteniamo, aiutandoci vicendevolmente a vivere secondo il vangelo, purificare il nostro sguardo, aver consapevolezza delle proprie carenze e conoscere i limiti della nostra carità. soltanto allora, in quanto illuminati dal vangelo, l'impegno della nostra carità produrre buoni frutti che nascono dal cuore e non dalla mente, dalla quale nascono solo propositi, se la mente non è collegata al cuore.
Oggi, in cui sentiamo una miriade di dichiarazioni gratuite e della retorica che si compiace di se stessa, i criticano si deve ritenere fortunato perché Gesù gli ha lasciato non una dottrina conoscere ma una vita da imitare. Ossia, una parola da vivere nel nostro cuore, abitato da Cristo per mezzo della fede. Egli chiama ciascuno di noi affinché ci si impegni a vivere con amore per lui non per amore di sole parole pronunciate sotto un aspetto falsamente pio.

Esaminiamo cosa ci riferisce il Siracide, nella prima delle letture odierne, con la sua analisi acuta e penetrante. Ben Sira ci dice che la conversazione è il luogo principale per valutare una persona, perché l'uomo rivela la sua identità attraverso la Parola.
Oggi giorno le nostre conversazioni sono piene di parole vuote, tratte dalla pubblicità, dalla politica e dalla propaganda, e questa è la ragione per la quale il linguaggio ha perso la sua importanza e non si va più a votare. Non c'è pertanto da meravigliarsi se la parola di questa civiltà che non sa più pensare, né dialogare, si trovi, senza rendersene conto, come rinchiusa in una torre di Babele, in quanto l'umanità odierna ha interrotto l'unità esistente tra mente e cuore, centro vitale della persona. Luogo segreto, dove convergono e si ricompongono in unitili linee che, portano l'uomo alla riflessione e così percepire i propri difetti e non gli altrui: è dal proprio cuore che ha origine sia il bene che il male.
La parola vera non nasce dalle labbra ma dal cuore, pertanto sarebbe opportuno esaminarle, con molta attenzione, prima di pronunciarle, in quanto, se pronunzio parole deludenti, vuol dire che io sono deludente.

Il Salmista proclama, che l'uomo pio canta la propria felicità, che gli scaturisce dalla contemplazione delle opere di Dio. Il mondo di oggi aspira alla felicità e le condizioni dell'odierna civiltà vanno nelle direzione che Dio vuole per l'uomo. Tuttavia, questa accresciuta prosperità non risolve tutto e non coinvolge tutti, sia per mancanza di condivisione, sia perché la vera fonte della felicità non sta nell'abbondanza dei beni, ma in Dio mia “roccia”, in quanto, in lui non c'è inganno né motivo di delusione. Tutti gli altri beni, tutte le altre felicità sono ingannevoli malgrado il loro relativo valore.

La seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi di san Paolo, al contrario del brano di Ben Sira, guarda l'uomo con ottimismo e ne fa una diagnosi favorevole anche se nel suo corpo sono evidenti le tracce delle sue sconfitte. Tuttavia in questo corpo sono stati seminati germi di incorruttibilità e di immortalità: questo non è dovuto all'opera dell'uomo ma a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, il risorto: È per suo mezzo che: questo corpo corruttibile si rivestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, in quanto la morte ha perso il suo pungiglione, che è il peccato la cui forza sta nella legge.

Per l'apostolo la salvezza non viene dalle nostre opere secondo la legge, ma dalla misericordia di Dio a opera di Gesù redentore: dove c'è l'uomo, per nostra fortuna, c'è anche il suo creatore.

Il vangelo di Luca di testa domenica è un brano, compreso tra i vv 39-45, facente parte del così detto discorso della Pianura. Esso può essere suddiviso in tre brevi parabole più una considerazione sulla similitudine tra discepolo e maestro. tramite l'evangelista Gesù ci fa sapere che, dobbiamo essere consapevoli di commettere regolarmente errori. Ciò non è particolarmente grave se lo si ammetterà.
La parabola del cieco che guida un altro cieco la più breve delle parabole, occupa una riga. Essa sembra rivolta agli animatori della comunità che reputano di essere i detentori della verità e per tanto sono superiori agli altri. Solo per questo sono guide cieche, perché non sanno distinguere tra l'ispirazione dello Spirito e la spinta oscura del male.
Nella considerazione sulla similitudine discepolo-maestro Gesù si proclama maestro e non professore. Infatti, nell'antichità, il professore non vive con gli alunni mentre il maestro, aive con gli alunni e ad essi non impartisce lezioni ma testimonianza di vita. È lui la materia, il modello da imitare, soprattutto quando insorgono le tentazioni, sino a giungere ad identificarsi con lui: dimensione mistica, frutto dell'azione dello Spirito.
Nella parabola della pagliuzza nell'occhio del fratello, Gesù ci chiede un atteggiamento che ci renda capaci di andare incontro all'altro con un'apertura totale per rapportarci con Dio con fiducia di figli.
Con la parabola dell'albero che dà buoni frutti Gesù ci fa sapere che credere veramente in lui significa praticare il bene altrui e non l'egoismo, mentre, la persona che non si impegna ad imitarlo, avrà difficoltà a compiere il bene perché il suo cuore è sterile.
Per concludere si può dire: nessuno sarà giudicato sulla base di regole riti che egli si impone dall'esterno, ma da ciò che gli succede nel proprio cuore, ossi bisogna convertirsi, il che comporta il capovolgimento del proprio cuore.

Revisione di vita
- Ci siamo qualche volta messi nella situazione del cieco della parabola? che sensazione abbiamo avuto?
- Come sono i miei rapporti con gli altri in famiglia, nel lavoro, in comunità?
- Nella qualità del mio cuore sento di essere discepolo di Gesù?

Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari.

 

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