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TESTO Commento su Marco 6, 45-56

don Michele Cerutti

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4a domenica dopo Epifania (anno C) (03/02/2019)

Vangelo: Mc 6, 45-56 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Dio è ricco di misericordia e lo sperimenta il popolo di Israele che tocca con mano la sua grandezza. Gli israeliti entrano nella Terra Promessa attraverso il Giordano e rivivono come nell'Esodo l'apertura delle acque e camminano su terreno asciutto. Come detto Dio non è nuovo con queste manifestazioni.
Questa domenica il Vangelo ci presenta Gesù che rivela la sua Signoria nella creazione e ciò avviene attraverso il calmare le acque tempestose e permettere alla barca degli apostoli di giungere alla riva.
Siamo nel capitolo 6 di Marco che si apre con l'incredulità dei nazaretani che non si aprono alla novità del Regno limitandosi a considerazioni sulla famiglia di Gesù. Il Signore non si scoraggia e invia i discepoli invitandoli ad annunciare il Regno ed eventualmente a pulirsi i calzari dei sandali laddove trovano delle chiusure.
L'autore Marco presenta l'episodio della decollazione del Battista ad opera di Erode e successivamente l'evangelista ci racconta che Gesù cerca riposo, ma nello stesso tempo le folle lo seguono e lo stesso Signore comprende la necessità che queste hanno di avere un pastore e hanno bisogno di sfamarsi per questo opera la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
In questo contesto di chiusure dei nazaretani, di terrore ad opera di Erode, di folle affamate che lo inseguono Gesù invia i suoi discepoli e vuole nello stesso tempo, siamo nei versetti che abbiamo proclamato, garantire che egli rimane con loro e non li abbandona. Gesù invia i discepoli all'altra riva mentre Lui stesso congeda le folle sfamate. Mentre la barca dei discepoli si trova in mezzo a una tempesta è Gesù stesso a farsi vicino ai suoi che, tuttavia, non lo riconoscono. Gesù li rincuora, con l'espressione che nella Bibbia compare 365 volte: Non abbiate paura. Il Maestro sale sulla barca e la tempesta si arresta.

Stiamo vivendo momenti difficili come Chiesa e come i discepoli non ci accorgiamo della presenza del Signore.

Non dobbiamo aver paura perché il Signore è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo è la garanzia che Lui ci ha dato. Possono esserci tempeste e tornado più forti, ma il timone della Chiesa lo ha in mano Lui e attraverso il Papa, successore di Pietro, la barca non subisce fluttuazioni. Dobbiamo confidare in Gesù e unirci attraverso Lui al Santo Padre e abbiamo la certezza di non sbandare. Guardando la nostra vita non dobbiamo avere paura anche quando sembriamo perderci nell'amarezza il Signore è vicino e a noi il compito è di farlo salpare sulla barca della nostra esistenza.

Penso a Jacques Fesch, condannato a morte nella Parigi degli anni 50 conosce un cappellano che non viene subito accolto dal recluso ma vi è piano piano un rapporto che cresce e gli permette di abbracciare la fede e affrontare con coraggio la morte.
Afferma Fesch: “Era una sera, nella mia cella... Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi si erano abbattute sulla mia testa, io restavo ateo convinto... Ora, quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per la prima volta nella mia vita con una intensità rara, per ciò che mi era stato rivelato riguardo a certe cose di famiglia (si stava sfasciando tutto!) ed è allora che un grido mi scaturì dal petto, un appello al soccorso: ‘Mon Dieu! Mon Dieu!'. E istantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia donde viene, lo Spirito del Signore mi prese alla gola”. E, in una lettera all'amico sacerdote Padre Thomas, precisa: “Ho creduto e non capivo più come facevo prima a non credere. La grazia mi ha visitato e una grande gioia s'è impossessata di me e soprattutto una grande pace. Tutto è diventato chiaro in pochi istanti. Era una gioia sensibile fortissima...”. Jacques ha ritrovato ordine nella propria vita.

Basta poco per fare entrare Gesù nella nostra esistenza e permettergli di cambiarcela.
Pensate Gesù è sempre con noi tutti i giorni e lo sperimenta Jacques nel momento dell'esecuzione improvvisamente si rivolge al cappellano e lo supplica: “Il Crocifisso, padre mio, il Crocifisso!” e lo bacia lungamente, bagnandolo con le sue lacrime. Tutti sono commossi: il Condannato del Golgota è l'unico che possa consolare il condannato Jacques Fesch! Appoggia la testa sul patibolo... si sentono le sue ultime parole: “Signore, non abbandonarmi..!”. La ghigliottina affonda veloce la sua lama: cade la testa, ma non è più un assassino che muore, è un martire che muore pieno di amore. Il 27 agosto 1957 aveva scritto nel suo diario: “Verranno gli angeli a felicitarsi con me per essere diventato un eletto. Sarà proprio la prima cosa in cui riuscirò nella vita!” Jacques Fesch, non è la prima cosa in cui sei riuscito nella vita: la tua morte ci ha insegnato a vivere! Grazie! Grazie! Jacques Fesch la tua giovinezza “bruciata” ci ricorda che è tanto facile rovinarci e quindi la lezione drammatica e meravigliosa della tua vita sia monito per tutti noi perché anche nelle situazioni più disperate non perdiamo di vita il Signore. Jacques Fesch prega per noi! Amen!

 

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