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TESTO Il Precursore

don Walter Magni  

5a domenica Tempo di Avvento (anno C) (16/12/2018)

Vangelo: Gv 3,23-32a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.

25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».

31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza.

L'episodio del Vangelo di Giovanni di questa domenica riferisce di una discussione che i discepoli di Giovanni avevano con i discepoli di Gesù: a partire, certo, dal diverso Battesimo amministrato, questa discussione covava dentro una profonda gelosia che, non dominata, poteva scadere facilmente nell'idolatria del proprio maestro e nel fanatismo dell'appartenenza, che spesso caratterizza ancora certe espressioni religiose.

Dov'è finito l'insegnamento del maestro?
Giovanni Battista, in occasione della sua predicazione aveva imparato a puntare il dito verso Gesù. Indicando in Lui il messia che doveva venire. Nell'imminenza della morte, qualche domanda critica se l'era pur posta a riguardo di Gesù di Nazareth: sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11,3). Ma, stando anche ad altri passaggi evangelici, la predicazione di Giovanni il Battista era diritta e precisa: per lui Gesù altri non poteva essere che la Parola, la parola vera che i profeti avevano a lungo annunciato, mentre lui era semplicemente la voce. Il Suo supporto, il suo piedistallo. Lui era colui che stava predisponendo quella strada che poi il Messia avrebbe percorso, come condottiero vittorioso e salvatore del popolo di Israele. Ecco, la sostanza del grande messaggio del loro maestro i suoi discepoli l'avevano come dimenticata. Come se, acciecati, l'avessero messa tra parentesi, dando sfogo a certi sentimenti di gelosia. Forse antichi risentimenti assopiti, dei confronti che non avevano alcun diritto d'essere portati alla luce ed espressi. Erano più preoccupati di sé, che non della verità profonda che il loro maestro aveva loro a lungo insegnato. Così tutto s'era ridotto a una questione di audience, di indice di gradimento, come diremmo noi, figli dell'era dell'immagine virtuale. Una questione di quantità di battesimi fatti, di numeri effettivi. Quanta tristezza quando a fronte del nostro diminuire, del venire meno dei numeri di una volta, ci prende la voglia di contarci ancora, senza capire cosa sta avvenendo davvero!

“Lui deve crescere, io diminuire”
Giovanni non si lascia distrarre. Sa stare al suo posto, senza tradire la sua più profonda vocazione. Senza lasciare margini all'incertezza, dirotta la questione sull'essenziale, andando alla radice: “nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: ‘Non sono io il Cristo', ma: ‘Sono stato mandato avanti a lui'”. Cioè: né io vi ho mai detto d'essere il messia; né io vengo dopo di Lui: perché sono stato piuttosto mandato davanti a Lui! Questo è sempre stato il mio compito, questa è sempre stata la mia vocazione. E conclude con una espressione che dice con mirabile sintesi il senso della sua esistenza, ma al tempo stesso, evangelicamente, anche l'essenza di qualsiasi discepolo del Signore: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire”. Un detto che forse si fatica ancora a praticare, a distanza di secoli. E se invece questa fosse la verità profonda del nostro essere, ancora oggi, discepoli del Signore? Se questo fosse per sempre nella storia il senso dell'essere chiesa? Chiamata a dire anzitutto Lui, senza voler primeggiare tra le istituzioni di questo mondo. Una chiesa che semplicemente diminuisce, per permettere che solo Lui ancora Si veda e Sia da tutti riconosciuto? Spesso dimentichiamo che Gesù non ha mai sognato una grande chiesa. Solo ha detto: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” (Lc 12,32). Che cosa dobbiamo temere, sapendo che il Signore nostro sta per venire? Che non intende più ritardare? Che presto verrà per amore nostro?

L'amico dello sposo
Tra le molte espressioni usate da Giovanni per aiutare i suoi a ritrovare la via della verità delle cose c'è sicuramente l'immagine dell'amico dello sposo, collegata subito a una gioia profonda: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena”. Giovanni non ci sta parlando di una realtà organizzata; non sta certo sognando di organizzare il tempo della venuta del Messia. Con l'immagine dello sposo e della sposa, ripresa dai profeti antichi, sta semplicemente alludendo alla bellezza e alla gioia che scaturisce dalla relazione con il Messia che sta per venire. Come la relazione intensa di un uomo con la sua donna; come la relazione sciolta che sola può scaturire dal dono dell'amicizia tra due persone. Come se tutto ciò che viene richiesto di legale e di formale dentro le nostre organizzazioni ecclesiastiche, dovesse ritrovare la verità primaria di un legame profondo. Quello che propriamente scaturisce dal gusto di una relazione ritrovata. Anzitutto con Lui, con Gesù, nostro Signore. Se entro le nostre comunità non ritroviamo il gusto della relazione della quale Giovanni ci ha parlato, non proveremo mai la gioia. Quella stessa che aveva sperimentato trovandosi ancora dentro sua madre Elisabetta, nell'incontro con Maria, la madre di Gesù. Una gioia provata incontrando Gesù bambino che l'aveva portato a danzare, ad esultare dentro di lei (Lc 1,40). Sei Tu Signore l'unica nostra gioia. Sei Tu Signore la nostra vera pace.

 

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