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TESTO La partecipazione delle genti alla salvezza

don Walter Magni   Chiesa di Milano

II domenica dopo la Dedicazione (Anno B) (04/11/2018)

Vangelo: Lc 14,1a.15-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1a.15-24

1Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. 19Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. 22Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. 23Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

La Parola di Dio delle ultime domeniche dell'anno liturgico esprime una forte tensione missionaria. Dall'affermazione di una chiesa che se non è missionaria, cioè in uscita, non è autentica all'esigenza, propria di questa domenica, di proclamare che tutti hanno il diritto partecipare alla salvezza. Siamo già ormai alla descrizione di una chiesa “dalle genti”, come anche dimostra il recente Sinodo minore indetto nella Diocesi di Milano.

“Non dica lo straniero che ha aderito al Signore...”
Isaia nella prima lettura ci regala una prospettiva insolita, se solo ci riferiamo alla tendenza, propria di ogni espressione religiosa, a rinchiudersi nelle proprie liturgie e nelle proprie regole. Per tre volte ci parla di alcune categorie di persone che per ragioni diverse non potevano pretendere di appartenere all'ebraismo. E invece la Parola di Dio, per bocca del profeta Isaia, ancora una volta ci sorprende, chiedendoci di aprire le porte: “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera”. Certo, ci sono delle condizioni precise per salire il monte santo del Signore, ma intanto a tutti è data la possibilità di incamminarsi verso la casa di Dio. C'è una disponibilità, una predisposizione, una accoglienza concreta che fa bene all'anima costatare. Soprattutto in una realtà religiosa che, come tante altre religioni, ha spesso subito il fascino del fondamentalismo. Là dove certe rigidezze potrebbero insorgere, senza dare scampo alla speranza, ecco invece apparire una breccia. Sul bisogno istintivo di ogni fondamentalismo religioso di rinchiudersi in se stesso, vince la sete di relazioni buone, il gusto dell'incontro con l'altro. Sulla voglia di steccati, sull'esigenza di imporre frontiere e costruire muri, Dio ci confonde sempre, scompaginando gli schemi rigidi delle nostre appartenenze. Tutte le nostre false difese cadono e il cuore si apre alla speranza.

“Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti!”
Merita accorgersi in quale modo anche Gesù - siamo al capitolo XIV di Luca - conduce i Suoi interlocutori a cambiare rotta, schema di pensiero. Di sabato Gesù aveva accettato l'invito a pranzare in casa di un fariseo. E qui comincia a guarire un malato, rompendo con quella rigida interpretazione della Legge che imponeva agli ebrei osservanti di astenersi di sabato da qualsiasi azioni non cultuale. E la Sua risposta a chi lo stava criticando non si fa attendere: se, infatti, di sabato ti cade l'asino in un fosso, lo lasci annegare per rispettare la Legge? Poi, prendendo spunto da quegli invitati che sceglievano smaniosi i primi posti, Gesù fa notare a chi lo stava ospitando: non ti conveniva invitare “poveri, storpi, zoppi e ciechi”? Dunque: un Gesù provocatorio. Tanto che uno dei commensali, che forse voleva stare al linguaggio ironico di Gesù, s'inventa la beatitudine di chi magari ce la potrebbe fare ad entrare nel regno che Gesù stava descrivendo: “Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!”. Allora Gesù, raccolta la provocazione, sente che il Suo uditorio è pronto per ascoltare la parabola di un tale che “diede una grande cena e fece molti inviti”. Questo, infatti, è il nostro Dio: uno che desiderando il nostro bene predispone una bella cena. Immaginando poi che tutti ci possano venire, pur di vedere la sala piena. Un Dio che sogna alla grande; che resta male davanti alle nostre piccinerie e ai nostri calcoli. Lui che non ha mai badato a spese, perché “ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16).

“Ma tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi”
Alla gratuità e alla grandezza d'animo di quest'uomo che aveva invitato tutti alla sua festa, si contrappone, tuttavia, la grettezza e il calcolo di coloro - e sono davvero molti - che declinano l'invito. Per loro tutte le scuse sono buone. Importa piuttosto salvare la faccia, con qualche ragione inventata al momento. Gente corretta fuori a parole, ma distante dentro. Come Gesù dirà altrove: “questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me” (Mc 7,6). Anche il protagonista del racconto s'infervora: “allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “'Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi'. Il servo disse: 'Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto'. Il padrone allora disse al servo: 'Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia'”. Insomma: davanti al nostro rifiuto ad accedere ai suoi inviti, Dio non Si arresta e, pur di vedere quella sala stracolma di gente, rivolge l'invito proprio a coloro che noi non ci saremmo mai sognati di invitare. Proprio qui possiamo comprendere meglio la profondità insondabile dell'invito eucaristico “Beati gli invitati alla cena del Signore: ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, che il celebrante proclama a tutti prima della Comunione. E questo chiede a tutti più umiltà e minor supponenza. “La povertà del cuore crea la comunità perché non è autosufficienza, ma interdipendenza creativa, in cui il mistero della vita viene rivelato” (H. Nouwen).

 

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