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TESTO Il mandato missionario

don Walter Magni   Chiesa di Milano

I domenica dopo la Dedicazione (Anno B) (28/10/2018)

Vangelo: Mc 16,14b-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,14b-20

14Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. 15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

In questa prima domenica dopo la Dedicazione celebriamo la Giornata Missionaria (del Mandato missionario). Siamo a un punto cruciale: o le nostre chiese ritrovano un preciso slancio missionario oppure ci aspetta la decadenza e la fine. In questo senso anche Papa Francesco, parlando dell'urgenza della missione, coniando un'espressione forte e provocatoria, parla continuamente di una chiesa “in uscita”, capace di darsi una mossa in nome dell'evangelo.

Chiesa in uscita
Quand'ero ragazzo la missionarietà della chiesa coincideva con l'entusiasmo di tanti giovani e ragazze che si lasciavano attrarre dal desiderio di andare in terre lontane per annunciare il Vangelo. Mossi facilmente da un profondo senso di solidarietà nei confronti di tante popolazioni del terzo mondo, come si diceva allora, attraversate spesso da tante povertà e precarietà. Non ultima la fame e la guerra. Uscivano dunque dalle nostre comunità e là dov'erano inviati, trascorrevano talvolta tutta la loro esistenza. Edificando scuole, ospedali; scavando pozzi e costruendo chiese. E quando, anziani, tornavano poi nelle loro terre di origine, raccontavano le loro avventure. Talvolta erano provati nella salute, ma sul volto e dalle loro parole s'intuiva una profonda saggezza. Ed era così che si moltiplicavano le vocazioni missionarie. Perché ascoltando ti prendeva un sincero desiderio di imitazione. Come dicessi: se lui è riuscito a fare cose così belle e grandiose per amore di Dio, perché non lo posso fare anch'io? E la visione di chiesa che allora circolava era come racchiusa in un duplice orizzonte: la chiesa dell'Occidente cristiano, custode della tradizione e solida nella dottrina, e l'insieme delle chiese del Sud del mondo, più giovani e soprattutto più fragili. Proprio questa visione di chiesa con il Concilio Vaticano II doveva crollare. Così che dalla Missio ad gentes siamo passati alla cooperazione tra le chiese. Ed è normale che anche nelle nostre comunità si rendano presenti tanti sacerdoti, religiosi e religiose provenienti dalle chiese del sud del mondo.

“Il Signore Gesù li rimproverò”
Anzi, il Vangelo odierno annota che “il Signore Gesù apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto”. E forse anche oggi il Signore Gesù, proprio mentre stiamo celebrando le nostre eucaristie ci rimprovererebbe. E non si dimentichi che il Vangelo precisa che i discepoli in quel momento si trovavano a tavola. Forse stavano addirittura celebrando. Allora Gesù aveva rimproverato i Suoi perché faticavano a credere nella Sua resurrezione. Come del resto avevano faticato a crederLo risorto anche i discepoli di Emmaus e un apostolo importante come Tommaso. E che dire poi di quella sfiducia un po' ironica e supponente che altri discepoli avevano manifestato nei confronti di quanto alcune donne avevano raccontato loro a riguardo di Gesù risorto? C'è un dubitare a riguardo dell'essenziale della fede dei discepoli di allora che non si fatica a riconoscere anche nei dubbi e nelle incertezze che attraversano le nostre chiese di oggi. Serpeggia talvolta anche nelle nostre comunità una sorta di diffusa stanchezza, quando addirittura non è indifferenza nei confronti di ciò che diciamo, facciamo, crediamo. Come se l'essere un po' dubbiosi, magari anche un po' critici nei confronti dei nostri principi di comportamento derivati dalla fede che professiamo, fosse il segno che più ci contraddistingue. Come fossimo un po' sempre sulla soglia della fede. Incapaci di lasciarci investire appieno e con entusiasmo dallo Spirito di Gesù morto e risorto.

“Allora essi partirono...”
Accettiamo dunque questo amabile rimprovero di Gesù. Lasciandoci ripetere l'indicazione a svegliarci da un eccessivo torpore. A darci una mossa davvero. Come i discepoli di Emmaus che subito si erano alzati per ritornare a rincuorare i loro fratelli asserragliati nel Cenacolo. O come i discepoli descritti dal Vangelo odierno dei quali si dice che, dopo ch'erano stati rimproverati, “partirono e predicarono dappertutto”. Cosa potrebbe significare per noi partire? Senza dimenticare la missionarietà di chi ancora oggi si reca in terre lontane per annunciare il Vangelo, stiamo imparando che c'è un primo annuncio che chiede con urgenza si volgersi proprio a chi ci sta accanto, spesso vivendo nelle nostre case. Esercitandoci in un annuncio evangelico che comporta talvolta più una testimonianza silenziosa e discreta che altisonante e gridata. Gli antesignani di questa nuova evangelizzazione hanno segnato tutto il secolo scorso e l'inizio del nostro. Penso a Charles De Foucauld, che ha vissuto la spiritualità della vita nascosta di Nazaret tra i nomadi del Sahara; Ricordo il monaco Christian De Chergé, in Algeria, trucidato con altri sei confratelli nel 1996. Ma anche Annalena Tonelli, uccisa in Etiopia nel 2002; a Shahbaz Bhatti, ministro pakistano cristiano ucciso nel 2011. È curioso accorgersi come anche da paesi che hanno sperimentato la loro testimonianza evangelica stiano giungendo nelle nostre terre tanti rifugiati e richiedenti asilo, che ci inducono al confronto, al dialogo. Soprattutto ad una rinnovata generosità capace di accoglienza.

 

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