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TESTO Beato chi cammina nella legge del Signore

don Walter Magni   Chiesa di Milano

V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (30/09/2018)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La parabola del buon samaritano è frutto di una discussione tra un Dottore della Legge, che ama l'uso colto della parola e il ragionamento elaborato e Gesù, che è Parola fatta carne, incarnata. Possiamo usare tante parole per dire cos'è l'amore, ma per Gesù conta anzitutto amare nei fatti non a parole. Come dice s. Giovanni: “figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità” (1 Gv 3,18).

A servizio della Parola
Il racconto evangelico si avvia con la domanda di un Dottore della Legge che “si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: ‘Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?'”. Un esperto della Santa Scrittura o la serve con tutta umiltà sottomettendosi, oppure potrebbe costringerla dentro i suoi pensieri, le sue ideologie e strategie. E quando il Vangelo viene stemperato dalle nostre parole, asservendolo alla dialettica propria del dibattito o di una dotta discussione, il senso, la direzione si perde e il tutto si esaurisce e si consuma. Così il vaniloquio prende il sopravvento e nessuno più ricorda da dove s'era cominciato. Nel caso poi dell'episodio evangelico odierno l'intenzione maliziosa è dichiarata esplicitamente Quel dottore della Legge cercava di “mettere alla prova” Gesù. Intenzione che ritornerà più avanti, quando, per giustificarsi preciserà meglio il suo pensiero, facendo scattare in Gesù il desiderio di raccontare una delle più belle parabole del Suo Vangelo. Sarà Paolo che preciserà in modo netto l'atteggiamento di un credente nei confronti della Parola, definendosi un servitore: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio” (Rm 1,1). L'espressione servire e non servirsi è stata usata spesso per dire che bisogna anzitutto servire i poveri, non servirsi di loro. Ma noi potremmo anche affermare che un credente serve anzitutto la Parola di Dio e non se ne serve, sfruttandola. Si premura che faccia anzitutto la sua corsa. Questo è ciò che conta davvero.

Fatti, non parole
Che altro sia disquisire e altro è fare e agire secondo la Scrittura lo si intuisce già dalla prima parte del serrato dialogo tra Gesù e questo esperto teologo che avvia il tutto con una domanda: “Maestro cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù però non aggiunge qualcosa di Suo, ma lo invita ad approfondire quanto già dovrebbe sapere: “Che cosa sta scritto nella Legge?”. E quello risponde, citando con competenza la Scrittura: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. E Gesù, in prima conclusione, semplicemente lo conferma incoraggiandolo: “Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”. Altrove Gesù dirà in modo chiaro e deciso: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21). Come volesse esortarci con convinzione: comportati di conseguenza rispetto alle belle parole che hai citato. Perché contano anzitutto i fatti, non tanto le parole. E se parti dalla Parola di Dio allora ne devi trarre tutte le conseguenze. Con coerenza, senza arzigogolare. Le parole che dicono la Scrittura e il Vangelo sono la soglia che ti aiutano a guardare e a interpretare la vita. Un fascio di luce che illumina la vita concreta della gente. Non fermarti a contemplare le belle parole che potresti dire, ma entra nell'agone della vita amando nei fatti: “Il cristianesimo non è una serie di norme soffocanti, ma il 'desiderio di cose grandi', talmente grandi che superano la capacità umana. Per accoglierle bisogna accettare di essere dilatati, persino squarciati” (F. Hadjadj).

La compassione che fa la differenza
E un particolare della parabola che Gesù ci racconta ci spiazza. Perché la capacità di amare secondo il Vangelo non è la prerogativa di qualcuno, ma è alla portata di tutti. Oltre ogni appartenenza religiosa, oltre la pretesa intellettuale di chi, sapendo, dunque può. Oltre ogni appropriazione di gruppo o di casta. L'amore carico di compassione, stando al Vangelo, lo può attuare persino un samaritano. Un eretico che non la pensa come me. Uno che non crede in Dio come ci credo io. Forse Gesù potrebbe sembrarci un po' paradossale quando Si racconta così. Ma è proprio qui che si dimostra dove tira il vento del Vangelo: contano i fatti di Vangelo più che non le parole. Gesù ci sta dicendo: voglio anzitutto fatti di Vangelo. Del sacerdote e del levita, che conoscevano le parole della Legge, Gesù racconta che videro quel poveretto, ma passarono oltre. Del Samaritano, invece, annota che, passando accanto a quell'uomo martoriato “lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui”. In amore la differenza non la fa l'appartenenza, ma la compassione. A Gesù interessa che dal fondo del nostro cuore scaturiscano sempre viscere di misericordia, squarci profondi di compassione. Volendo che qualcosa ci si muova dentro. Ci commuova e ci inquieti. Vicini al Regno di Dio non sono, infatti, quelli che pensano: “che ne sarà di me, se mi fermo?”, ma coloro che pensano piuttosto: “che ne sarà di lui, se non mi fermo?” (M. L. King).

 

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