TESTO Lasciamo che i bambini facciano i bambini!
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (23/09/2018)
Vangelo: Mc 9,30-37
30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Nei giorni scorsi, parlavo con un dirigente di una dilettantistica squadra locale di calcio della categoria pulcini, una di quelle davvero senza grandi ambizioni, da oratorio nel senso più genuino del termine, dove lo stesso Oronzo Canà di banfiana memoria sarebbe un allenatore con i fiocchi; una di quelle squadre nate davvero con l'unico scopo di far giocare i ragazzi e di farli divertire, e di fare emergere da loro (sono le parole tratte dal sito stesso della Figc nella sezione “Pulcini”) “le caratteristiche principali della fanciullezza: fantasia, creatività, esuberanza, passione, dolcezza, entusiasmo, lealtà”. Dato per certo che questo è ciò che avvenga nelle squadre di calcio - o di qualsiasi altro sport - dei bambini più piccoli, il dirigente di cui sopra mi manifestava il proprio sconcerto per l'atteggiamento del papà di uno di questi piccoli, che aveva minacciato (anche solo verbalmente, ma è sufficiente questo) lui e l'allenatore qualora non avessero fatto giocare da titolare il figlio nel prossimo campionato ormai alle porte. La motivazione era molto seria: “Mio figlio è un piccolo campione - questo il senso delle affermazioni - si vede da come sta in campo, e se non dovesse essergli data l'opportunità di fare emergere le sue doti e di diventare davvero un grande del calcio, ne pagherete le conseguenze. Lasciate fuori quelli brocchi che fanno perdere la squadra, e fate giocare il mio e quelli come lui che ci sanno fare!”. Parliamo di un bimbetto di nove anni, le cui iniziali (ma anche se fosse, il senso non cambia) non sono di certo “CR”.
Non pensiate che si tratti di un fatto isolato: forse non con la sfacciata cafoneria di questo papà, ma - sempre secondo la testimonianza di questo dirigente - sono diversi gli episodi in cui uno o entrambi i genitori hanno dimostrato di intendere l'iscrizione del figlio a una società sportiva non come momento aggregativo e di crescita psicofisica (come dovrebbe essere, e di fatto è, nella stragrande maggioranza delle società, almeno di quelle piccole a livello locale), ma come trampolino di lancio per un avvenire roseo e glorioso per il proprio figlio, che proprio per questo motivo, viene mandato ai primi allenamenti già vestito da campione, di tutto punto, con scarpe e accessori che costano svariate centinaia di euro...se leggessero la storia di Pelé e sapessero con quale tipo di scarpe ha iniziato a giocare in una squadra di calcio...ma certo, parliamo di un paese del Terzo Mondo, il Brasile, che calcisticamente non ha prodotto quello che abbiamo prodotto noi...già, proprio così. E la cosa non riguarda solo il calcio, ovviamente: in molti dei nostri paesi abbiamo famiglie al cui interno vivono (ovviamente, ancora “in germe”) la prima ballerina della Scala, la più grande cantante pop dei prossimi decenni, il judoka nato con la cintura nera 10° dan al posto del cordone ombelicale e il vincitore dei prossimi cinque Tour de France...
Mi direte: “Cosa c'entra tutto questo con la Liturgia Domenicale di oggi?”. Forse poco o nulla. Ma c'è un momento del Vangelo di oggi che mi ha fatto riflettere, e poiché - almeno nella nostra comunità ma credo anche in molte altre - si sta per inaugurare un nuovo Anno Pastorale e Catechistico, dove i nostri bambini e ragazzi vengono messi giustamente al centro dell'attenzione, credo sia importante, se non doveroso, ricordare in maniera particolare ai genitori di famiglie cristiane e praticanti che il Vangelo va letto nel suo significato più giusto e più vero. Anzi, prima di tutto va letto. E vissuto. Prima di tutto. E forse (ripeto, mi rivolgo alle famiglie praticanti e credenti, che grazie a Dio hanno ancora fiducia nel messaggio del Vangelo e nell'opera educativa della Chiesa) anche l'educazione cristiana dei figli deve essere messa se non proprio prima di tutto, certamente prima di tante altre cose, importantissime, stupende, belle per i nostri ragazzi, ma forse non così prioritarie nella vita come i valori che emergono dal Vangelo.
È proprio il Vangelo di oggi che ci insegna cosa vuol dire essere “il primo di tutti”; è proprio il Vangelo di oggi che ci offre come modello di “priorità”, come “primo di tutti” un bambino. Non, però, nel senso in cui l'ha inteso il papà di cui parlavamo all'inizio, che non può certo essere definito un papà “evangelico”, ma nel senso in cui lo intende Gesù: quello di mettere i più piccoli al primo posto mettendoci al loro servizio. E metterci al loro servizio è l'esatto opposto di quello che avevano in mente i discepoli di Gesù, che da almeno tre domeniche continuano a litigare e discutere tra di loro per essere i prediletti del Maestro, per cercare di capire come conquistare il regno di Israele, per vedere come possono sfruttare il fatto di avere un Messia così forte come Gesù per i loro giochi di potere, e via di seguito. Gente con questa mentalità costruirà un mondo basato sull'essere i primi, i migliori, sull'emergere sugli altri, sullo schiacciarli, sul farsi valere, fin da piccoli - se è il caso - fin da quando si ha l'uso della ragione, sfruttando le proprie abilità per primeggiare, e possibilmente anche per lucrarci sopra...
No, non è questa la mentalità del Vangelo; non è questo, ciò che Gesù intende con “essere primi”; non è questo, quello che lui vuole farci capire quando ci dice di mettere al primo posto i bambini, che (per quanto ci diamo da fare per trattarli come principini e principesse) nelle scelte di vita che facciamo, spesso li releghiamo all'ultimo posto. Eh, sì: non è certo mettersi al loro servizio farli crescere con la mentalità dei “primi” e dei campioni; non è certo metterli al centro dei nostri pensieri se, prima di decidere di mandarli al catechismo o in oratorio, sistemiamo tutte le altre “caselle settimanali” oberandoli di una quantità tale di impegni e di attività che neppure noi adulti riusciremmo a gestire.
Lasciamoci mandare un po' in crisi da questo Vangelo, e anche dall'episodio che vi ho narrato all'inizio; promettiamo a noi stessi e ai nostri figli che, all'inizio di quest'anno, penseremo un po' di più a loro mettendoli davvero al centro delle nostre attenzioni, guardando le cose con i loro occhi, e non con i nostri. Io ho una fiducia enorme, infinita, nella forza di tante famiglie semplici che - ne sono certo - sanno scegliere e scelgono il meglio per i loro figli: spero tanto che il Vangelo di oggi e l'inizio di un nuovo Anno Pastorale e Catechistico le renda “contagiose” verso tante famiglie che fanno ancora fatica a comprendere che accogliere un bambino come bambino, per quello che veramente è, e non per ciò che noi vogliamo che diventi, non significa altro che accogliere in casa Dio in persona.