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TESTO Il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in cammino

don Walter Magni   Chiesa di Milano

IV domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (23/09/2018)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

L'Eucaristia è come il pane che ha sostenuto nel cammino il profeta Elia. E' quanto Gesù ci ha chiesto di celebrare quando ci raduniamo la domenica, facendo memoria di Lui, ci ricorda Paolo. E' il segno del dono totale di sè che Gesù ci ha insegnato e che ancora fatichiamo a capire ci dice il Vangelo di oggi, riportandoci ad una disputa tra i giudei e Gesù.

Mormorare
La mormorazione è un lamento diffuso, generato dall'ignoranza. Proprio di chi non riesce a capire o non vuole capire. Così non resta altro che mormorare. Come quando anche il popolo di Israele, incamminato verso la terra promessa, mormorava contro i suoi capi, Mosè ed Aronne. Ma in ultima istanza la ragione ultima di quei mugugni e di quei lamenti era il Signore che li stava guidando dalla dura schiavitù dell'Egitto verso una terra tutta loro, più stabile e sicura. E così il popolo si lamentava a Meriba, quando s'era accorto che quelle acque erano amare e si domandava con apprensione: e adesso “che berremo?" (Es 15,24). Come quando, sempre marciando nel deserto, la gente aveva dovuto cambiare le abitudini alimentari acquisite in Egitto e mormorava gridando forte: “fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando sedevamo presso le pignatte della carne e mangiavamo pane a sazietà!" (Es 16,2-3). E poi mormoravano a Refidim, quando era venuta a mancare l'acqua (Es 17,1-3) e quando cominciava a scarseggiare la carne (Num 11,4-6). Un continuo piagnucolare sempre a causa della mancanza di cibo o di acqua o della scarsa qualità di quegli alimenti. Nella stessa prospettiva il Vangelo di Giovanni ci ricorda che “i Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo'”. Quando le parole di Gesù non vengono capite o cominciano a dare fastidio tra i giudei che Lo stavano ad ascoltare, come anche tra i cristiani di oggi, comincia la mormorazione.

“Come può dire:' sono il pane disceso dal cielo?'”
E il Signore non si tira indietro davanti ai lamenti. Attraverso Mosè fa sapere al suo popolo che “al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”. Alla sera le quaglie salirono coprendo l'accampamento, mentre al mattino, svanita la rugiada, cominciò ad apparire “una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: ‘Man hu: che cos'è?', perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: ‘È il pane che il Signore vi ha dato in cibo'” (Es 6,11-15). Così nel Vangelo qualcosa si ripete. Quei Giudei che stavano ascoltando Gesù, che già S'era definito il pane disceso dal cielo, cominciano a mormorare domandandosi l'un l'altro: che sta dicendo questo rabbì? Chi crede di essere dichiarandoSi con presunzione d'essere il pane disceso dal cielo? E come gli ebrei nel deserto, vedendo la manna, s'erano domandati: cos'è? Di Gesù cominciarono a dire: ‘”costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: ‘Sono disceso dal cielo?'”. Stravolgendo così il significato del Suo parlare e ironizzando persino sulle Sue origini così terrene e ben poco celesti. Anche s. Pio da Pietralcina amava ripetere che “La mormorazione è un vizio volontario che fa morire la carità”. Il fenomeno della mormorazione finisce sempre per pescare nei bassifondi non avendo grande possibilità di argomentare. Come una malattia che ti possiede, trasformandoti in seminatore di zizzania.

“Rinascere dall'alto”
Gesù, non accetta la situazione e subito risponde dicendo: “non mormorate tra voi”. Ponendo insieme una questione di principio: nessuno Lo potrà mai raggiungere nella Sua vera identità se non lo attrae il Padre Suo: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre (...). E tutti saranno istruiti da Dio”. A fronte anche della nostra ignoranza tentata da una mormorazione colpevole sta la grazia che Dio stesso realizza là dove può incontrare un cuore disponibile, un'intelligenza aperta, capace di ascolto. Facendoci rinascere dall'alto, come già diceva a Nicodemo. E questo vale soprattutto per il nostro stare davanti al segno grande dell'Eucaristia così come Gesù ce l'ha consegnato. Abbiamo certo le nostre teologie e le nostre tradizioni celebrative; ma soprattutto non verrà mai meno la profondità del segno eucaristico così come Lui ce l'ha voluto consegnare. Tanto che qualcuno, proprio a questo riguardo, s'è permesso di definire il segno dell'Eucaristia come una sorta di sacramento dimenticato (P. Ricca). Non tanto nelle sue forme celebrative, quanto nella profondità sostanziale che si nasconde nei diversi racconti evangelici dell'Eucaristia. Anche Gesù sapeva d'avere mirato molto in alto in quell'ultima cena, mentre in ginocchio lavava i piedi ai Suoi discepoli. VoltandoSi, infatti, dice loro: “Capite quello che vi ho fatto? (Gv 13,12-14). Ci sia data la grazia di non abituarci mai all'Eucaristia. Come fossimo sempre sulla soglia di un mistero così grande che non ammette parole inutili, che non sopporta alcuna mormorazione.

 

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