TESTO Commento su Sap 2,12.17-20; Sal 53; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37
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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (23/09/2018)
Vangelo: Sap 2,12.17-20; Sal 53; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37
30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Letture sconcertanti, quelle della XXV domenica del tempo ordinario, anno B. Come tutta la Scrittura che va sempre presa sul serio e interiorizzata fino a darla diventare vita nascente.
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni...», ci avverte il Libro della Sapienza. Quasi a corollario, nell'Evangelo, prendendo e abbracciando un bimbo, Gesù ci dice: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Leggendo oggi, nel nostro quotidiano feriale, queste due affermazioni scritturistiche, non possiamo sottrarci a una constatazione: nessuno è più giusto di un bimbo innocente; nel contempo nessuno subisce più violenza di lui. Le immagini tragiche che ci vengono dai media lo confermano quotidianamente. Bimbi che cadono in mare nelle traversate pericolose su gommoni infidi, per trovare, insieme con i loro genitori, un futuro dignitoso; bimbi trovati morti sulle spiagge d'approdo; bimbi che, nei loro paesi poveri e sfruttati dal vizio storico del colonialismo, non avendo neppure più la forza di strillare, piangono silenziosamente morendo di fame e di stenti. Non si tratta qui di giocare su una facile emotività: con molta razionalità bisogna affermare che occorre una buona dose di crudeltà, di spietatezza e di malvagità - nonostante l'esibizione blasfema di rosari a carpire la buona fede degli ingenui - per non accogliere questi bimbi e i loro genitori, condividendo con loro le nostre ricchezze, immense se confrontate con la loro miseria.
Ma i salutari «pugni nello stomaco» di queste letture domenicali non finiscono qui. Esse mettono a tema alcuni altri aspetti che interessano la nostra vita quotidiana. Uno di questi è la nostra relazione con il potere. Confessiamolo: sedere ai primi posti non ci dispiace; essere apprezzati, lodati, riveriti, avere autorità su molti... quale ambizione nemmeno troppo repressa! Neppure gli Apostoli, vissuti con la severa catechesi del Maestro, ne erano immuni: «“Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande». Anch'essi mettevano al primo posto il loro «io», il desiderio di primeggiare, di far valere il loro punto di vista. Non facciamo così anche noi? La catechesi di Gesù non lascia dubbi: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti...». Facile a dirsi... Chi ha un compito di servizio - e tutti lo abbiamo, non solo gli uomini politici - giustifica le sue scelte con il termine (e il concetto) abusato di «bene comune», confondendo però spesso il bene comune (cioè comune a tutti, nessuno escluso) con il bene della propria famiglia, del proprio gruppo, del proprio partito, della propria nazione. «Prima gli italiani!». Non è questo il bene comune: prima l'umano, gli esseri umani, di qualsiasi nazione, colore della pelle, cultura, censo. E i bambini. Prima i bambini che sono i nostri impareggiabili maestri di vita.
L'incipit dell'Evangelo di oggi, ci insegna il metodo per fare nostro il messaggio complessivo di questa catechesi domenicale: «Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse...». Il tema qui è quello del silenzio: ne abbiamo bisogno in un tempo di urla sfrenate, di insulti volgari e di colpevolizzazioni gratuite. Il comportamento di Gesù è decisamente contro corrente. Al vantarsi di (presunte) buone azioni o di successi politici, egli preferisce il silenzio. Non un silenzio di chi non ha nulla da dire, di chi preferisce non esprimere giudizi evitando coinvolgimenti rischiosi, ma un silenzio responsabile che lascia la libertà all'essere umano di assumere le proprie decisioni, in autonomia e responsabilità. Che lascia spazio alla scoperta personale dei principi e degli stili di vita ai quali adeguare la nostra esistenza. Un silenzio «produttivo», di chi preferisce agire piuttosto che blaterare sconclusionatamente. Il silenzio delle persone mature, non frustrate, in ricerca continua del senso da dare alla vita: persone non aggressive, perché la frustrazione genera sempre aggressività. Ma è anche il silenzio in cui ci rifugiamo per scoprire la Trascendenza, è anzi il nome stesso di Dio, nostro Silenzio.
Rileggiamo dunque queste letture domenicali, cercando di cogliere in esse un disegno unico, faticoso, rischioso e grandioso ad un tempo. Una catechesi indispensabile alle nostre coppie e alle nostre famiglie, per un cammino di conversione e di impegno accogliente.
Traccia per la revisione di vita
1) Siamo testimoni credibili della buona notizia della salvezza, cioè della liberazione, senza pregiudizi moralistici?
2) Siamo convinti che anche nella nostra vita di famiglia, Cristo è al centro come Maestro di comportamento e che, nonostante le nostre difficoltà, le nostre fatiche e le nostre infedeltà, ci dona la vita stessa di Dio? Riusciamo a riconoscere la presenza di Dio in una storia che pare sempre più gravitare verso la dissoluzione, verso la sconfitta dei valori umani, verso l'affermazione del proprio «io» a scapito dell'accoglienza dell'altro, del diverso, del disturbatore della nostra quiete?
3) Siamo capaci di cogliere, nel silenzio, la voce di Dio che ci parla attraverso la nostra coscienza? Oppure ci rifugiamo in un parlare vuoto e privo di senso? Siamo sobri anche nel comunicare e non solo nel nutrirci e nel vestirci?
Luigi Ghia Direttore della rivista «Famiglia Domani» dei CPM italiani, editrice «Gazzetta d'Asti srl