TESTO Ne sentivo il bisogno
don Angelo Casati Sulla soglia
I domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno B) (02/09/2018)
Vangelo: Gv 3,25-36
25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».
31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. 33Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. 34Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. 35Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. 36Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
"Nacque una discussione": è scritto nel brano di vangelo che ora abbiamo ascoltato. Forse la prima discussione, o una delle prime, intorno a Gesù. Ne seguiranno poi, nei giorni del suo ministero, a centinaia. Quando nascono le discussioni? Spesso nascono quando le cose non sono chiare o, pur essendo chiare, non si vuole proprio capire. Sembra il nostro caso. Il vangelo di Giovanni è il solo, tra i vangeli, che racconta di un tempo in cui Il Battista e Gesù battezzavano in contemporanea: Gesù in Giudea e Giovanni, a Ennon, vicino a Salim, perché là c'era molta acqua.
Ed è proprio in questo contesto che nasce una discussione sulla legittimità o meno del battezzare. A discutere con un giudeo sono i discepoli di Giovanni. Che vanno dal loro maestro a dire tutta la loro indignazione perché Gesù - pensate - si è messo anche lui a battezzare e adesso tutti accorrono a lui! Come a dire: "Perdiamo consensi". Ma che strano! Non si scendeva forse nelle acque per lasciare pesantezze e uscire con una voglia di leggerezza e pulizia, di trasparenza? E se è così, che importa, alla fin fine, chi battezza? Importa che nel mondo si affacci, e cresca - e Dio la benedica - questa voglia - perdonate la parola - di ringiovanimento. Di cui si sente bisogno nell'aria. No. Il problema è come avere più gregari.
Vedete, da discepoli ci si può, per disavventura, trasformare in fanatici. Un malattia contagiosa che già toccava le prime comunità cristiane. Ne scrive Paolo in una sua lettera, a quelli di Corinto, dove gli uni dicevano di essere di Paolo e gli altri di essere di Apollo e c'era scontro tra di loro. E Paolo scrive: "Quando uno dice: "Io sono di Paolo", e un altro: "Io sono di Apollo", non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere" (1Cor 3, 4-7).
Perdonate se ho indugiato sul contesto del brano del vangelo. Ma c'è un motivo: posso sbagliare, ma a me sembra che questa malattia del fanatismo, dell'idolatria del capo, sia tutt'altro che tramontata e sia invece ampiamente, pesantemente, ancora diffusa. E non solo nella chiesa. Si diventa gregari. In primo piano non c'è più Dio, né il bene della chiesa, né il bene di un popolo. C'è il delirio. E ti chiedi come possa succedere oggi.
Oggi che siamo - o dovremmo essere - più attrezzati intellettualmente, meno facili agli imbonimenti, meno sedotti da chi alla forza delle ragioni ha sostituito la forza dell'urlo. Ti chiedi come possa succedere che proprio noi, così fieri di una maturità raggiunta, si possa per poco - per così poco! - portare il nostro cervello all'ammasso. Ma ritorniamo al brano. A volte siamo duri a capire. Succede quando la verità non ci fa comodo. Il Battista ai suoi discepoli aveva già detto, con estrema franchezza, di non essere lui il Cristo. E che cosa era dunque tutto questo delirio nei suoi confronti? Non era forse venuto per far strada a lui?
E Giovanni esce con parole che ci conquistano. Soprattutto se pensiamo alla tempra forte di Giovanni, uomo del deserto, profeta dalle parole infiammate. Pensate, dice: "Lui deve crescere, io, invece, diminuire". Si può essere dunque forti e umili ad un tempo? E non avremmo bisogno di donne e uomini che sanno unire ad un tempo fortezza e umiltà? Mi chiedo se non sia proprio l'umiltà la nostra forza. E dov'è oggi? Forse siete anche voi a chiedervelo. Ebbene Giovanni mette in piena luce una differenza - e vuole che la si riconosca - tra chi viene dall'alto e chi viene dalla terra. Il Messia Gesù viene dall'alto. Lui, il suo precursore, dalla terra.
La differenza è enorme: Il Messia Gesù dice parole che ha ascoltato in alto, mentre "chi viene dalla terra appartiene alla terra e parla secondo la terra". Leggo queste affermazioni limpide del Battista ed è come se avvertissi che vanno a cancellare ogni mia arroganza. Non dovrei pensare più spesso, quando parlo, e magari mi impanco a maestro, che io vengo dalla terra, appartengo alla terra e che parlo secondo la terra? E anelare a ripetere pulite le parole di Gesù. Quelle che Gesù ha ascoltato in alto. Non è forse questo che mi tocca? Che tocca ad ognuno di noi?
Mi chiedo, se in una stagione come la nostra in cui sembra diventato costume corrente alzare i toni, non potremmo per disavventura subirne anche noi il contagio e cedere a questa tentazione, dimenticando che la nostra forza sta nell'umiltà. Incandescente la parola del Battista: "Lui deve crescere, io, invece, diminuire". Ma un'altra cosa non finisce di stupirmi e di affascinarmi nelle parole del Battista e confesso che non me le sarei aspettate da lui. Lui, a tal punto uomo delle rocce del deserto da apparire a volte severo, a volte finanche duro. Ebbene nel nostro brano si apre uno squarcio. E' proprio vero che non dobbiamo mai credere di avere nelle nostre mani tutta la verità dell'altro, di chi sia l'altro.
Si apre nelle parole del Battista un squarcio di una tenerezza incredibile. E parla di Gesù come dello sposo. Lo sposo dell'umanità. E già qui si respira tenerezza, quella che tu scopri sempre con emozione in un uomo e una donna che si dicono il loro bene. Abbiamo dato tanti titoli a Gesù. Questo un po' ce lo siamo scordato: lo "Sposo". E dice gli occhi con cui Lui ti guarda, con cui ci guarda: gli occhi di uno che è innamorato di te... E di se stesso che cosa dice il Battista? Che lui è "l'amico dello sposo", uno che ha la gioia, gioia debordante, di preparargli la festa di nozze. Con l'umanità.
Non so se ha colpito anche voi trovare sulle labbra del Battista parole di una dolcezza infinita, la parola "amico", la parola "sposo": "io sono l'amico dello sposo". A dispetto di tutti coloro che hanno fatto della religione una fede senza sentimenti, senza carne, senza emozioni, senza vibrazioni di amicizia. Vorrei ringraziare Giovanni di tante sue parole - perdonate, forse non tutte -, ma di queste sì: "sposo", "amico". Ne sentivo il bisogno. Per come sono fatto, ne sentivo il bisogno.