TESTO Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia
don Walter Magni Chiesa di Milano
XIII domenica dopo Pentecoste (Anno B) (19/08/2018)
Vangelo: Lc 7,1-10
Mentre nel vangelo di domenica scorsa Gesù invitava i Dodici a non recarsi anzitutto alle “pecore perdute del popolo di Israele” (Mt 10,6), nel Vangelo odierno un centurione pagano invia degli intermediari a Gesù, pregandoLo di venire a “salvare il suo servo”. Intanto Paolo scrivendo ai Romani fa dire al profeta Isaia: “Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me”.
Cafarnao, città di confine
Siamo a Cafarnao, una cittadina del Nord della Palestina. C'era l'ufficio doganale di Levi (Mc 2,13s) e delle aziende familiari dedite alla pesca, come quella di Simone e di Andrea; di Giacomo e di Giovanni, i figli di Zebedeo. C'era anche una guarnigione di soldati, comandata da un centurione dell'esercito romano, che aveva alle proprie dipendenze una centuria di circa duecento uomini, con la quale presidiava il territorio. Ascoltando questo fatto evangelico s'intuisce facilmente che all'interno di un villaggio palestinese di confine si stava realizzando già una sorta di convivenza di etnie e di religioni diverse. Che, fatte le dovute differenze, finiva col tempo per favorire relazioni buone, familiarità possibili, piccoli affari e magari anche qualche affetto. Cafarnao, tutta raccolta - uomini e donne, vecchi e bambini, soldati e pescatori - sotto lo stesso cielo. Tutti amati, senza distinzione alcuna, da quello stesso Dio che anche da lì ha voluto far passare Gesù, Suo Figlio. Ci siamo troppo a lungo illusi d'essere figli di un cristianesimo rinchiuso dentro confini definiti e rigidi, come quelli dell'Occidente cristiano. Già il mondo che Gesù percorreva allora, e che ancora oggi attraversa prendendoci per mano, è fatto di città e villaggi, di agglomerati di case e condomini dai confini fragili e inconsistenti. Che nell'appartenenza etnica o religiosa non trova più una categoria adeguata per interpretarsi. Quelli che un tempo si sentivano distanti e nemici di religione, oggi - a volte anche solo per ragioni economiche o sociali - sono sempre più intrecciati e amici.
La ‘fede' di un pagano
La strada che questo centuriane sceglie per raggiungere Gesù passa attraverso una sorta di intercessione mediata: “gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo”. Questi avanzano subito le sue credenziali, elogiandone i meriti. Non solo si tratta di un uomo buono, che ha a cuore le sorti di un suo subalterno, un servo, ma ha pure contribuito al finanziamento della sinagoga. E sarà Gesù stesso a verificare la sua finezza d'animo e la sua spiritualità sincera. Tanto era convinto che per quella guarigione sarebbe bastato anche solo un cenno del Maestro, solo una Sua parola. Sapeva bene cosa comporta il comando e come si esegue con prontezza un ordine. Quelli che credono, quelli che di Gesù si fidano ancora - ed è già fede anche questa! - sbucano fuori da dove meno te lo aspetti. Nei momenti imprevisti, mentre sei intento in qualche azione pastorale importante. E mentre lo ascolti, con qualche altra urgenza per la testa, s'intuisce nel suo parlare discreto, una profondità, un'umanità che conquista. Un senso di fiducia accorata, senza riserve. Soprattutto ti è data la grazia di capire la profondità del suo mondo spirituale. Pronto ad accogliere quanto Dio gli vorrà accordare. Forse avresti voluto imbastire una risposta seria, balbettando qualcosa. E invece taci, diventando più piccolo e in ascolto, davanti al mistero. Semplicemente sei un intermediario, uno strumento della grazia. Che può intercedere, stando in mezzo, tra chi ancora invoca e un Dio che non Si è mai stancato di ascoltare gli uomini.
Imparare a stupirsi come Gesù
Gesù, all'udire le parole cariche di fede del centurione, semplicemente lo ammira. Dove l'umanità si carica di valore, rivestendosi di bellezza, anche Gesù Si commuove, pronunciando parole di elogio: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. Quasi vedesse compiersi un disegno. Come canta il salmo: “cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore” (sl 8,3-5). Ma per cogliere la profondità della fede di un uomo, oltre la sua appartenenza religiosa, occorre guardarlo con occhi ospitanti. Accogliendolo anzitutto per quello che è: un uomo, semplicemente. Scorgendo, prima di tutte le sue appartenenze, l'angoscia profonda che spesso nasconde nel cuore. Come avrebbe potuto anche Gesù riconoscere la fede profonda del centurione, se non avesse anzitutto intuito il dolore grande per quel servo che stava morendo? Si tratta piuttosto di tornare a riconoscere lo Spirito. Oltre i confini scontati di tante parole retoriche e di certi slogan ideologici che ancora vengono sbandierati. Parlando dello Spirito il Card. Martini scriveva: “Affidarsi allo Spirito significa riconoscere che in tutti i settori arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo, né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, seguirlo. Anche nel buio del nostro tempo, lo Spirito c'è e non si è mai perso d'animo: al contrario sorride, danza, penetra, investe” (Uomini e donne dello Spirito, p. 97).