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TESTO Accogli, o Dio, il dono del nostro amore (197)

don Remigio Menegatti   Parrocchia di Illasi

X Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/06/2005)

Vangelo: Mt 9,9-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 9,9-13

In quel tempo, 9mentre andava via, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature

La prima lettura (Os 6, 3-6) ricorda che come le stagioni e l'alba, così la venuta del Signore è certa, non manca mai. Si tratta allora di essere preparati per accoglierlo, ed essere trovati fedeli all'Alleanza. I sacrifici e gli atti di culto hanno valore solo se esprimono degli impegni concreti di giustizia, se manifestano dei veri gesti a favore del prossimo. Altrimenti l'amore svanisce come la rugiada ai primi raggi del sole.

Il vangelo (Mt 9, 9-13) mostra un gesto di giustizia compiuto da Gesù e non compreso dai farisei: la chiamata di Matteo e la cena condivisa da Gesù con gli amici di Matteo, anche loro pubblicani e peccatori. Gesù si presenta come il medico che guarisce "il cuore" dell'uomo, ovvero ciò che lo pone in comunicazione con Dio e con il prossimo, la sede dei sentimenti e delle decisioni.

Salmo 49
Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente.
Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici;

i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.

Se avessi fame, a te non lo direi:
mio è il mondo e quanto contiene.
Mangerò forse la carne dei tori,

berrò forse il sangue dei capri?

Offri a Dio un sacrificio di lode
e sciogli all'Altissimo i tuoi voti;
invocami nel giorno della sventura:

ti salverò e tu mi darai gloria».

Il salmo fa eco alle parole di Dio che Osea riferisce. Si tratta di un rimprovero al popolo che si perde su riti vuoti, e pretende di interessare Dio unicamente perché offre sacrifici e brucia incenso nel tempio.

Questi sacrifici e olocausti possono essere graditi e apprezzati, solo se accompagnati dalla fedeltà alle promesse rivolte al Signore, agli impegni manifestati a lui.

A Dio non serve "mangiare"carne di tori, né di "bere" sangue di capri. Se anche ne avesse bisogno, non aspetta che sia l'uomo a donare questi animali: lui è padrone di tutta la terra.

Ciò che invece l'uomo deve fare per essere realizzato lui, e per lodare degnamente il Signore, è vivere nella fedeltà alle promesse, così da fare la sua parte per realizzare l'Alleanza che Dio ha "firmato" con il suo popolo, e attraverso di loro, con ogni uomo.

Un commento per ragazzi

Gli scribi (gli esperti della prima parte della Bibbia, e delle tante regole che vi sono contenute), e i farisei (chi si impegnava ad osservare fedelmente tutte queste norme) usavano un rigido metro di misura, soprattutto verso gli altri. Secondo il loro modo di pensare Matteo, l'esattore delle tasse, e tutti i suoi amici non erano certo le persone più adatte per offrire un sacrificio a Dio nel tempio. Per le loro scelte di vita e per il lavoro di tanti erano "impuri", cioè inadatti a compiere un rito pubblico. Apparivano estranei, lontani, da evitare.

Mangiare con delle persone significa manifestare un legame con queste, stare dalla loro parte, o per lo meno, non contrapporsi in maniera decisa, tanto da mostrare di rifiutare le loro idee e il modo di vivere.

Anche Gesù non accetta la falsità di chi imbroglia gli altri, e approfitta dei deboli per arricchirsi. È severo con questo modo di comportarsi. Ma è altrettanto disposto e paziente verso le persone. Si presenta come il medico: nemico della malattia e alleato del malato. Lui combatte ogni male e aiuta, con la misericordia, le persone a prenderne le distanze.

Ciò che rende puro o impuro un sacrificio è il cuore dell'uomo; ma questo può anche guarire, e Gesù sa che la sua missione è proprio questa: riportare a Dio i

figli che si sono allontanati con il loro stile sbagliato, con le scelte che chiudono le persone in se stesse.

Ciò che fa la differenza tra Gesù e gli scribi e farisei è anche l'osservanza dell'Alleanza: Gesù va al cuore del patto con il Signore, e parla di amare Dio con tutto se stessi, e il prossimo in maniera altrettanto esigente. Scribi e farisei sono fermi sulle piccole norme. Gesù usa misericordia per "riportare all'ovile la pecora smarrita" mentre gli esperti e fedeli osservanti della Legge sono bloccati nel giudizio e nella condanna, ritenendosi a posto, e quindi distaccati, separati, dal resto del popolo.

Un medico che guarisce anche noi adesso, che usa la sua misericordia con tutti, in qualsiasi tempo.

Per il fatto che non lo vediamo camminare sulle nostre strade, fermarsi al porto e chiamare i pescatori, seduto nella sinagoga a insegnare, non significa che lui non sia vicino a noi e ci tratti con la stessa misericordia, dolcezza e pazienza che usava allora verso Matteo e quanti come lui avevano bisogno di guarire, e soprattutto di un "medico" capace di far scoprire loro la gioia di poter cambiare vita e vivere al meglio le loro possibilità.

È lo stesso Gesù che ama noi.

Un suggerimento per la preghiera

Signore, anche a noi chiedi di offrire un sacrificio; non ti attendi animali, incenso o altre cose. Tu chiedi il nostro impegno a cambiare in meglio la nostra vita; la disponibilità a vivere seriamente gli impegni che ci siamo assunti con te e con chi ci vive accanto.

Tu ci insegni che la vera gioia, per te e per noi, si scopre solo nel donare, usare pazienza, cercare la soluzione dei problemi, perdonare, mettersi dalla parte di chi è in difficoltà.

È questo che rende ricco il tuo altare, che fa gioire te e ci rende liberi dal male.

Libri di don Remigio Menegatti

 

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