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TESTO Chi ci ama, ci chiama

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/07/2018)

Vangelo: Mc 6,7-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 6,7-13

7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

La volta scorsa Gesù ci illustrava le serie difficoltà a cui va incontro il messaggero della Parola di Dio e il fatto che questi possa trovarsi a predicare a casa propria, nella sua città e nel suo territorio, non pregiudica che abbia difficoltà. Anzi, proprio nella sua terra viene osteggiato e disprezzato. Questo tuttavia nulla toglie all'efficacia della Parola e alla validità dell'opera di colui che la proclama. In un modo o nell'altro, accolta o rifiutata, la Parola di Dio resta sempre tale e quale, mantiene la sua potenzialità e anche se non in tempi immediati raggiunge la finalità per cui è stata inviata. La missione del ministro quindi non è mai fallimentare, anche quando sembri che i risultati del suo impegno e della sua azione apostolica tardino ad arrivare. Il suo lavoro arrecherà frutti, anche se a raccoglierli saranno altri. Ecco perché il latore di divini messaggi non deve demordere nel suo impegno, non deve scoraggiarsi e non soccombere alla tentazione di abbandonare il campo, ma affidarsi unicamente allo Spirito Santo, unico al quale spettano i risultati.

Durante gli anni di formazione da studente capitava ogni tanto che fossi incaricato di animare dei campi scuola per ragazzi, cosa della quale mi sono occupato anche in anni recenti. In una di queste esperienze mi trovai con dei ragazzi interessati per lo più al divertimento e al gioco al pallone, ma quasi del tutto indifferenti e refrattari ai momenti di catechesi e di formazione, queste proposte attraverso opportune attività di cartellonistica e di animazione attraverso simboli. Tanti di loro si davano alle risate e alla canzonatura di tutte le attività che proponevamo. Ne rimasi deluso, ma in seguito un sacerdote mi spiegò che non avevamo fallito la nostra missione e che il nostro messaggio sarebbe comunque stato recepito nel tempo: “I ragazzi sul momento sorridono a determinate attività catechetiche; con il tempo però torneranno a riflettere seriamente su ciò che hanno vissuto e lo prenderanno in considerazione, non importa se saranno passati anche anni. Proprio il fatto che si mettano a ridere ti deve consolare: vuol dire che stanno assimilando inconsapevolmente.” E vuol dire appunto che la Parola di Dio, in qualsiasi modo venga trasmessa e comunicata, sortisce sempre i suoi effetti.

Questo però non senza condizioni: 1) che si tratti veramente di Parola di Dio e non di esibizionismi e autoreferenzialità propriamente nostre. Basta ricordare un brano di Paolo per comprendere la verità di questa condizione: “Proprio per questo noi ringraziamo Dio continuamente, perché avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale parola di Dio che opera in voi che credete (1Ts 2, 13). Occorre certamente la corrispondenza della fede in coloro che ascoltano, ma non per questo deve mancare l'intenzione profonda, in chi comunica, di annunciare nient'altro che il messaggio del Signore, che avrà sempre la sua efficacia.

2) Chi reca la parola di Dio dev'essere stato da Lui mandato. Certamente ad operare può essere anche un annunciatore occasionale quale un catechista o un animatore pastorale; come pure può dedicarsi al ministero chi è stato chiamato ad una speciale consacrazione o a un rapporto maggiormente stretto con Dio, come un religioso o un sacerdote, ma in ogni caso la sua missione non può che corrispondere a un fatto di chiamata divina: è sempre Dio che annuncia ed è libero di avvalersi di tutti gli strumenti e di tutti i ministri che gli sembrino opportuni.

Riconoscere nel Signore il fautore di ogni vocazione non è difforme alla ragione o alla libertà di scelta umana. E' infatti Dio stesso a infondere in ciascuno tutte quelle prerogative in positivo che comunemente chiamiamo inclinazioni, capacità, proprietà connaturali che comunque siamo chiamati a mettere a frutto ogni qual volta intraprendiamo una scelta professionale o uno stato di vita. A meno che non vogliamo affidare alla fatalità il nostro destino, è da persone mature e responsabili scegliere il proprio futuro interpellando le proprie capacità e i propri talenti, che nel linguaggio teologico noi chiamiamo carismi. Seguire la volontà di Dio è quindi pienamente conforme alla vera realizzazione, coincide con la volontà di chiunque voglia adeguatamente decidere per sé e per la società. Ed è altrettanto conforme a ragione umana che si possa deliberare per il sacerdozio o per la vita religiosa, sempre che questa risulti essere la nostra direzione specifica.

Come tante volte ho descritto sulla mia vita personale, gli stessi avvenimenti, le presunte “coincidenze”, determinate esperienze anche in negativo, situazioni nelle quali veniamo a trovarci ci dimostrano che, senza nulla togliere alla nostra intelligenza e alla nostra personale facoltà volitiva, c'è sempre chi traccia un progetto su ciascuno di noi, che ci viene un po' per volta delineato e proposto. La vita stessa insomma è manifestazione del Signore e della sua volontà, anche nelle comuni circostanze che solitamente definiamo casuali o insignificanti. Dio non conosce i nostri tempi e le nostre condizioni, non chiede curriculum o qualifica professionale, ma nel chiamare si avvale di criteri che esulano dai nostri.Non si deve mai escludere di poter deliberare per uno stato di vita esclusivamente rivolto a Dio e in ogni circostanza è sempre conveniente domandarsi cosa vuole Dio che io faccia?

Per dirla con Giacomo: “Voi siete un vapore che appare in un istante e poi svanisce. Dovreste dire invece: se Dio vuole saremo in vita e faremo questo o quello”(Gc 4, 15).

3) Chi è chiamato a una determinata missione deve escludere ogni certezza propria e riporre in Dio la sua fiducia e la sua speranza, consapevole che è proprio lui ad attrezzare i suoi missionari. Occorre far prevalere la fede all'istinto dell'autoconservazione e alla volontà di provvedere a se stessi secondo criteri tutti propri e del resto chi si affida al Signore, confida anche nel Signore. Si sottomette a lui e definisce ogni cosa in conformità al suo volere.

Gesù è abbastanza categorico nell'inviare i suoi discepoli che invia a due a due per una missione temporanea di annuncio e di esorcismo: sembrerebbe che loro debbano confidare solamente nel supporto di un bastone, ma Dio non farà mancare loro il sostentamento necessario: la stessa attività missionaria garantirà loro ciò di cui avranno bisogno. Così come Amos, illetterato raccoglitore di sicomori, viene a trovarsi a disporre di se stesso esclusivamente nell'ottica della volontà del Signore che lo attrezza per la missione di profeta. Colui che ci ama ci chiama e provvede a tutto.

 

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