TESTO Commento su Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80
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Natività di S. Giovanni Battista (Messa del Giorno) (24/06/2018)
Vangelo: Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80
57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
80Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
La vocazione di Giovanni ci ricorda che ad ogni uomo e a ogni gruppo sociale viene affidato un compito per rendere più abitabile il nostro mondo. Il suo coraggio nel richiamare il governatore romano ad una maggiore serietà morale può essere letto come un monito per tutti, governanti e cittadini. In particolare ci ricorda che una convivenza non potrà essere solidale e vivibile senza un rigoroso rispetto della moralità pubblica.
Luca, nel Vangelo, ci offre la rivelazione di ciò che Dio opera sempre - anche in noi - perché ogni uomo è avvolto da sempre dall'amore di Dio. A questo proposito possiamo ricordare Isaia (prima lettura): “Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome”. E il salmo (139,13): “Tu, Signore, mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio”. E Gesù, in Matteo 11,11: “Tra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni - e tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
L'amore di Dio si manifesta nel fatto che egli ha sempre un progetto su di noi. Ci vuole collaboratori nel costruire un mondo più umano. Con la sua chiamata il Signore dà senso alla nostra vita, la strappa alla banalità rassegnata del quotidiano, alla ossessiva ricerca dei nostri interessi immediati e delle nostre tranquille abitudini, per metterla al servizio del suo progetto di umanità solidale.
L'episodio del nome di Giovanni è simbolico. Lo volevano chiamare Zaccaria, che era il nome di suo padre. Ma intervenne la madre: “No! il suo nome sarà Giovanni”. Gli altri obiettarono: “Nessuno tra i suoi parenti ha questo nome”. Il padre conferma la scelta di Elisabetta. Coloro che venivano a conoscenza di questo episodio si facevano pensierosi e dicevano: “Che cosa mai diventerà questo bambino?”. La gente avverte che quel bambino non è destinato a continuare il progetto della famiglia, cioè ad essere un piccolo funzionario del tempio (come il padre), ma ad essere un dono per tutti gli uomini (Giovanni vuol dire “Dono di Dio”).
La pagina di Isaia della prima lettura esprime bene questa vocazione: “E' troppo poco che tu sia inviato a restaurare le tribù di Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino agli ultimi confini della terra”. Giovanni non è chiamato a restaurare, a rimettere in piedi la vecchia struttura religiosa (oggi diremmo: a ricuperare una Chiesa tradizionale, disciplinata e compatta), ma ad annunciare la cose che Dio vuole fare nei tempi nuovi.
Nel Cantico di Zaccaria la vocazione di Giovanni viene meglio precisata: egli è chiamato ad essere profeta e precursore, per preparare la missione di Gesù. Tutti noi siamo chiamati a questa vocazione.
Il profeta non è un mago che predice il futuro. E' colui che aiuta a capire la bellezza della vita dell'uomo che vuole essere fedele al progetto di Dio. E' una vocazione e lo vediamo in Giovanni, che porta il profeta a un conflitto permanente con quella che noi chiamiamo la normalità umana. Il profeta è perciò un uomo scomodo, per il semplice fatto che misura l'uomo non secondo le abitudini e gli interessi del gruppo sociale, ma secondo le esigenze del vangelo, ricuperando le intenzioni originarie di Dio. Il vangelo ci ricorda, di Giovanni, la voce coraggiosa e la franchezza che non conosce esitazione, per esempio di fronte a Erode, a cui rimproverava la scandalosa convivenza con la moglie del fratello Filippo: “Tu non puoi sposare la moglie di tuo fratello”. Noi sappiamo che questo coraggio gli costò la vita.
Gesù dirà: “Giovanni non è una canna che si piega al vento” (Mt 11,7). E' una quercia. L'atteggiamento di Giovanni non è intolleranza o arroganza. E' fedeltà. Chi crede - come chi è dominato da un forte amore - non può tacere, non può evitare di ribellarsi di fronte a troppe situazioni di immoralità e di ingiustizia.
La parola del profeta non ha sempre questi toni così solenni e drammatici. A volte sembra coniugarsi con il buon senso. In realtà è sempre una ricerca appassionata della verità: “Il regno di Dio è vicino. Cambiate vita”. Il tempo nuovo esige una conversione profonda.
L'altro tratto della vocazione di Giovanni è quello di essere precursore, che significa non cercare il proprio successo personale, non imporre le proprie idee (come spesso accade anche nella Chiesa, con letture troppo personali, al limite ideologiche, del vangelo), ma lasciare tutto lo spazio all'azione del Signore, alla sua Parola.
Giovanni era un uomo straordinario, cosciente della sua vocazione, ma anche dei limiti della sua missione. Bellissima, a questo riguardo, l'immagine che egli ci ha lasciato di sé. Alle folle che lo seguivano con entusiasmo egli dice: “Non sono io il Cristo. Io ho solo il compito di preparargli la strada. Bisogna che lui cresca e che io diminuisca”. E' il compito di ogni credente, che non vuole imporre le proprie idee, ma unicamente rendere testimonianza al Signore Gesù.
Per la riflessione di coppia e di famiglia.
- Ad ogni uomo, fin dalla nascita, viene assegnato un compito. Come riusciamo a capire il compito che ci è stato affidato, per vivere la pienezza della nostra umanità?
- Quanto siamo consapevoli dei nostri limiti e abbiamo il coraggio di “fare un passo indietro”, specie in famiglia, per far emergere i talenti degli altri componenti?
- Nell'ottica della vocazione profetica riusciamo a leggere i “segni dei tempi”, cioè il senso degli avvenimenti? Come questa lettura ci rende capaci di individuare gli orientamenti più efficaci per costruire un futuro più umano partendo dalla nostra famiglia?
Anna e Carlo Beltramo CPM Torino (tratto da un'omelia di Padre Piero Buschini S.J.)