TESTO Stavano compiendosi... le cose future
Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (20/05/2018)
Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15
«26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio».
«12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste
Luca si riferisce alla Festa di Shavuot, letteralmente significa "settimane", sono sette settimane - cinquanta giorni dopo Pasqua, in greco è detta Pentecoste - tra il passaggio del Mar Rosso e l'esperienza del Sinai.
Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce. Egli vi annunciò la sua alleanza, che vi comandò di osservare, cioè le dieci parole, e le scrisse su due tavole di pietra (Dt 4,12-13).
In questo ambito Luca racconta l'esperienza cristiana del dono dello Spirito ricalcando gli elementi tipici della manifestazione di Dio (Teofania) come il vento e il fuoco. Lontana dall'autore l'idea di un mero resoconto dei fatti: l'espressione stava compiendosi il giorno della Pentecoste sembra riferirsi alla sera mentre poco dopo si dice sono le nove del mattino (At 2,15). Ogni parola del nostro testo è il segno di una esperienza di fede che va molto più in profondità rispetto all'accadimento.
Stava compiendosi non si riferisce dunque alla giornata ma al senso stesso della Pentecoste, alla Alleanza che ai piedi del Sinai ha avuto inizio, quando Dio stesso con il dono della Legge ha costituito le tribù l'Israele fuggiasche dall'Egitto in un Popolo, un popolo eletto: Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es 19,6).
Pietro ne ha preso coscienza tanto da affermare Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio (1Pt 2,9-10).
Apparvero loro lingue come di fuoco
Luca tenta di visualizzare, o meglio rendere sensibile l'avvenimento attraverso la descrizione del fragore, del vento che si abbatte impetuoso che riempì tutta la casa ma cui fa precedere un quasi, poi descrive l'esperienza del fuoco, o meglio dellelingue come di fuoco; l'iconografia cristiana ha espresso con una buona dose di fantasia ciò che l'autore degli Atti racconta in modo volutamente impreciso ma fortemente coinvolgente.
Quello che colpisce è l'immagine del fuoco che si divide per raggiungere ciascuno, così lo stesso Spirito si manifesta in ciascuno con una vocazione speciale all'unità: E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (1Corinzi 12,13).
Non è estranea la vocazione di tutto il genere umano all'unità che la Scrittura insinua fin dalla Genesi quando da Adamà, la prima creatura, è separato l'uomo dalla donna perché costituissero di nuovo una sola carne (Gen 2,24).
In effetti il soggetto del racconto sono le lingue e il fuoco è solo un paragone per rendere l'immagine: le lingue strumento di comunicazione tra gli uomini, ma anche causa di incomprensioni e fraintendimenti diventano nella pentecoste elemento unificante nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Li udiamo parlare nelle nostre lingue
Dalla pienezza dello Spirito nasce una comunicazione nuova: il miracolo delle lingue raccontato da Luca lascia perplessi e in tanti si sono provati a descrivere la dinamica dell'avvenimento; come al solito le parole vanno oltre la descrizione dei fatti e ci chiedono un atto di fede, non tanto per quello che è stato quanto per quello che sarà e che Paolo annuncia come un dato già realizzato: Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Galati 3,28).
Il racconto di Atti descrive Gerusalemme come un crogiuolo di popoli diversissimi tra di loro, dalle molteplici provenienze; ci sarebbe da domandarci se la storia, meglio lo Spirito, non stia proponendo alle società di oggi la stessa esperienza e la stesa fatica di convivere e comunicare. La Pentecoste ci costringe a fare uno sforzo di comprensione con chi ci sta vicino, superare le divisioni di genere, di generazione, di stato sociale, di cultura, di provenienza; ogni divisione apre la porta ad altre divisioni così come ogni comunione sfocia in altre comunioni. Vivere la Pentecoste non è una esperienza "religiosa" o "spirituale", piuttosto assumere la diversità come una sorta di provocazione a ricomprendere i nostri rapporti, la nostra fede, il dono di Dio che abbiamo ricevuto, a dare "libertà" allo Spirito che è in noi, che ci guiderà a tutta la verità, e ci annuncerà le cose future (Gv 16,15).