TESTO Io non ti conosco, io non so chi sei
don Cristiano Mauri La bottega del vasaio
Sabato della IV settimana di Pasqua (28/04/2018)
Vangelo: Gv 14,7-14
L'annuncio della propria partenza fatto da Gesù nel contesto dell'ultima cena ha profondamente scosso i discepoli.
La sua dipartita è però un'ottima notizia, perché è il preludio al suo ritorno, che corrisponderà al trasferimento dei discepoli nella piena e perfetta comunione con Dio.
La morte di Gesù, perciò, non chiude l'esperienza dell'essere suoi discepoli, anzi, apre lo spazio a un nuovo tratto di percorso in cui vivere un rapporto eterno e indistruttibile con la sua persona.
Egli continuerà ad essere per loro «via, verità e vita», colui nel quale, cioè, trovare il senso dell'esistenza (via), comprendere la realtà divina (verità), entrare nella pienezza e nella gioia perfetta (vita).
Non c'è modo di accedere al Padre se non per mezzo di lui. Non c'è possibilità di vita se non con lui. Non c'è strada per comprendere il senso delle cose se non in lui.
Il malinteso di Filippo («Mostraci il Padre») permette un chiarimento ulteriore e un rinnovato invito alla fede.
Il tempo trascorso con i discepoli è stato per Gesù un tempo di manifestazione e i discepoli devono rifarsi a tutto ciò che hanno vissuto con lui.
Nella sua carne, nelle sue parole, nella sua umanità hanno potuto vedere il Padre e toccare con mano il suo essere «via, verità e vita».
Ciò è potuto accadere perché c'è identità tra le parole e le opere di Gesù e quelle del Padre. Il Figlio è l'Inviato dal Padre, non pronuncia parole proprie né compie azioni che non siano quelle di chi l'ha mandato.
La presenza di Dio in Cristo è tanto reale quanto comprensibile solo agli occhi della fede. Solo chi crede “vede” il Padre nel Figlio.
La dipartita di Gesù potrebbe dunque essere un problema per i discepoli. Come, dove, quando vedranno il Padre se non potranno più ascoltare le parole e vedere le opere del Cristo?
Ma la sua partenza non li priverà di tutto ciò, perché dopo la Pasqua sarà la mediazione dei discepoli a dare continuità. Essi compiranno le sue opere e ne faranno di maggiori.
L'espressione «opere più grandi di queste» non va intesa nel senso di atti più maestosi, estesi, potenti o efficaci. Piuttosto, lascia intravvedere il fatto che l'agire proprio dei discepoli trova la sua pienezza e compiutezza solo con la partenza di Gesù.
Il loro operare non sarà peraltro una prestazione in proprio, bensì il frutto dell'esaudimento concesso da Cristo alle loro preghiere. Il protagonista resterà lui, che proseguirà la sua azione attraverso i discepoli.
Io non ti conosco, io non so chi sei
Chissà con quali sentimenti avrà risposto alla domanda di Filippo.
Da tanto tempo era con loro e ancora non l'avevano conosciuto.
Dopo tutti gli insegnamenti, l'esempio concreto, la trasparenza nel rivelare ogni cosa, si trovava punto a capo.
Nelle sue parole fa capolino un certo senso di sorpresa: «Come è possibile che tu mi chieda...?».
Incredulo di fronte alla cecità di Filippo, sembra lui stesso incapace di spiegarsi come la resistenza al rivelarsi di Dio possa essere tanto grande.
Mi domando se anche lui ha accompagnato quel mezzo rimprovero con un senso di frustrazione e di delusione.
A noi, certo capita così.
Perché l'esperienza di Gesù di quella sera, sul piano umano, non è affatto rara né originale.
Avvertire chiaramente di non essere compresi e conosciuti perfino da chi si frequenta da una vita.
Oppure rendersi conto che un certo progetto su cui si è investito, alla fine non è mai stato capito né condiviso fino in fondo da chi ha collaborato con noi.
Succede, ah se succede.
E poi ci si offende, viene voglia di mollare, si rinfaccia tutto l'impegno profuso.
D'altronde fa male. E quando fa male, dal male ci si difende.
Accade anche il contrario però.
Ed è forse una delle esperienze più gratificanti, intense ed entusiasmanti che ci siano.
Essere così tanto conosciuti da venire anticipati dall'altro nei desideri e nelle intenzioni.
Sentire che la condivisione di un impegno è stata così profonda da essersi mossi come un corpo solo in un'inspiegabile armonia.
Bellissimo.
Sono forse le situazioni in cui, per certi versi, ci si sente «più vivi che mai», nelle quali si intuisce che l'esperienza del vivere ha come fondamento in radice una comunione.
Rileggo così le parole di Gesù.
Non frustrazione. Non delusione. Piuttosto nostalgia.
Di questa pienezza di vita con Filippo gli altri che ancora non era perfettamente compiuta.
Penso che anche lui abbia sentito male.
Ma la sua reazione deve evangelizzare il nostro modo di fare.
«Credete», in lui e con lui.
È la dichiarazione di una possibilità ulteriore. C'è vita oltre il malinteso.
Solleva lo sguardo da sé e, senza curarsi del male provato, lo tiene fisso in quella comunione di spirito, di intenti, di conoscenza, di volontà con i suoi, che sa e crede possibile, che vuole sopra ogni cosa.
Bello e pasquale questo suo gettare il cuore oltre l'ostacolo delle sue stesse perplessità («Ancora non mi conosci?»).
Da provare.