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TESTO Storie di alberi da frutto

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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V Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2018)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,1-8

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

È stato sufficiente un prolungato periodo senza precipitazioni, e con un caldo spesso inusuale per questo periodo, perché la primavera scoppiasse in tutte le sue espressioni, i suoi colori, i suoi profumi, i suoi rumori, e anche le sue incertezze, che la rendono ancor più bella e affascinante.

Il verde brillante dei campi, il giallo oro del tarassaco, della colza, e del crescione, che presto lasceranno spazio al rosso sanguigno dei papaveri e al blu zaffiro dei fiordalisi, ci dicono la bellezza di una natura capace di rinascere dopo mesi di silenzio e di apparente morte, così come l'inverno si manifesta.

Morte apparente, quella della natura, perché in realtà anche dal ramo più secco, avvizzito, ormai privo di ogni minima parvenza vitale, sono capaci di sbocciare piccole protuberanze, che poi inverdiscono, diventano vere e proprie gemme, poi foglie e poi, spesso, fanno fiorire tutto quanto il ramo. Certo, alcuni rami questa fortuna di rinascere non l'hanno. Molti non resistono al rigore dell'inverno, si spezzano, forse cadono anche sotto il peso della neve e degli anni: a null'altro servono che a essere gettati via, alla meno peggio utilizzati per qualche piccolo lavoro di falegnameria, oppure alla fine, lasciati seccare per finire all'interno di qualche camino o stufa.

Neppure il legno della vite è esente da tutto questo processo, da questo lento e progressivo incedere che dall'inverno va verso la primavera, che dalla morte torna verso la vita. Ma la vite ha veramente qualcosa di particolare: il suo legno, ha qualcosa di particolare.

Sarà forse per quella sua forma tanto contorta che a volte sembra di vederci un crocifisso contorto e ritorto su se stesso per il dolore. Forse perché nella vite c'è Verità (“In vino veritas”, dicevano greci e latini) e quindi Vita. Forse perché dalla vite scaturisce l'Eucaristia, Fonte della nostra vita; o forse perché Lui è la vite, e noi i tralci.

E pensare che, al legno della vite, al di fuori della sua funzione di tenere sospesi i tralci e i grappoli, non riesci ad attribuire alcun'altra caratteristica. Non ci fai certo dei mobili. Non lo usi in falegnameria nemmeno per delle piccole riparazioni. Quando si secca, a null'altro serve che a essere raccolto e gettato nel fuoco per essere bruciato. Certo, brucia bene: brucia davvero bene, lentamente, e fa una bella brace. Ma tutto termina lì. Un legno inutile. Tant'è vero che, se non sopravvive all'inverno, non c'è verso di poterlo far rinascere: il filare va sradicato, sostituito e gettato via. O dà frutto, o dà vita al grappolo, o c'è poco da fare: è un albero inutile.

Ne abbiamo già visto un altro, di albero “inutile”, cioè con l'unica funzione di dare la vita. Anzi, no, ne abbiamo visti due. Ma entrambi ci hanno sorpreso, perché uno doveva darci vita e ci ha dato morte; e l'altro, che parlava di morte, ci ha donato vita.

Il primo, nel giardino degli inizi, aveva un frutto bellissimo da vedersi, che poteva dare vita e morte. Tutto dipendeva dall'uomo collocato a custodia del giardino: e quello, convinto di trovare la totalità della vita, quella immortale, con la sua disobbedienza scelse la morte. Il secondo albero, nella pienezza dei tempi, vide pendere dai suoi rami un unico frutto, un frutto di morte, un frutto brutto da vedersi, tanto sfigurato era il suo aspetto: eppure, chi ha mangiato di quel frutto di morte ha avuto in sé la vita, quella vera, quella eterna, quella che il primo uomo aveva cercato nel primo albero, trovandovi però la morte.

Salvo poi scoprire che l'albero dal frutto morto e che dava vita, altro non era se non l'albero della vite, quello che a null'altro serve se non a dare frutto, quello che o da frutto o non da nulla, quello che se si secca non lo si usa se non per bruciare, quello uniti al quale non possiamo far altro che dare frutto.

Ma visto che noi con gli alberi e i loro legni abbiamo già avuto, nel corso dell'umanità, esperienze non troppo facili...possiamo una buona volta sapere se di quest'albero, di questo legno della vite possiamo veramente fidarci?

Lasciamolo dire a lui: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutti, perché senza di me non potete fare nulla”.
Più chiaro di così...

 

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