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TESTO Il grande assente

don Fulvio Bertellini

Santissima Trinità (Anno A) (22/05/2005)

Vangelo: Gv 3,16-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

I cristiani e il mondo

Troppo spesso siamo fissati sulla questione della relazione tra i cristiani e il mondo. Troppo spesso ridtta ad una battaglia, o ad una convivenza più o meno pacifica, ad una sinergia tra la Chiesa, il magistero, i cristiani retrogradi, i cristiani progressisti da una parte, e il mondo dall'altra. E qui sta una prima strozzatura, una prima prospettiva limitata: come se da una finestra pretendessimo di avere un panorama completo. La seconda strozzatura è che il dibattito è limitato alle cose da fare. Alle regole per vivere. O meno ancora: non tanto ciò che si "deve" fare o non fare. Ma più limitatamente: che cosa è permesso, che cosa si "può" fare. Non ci si accorge che dall'orizzonte scompare Dio: nel conflitto (o nel compromesso) dei cristiani col mondo, Dio rischia di diventare il grande assente, senza possibilità di rientrare in gioco.

Le cose che ci interessano

Se dovessimo dar retta ai giornali, le cose che interessano ai vescovi sono la fecondazione assistita, le scuole cattoliche, l'otto per mille e impedire l'avanzata delle famiglie gay. Se dovessimo dar retta agli avvisi parrocchiali, potrebbe sembrare che le cose che interessano di più ai parroci sono i soldi per il restauro del campanile, per il campetto dell'oratorio, il catechismo della prima comunione e la gita pellegrinaggio a Fatima. Se dovessimo dar retta ai genitori, ciò che ci interessa è la possibilità di parcheggiare i figli in oratorio con una persona sicura... forse dovremmo dare retta al nostro cuore, che ci spinge a cercare qualcosa d'altro...

Dio che ama il mondo

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...": le parole di Gesù ci aprono gli occhi sui protagonisti della nostra vita quotidiana che troppo spesso e volentieri ignoriamo. Non ci siamo solo noi e il mondo, non ci siamo solo noi e le nostre cose da fare o i nostri valori da proporre più o meno in competizione con altri. Anche Dio è presente sulla scena del mondo, ed è presente in una maniera speciale: attraverso il Figlio unigenito. Ed è presente per amare. Noi dimentichiamo questo amore quando pensiamo di poter agire da protagonisti, prima di lasciarci amare da lui. Dimentichiamo ugualmente questo amore quando pretendiamo di giudicare e combattere quel "mondo" che Dio ama e per il quale il suo Figlio ha dato la vita. E ancora dimentichiamo l'amore di Dio quando semplicemente ci adeguiamo al mondo, un mondo segnato dal peccato, e ci comportiamo come se non ci fossero ferite da risanare.

Ritornare a lui

La solennità della Santissima Trinità ci ricorda nello stesso tempo la bontà e la severità di Dio. La sua bontà, che sorpassa i nostri giudizi affrettati. E la sua severità, parola sbagliata (ma tutte le nostre parole sono sbagliate, quando si parla di lui) per dire che egli ci ama in maniera esigente, autentica, piena. Non si accontenta di un amore a metà. Non è indifferente a noi. Se Dio ci ama, perché non ci lascia godere la vita a nostro piacimento? Ma appunto perché ci ama, ci impedisce di sprofondare nel baratro del nostro egoismo. Ed è proprio così che si manifesta a noi il mistero della sua trinità: Padre che ama in maniera esclusiva, fino a mandare il Figlio per risollevarci dall'abisso della nostra caduta, e a donare il suo Spirito come possesso stabile nei nostri cuori. Ma noi, uomini e donne tanto impegnati e affannati, sappiamo ancora soffermarci a lasciarci amare da Dio?

Flash sulla I lettura

"Mosè salì sul monte Sinai, con le due tavole di pietra in mano". Il brano dell'Esodo che ascoltiamo in questa solennità è inserito nel contesto del rinnovamento dell'Alleanza, dopo il grave peccato dell'adorazione del vitello d'oro. Mosè riceve due nuove tavole della Legge e una rinnovata manifestazione della presenza di Dio.

"Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà". Dio si presenta come colui che perdona, come colui che può annullare il peccato del popolo. Così si ha una ancora più profonda conoscenza del mistero del Dio di Israele, più forte del peccato e dell'infedeltà degli uomini. Il Dio di Israele è esigente, si lega al suo popolo e accetta di camminare con lui, pretendendo di essere il suo unico punto di riferimento. Ma nello stesso tempo è il Dio che perdona, che non si lascia irretire dall'infedeltà del popolo. Noi fatichiamo a cogliere il legame paradossale tra quelli che ci sembrano due estremi: severità e pretesa di unicità da una parte; misericordia e perdono dall'altra. Solo in Cristo, con la piena rivelazione trinitaria, appare la connessione profonda che lega i diversi aspetti del mistero di Dio, che noi, nella nostra povertà di uomini, possiamo apprezzare solo separatamente e che il popolo di Israele, nella sua storia millenaria, per primo ha cominciato a sperimentare.

Flash sul salmo

Il cantico di Daniele si presenta nella sua prima parte come una elencazione di benedizioni, seguite da un ritornello, e corrisponde esattamente al salmo responsoriale di questa domenica. La seconda parte invita tutte le creature ad unirsi alla lode di Dio. Ad una prima lettura, si tratta di un genere di preghiera che fatichiamo a capire: sembra una ripetizione ossessiva e monotona, che annulla il pensiero e il dialogo con Dio. In realtà, una simile composizione esige di essere musicata. Nella musica la ripetizione ritmica e continuata non è necessariamente un difetto, anzi è un pregio; e pure l'uscire da se stessi, l'estraniarsi dal mondo per accedere a un'altra dimensione è a volte uno degli effetti desiderati (c'è chi lo fa ascoltando Bach, e chi ascoltando i gruppi rock, ma questo è un altro discorso...). D'altra parte, nella preghiera più profonda, quando non solo siamo noi che vogliamo pregare, ma lo Spirito stesso prega in noi, si arriva ad un punto in cui i pensieri da soli non bastano più e si abbandonano le idee complicate: resta solo una percezione semplice e pura di Dio. La preghiera diventa lode e ripetizione della lode. Come di fronte ad una bellezza che non ci si stanca mai di contemplare. Come la bellezza di una musica che non ci si stanca mai di ripetere. Il Cantico delle Creature di San Francesco è fatto della medesima sostanza spirituale.

Flash sulla II lettura

"State lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda": l'esortazione che chiude la seconda lettera ai Corinzi richiama in breve gli atteggiamenti fondamentali che per l'apostolo caratterizzano i discepoli. In poche righe di commiato, piuttosto affrettate, non va ricercato il pregio dell'originalità o dell'approfondimento. La brevità costringe all'essenzialità: ma se noi dovessimo dire gli atteggiamenti essenziali del cristiano, su due piedi, in fretta, quali sceglieremmo? Lascio ai lettori di fare la prova. Ipotizzo però che noi di primo acchito potremmo dire qualcosa di moralistico come "comportarsi bene, essere onesti, aiutare gli altri..."; oppure qualcosa di più ecclesiastico, del tipo "pregare, andare a Messa, leggere la Parola di Dio...". Paolo mette al primo posto la gioia. Poi il camminare verso la perfezione, senza pretendere di fermarsi, o di aver fatto abbastanza, il farsi coraggio a vicenda. Noi ci accontentiamo di essere brave persone. O pretendiamo di essere uomini di Chiesa. Paolo ci chiede di essere uomini di pace: solo così potremo fare esperienza del "Dio della pace".

 

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