TESTO Commento su Matteo 28,8-15
don Cristiano Mauri La bottega del vasaio
Lunedì fra l'Ottava di Pasqua (02/04/2018)
Vangelo: Mt 28,8-15
Senza fare domande, senza indugiare un istante, svelte e ubbidienti (eseguono infatti l'ordine dell'angelo: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”». Mt 28, 7) le donne prendono subito la via del ritorno. Non è una fuga come nel caso di Mc 16, 8, soltanto una corsa.
All'improvviso Gesù si fa loro incontro. È un evento voluto, per nulla casuale. Nel testo di Matteo, Gesù «va ad incontrarle» appositamente, faccia a faccia.
Nulla si dice di Lui e del suo aspetto, perché l'attenzione deve andare tutta al saluto che rivolge alle donne: «Gioia a voi!». È il dono del Risorto al quale le donne rispondono abbracciando i piedi in segno di venerazione, di omaggio e di sottomissione.
Il «Non temete» di Gesù non sembra giustificato da alcuna paura da parte delle donne. Lo leggiamo dunque come la qualità della fede in Dio che il Risorto dona: un legame libero da ogni timore.
Il comando dato da Gesù alle donne è simile a quello dell'angelo, ma la parola «discepoli» viene sostituita con «fratelli».
Mentre la fedeltà degli apostoli è caduta, quella del Maestro resta salda nella sua offerta di amicizia fraterna.
I discepoli devono tornare in Galilea per vedere il Risorto.
Per la terza volta Matteo ci fa ascoltare questo annuncio, dopo l'ultima cena («Allora Gesù disse loro: "Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea”» Mt 26, 31-32) e dopo le parole dell'angelo che già abbiamo ricordato.
La triplice ripetizione ci spinge a soffermarci sul dettaglio.
La Galilea è il luogo degli inizi, la terra in cui Gesù avvia la sua missione, la sede in cui stabilisce la propria iniziale residenza una volta lasciata Nazareth: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!» (Mt 4, 15).
Sebbene fosse abitata in gran parte da israeliti e avesse una chiara identità giudaica, si trattava di una terra di confine, a ridosso dei territori dei pagani. Una regione di passaggio dei traffici che scorrevano dall'Egitto all'Oriente e viceversa. Un territorio travagliato come tutti quelli che appartengono a una frontiera.
La «Galilea delle genti» è luogo di contatto tra stranieri, di contaminazione tra culture, di scontro di mentalità, di mescolanza di lingue, di scambi commerciali, di esperienza della varietà. Il Vangelo, seppur inizialmente annunciato all'Israele, fin dal principio ha una portata universale e una spinta all'intrecciarsi dei popoli.
Quello è l'ambito di incontro con il Risorto e il punto di partenza designato per la missione di evangelizzazione che gli apostoli dovranno compiere.
Mi vedranno in Galilea.
Facciamo quotidiana esperienza dell'entrare in contatto con l'altro.
Gli ambienti di vita che abitiamo sono, di fatto, delle vere terre di confine. Anche quelli che ci sono più usuali e consoni.
Casa nostra, l'ufficio, il laboratorio del nonno artigiano, il bar del caffè mattutino, il solito parrucchiere, la chiesa dove si ha l'abitudine di entrare, la palestra delle tre volte alla settimana.
Tutti territori in cui si gioca il confronto-scontro con qualcuno che è diverso da noi, per quanto possa avere un volto familiare o lo sia anche a tutti gli effetti.
In essi avviene una misteriosa mescolanza. Ci intrecciamo gli uni con gli altri, ci contaminiamo, ci innestiamo reciprocamente. Tanto consapevolmente e volutamente, quanto inconsapevolmente e involontariamente. Diventiamo gli uni storia degli altri.
A volte ci si difende. Si resiste. Si nega perfino il fatto di essere fatti dal contributo di molti. Si tenta anche di fuggire affermando la propria originalità assoluta, inseguendola e sbandierandola. Capita perfino di essere tentati di rifiutare del tutto il contatto, sostenendo presuntuosamente di non averne bisogno, o accusandolo di essere un pericoloso impoverimento.
Sapere che il Risorto è presente nelle terre di confine e abita gli spazi di frontiera ci fa guardare l'entrare in contatto con l'altro in una prospettiva nuova e luminosa, confidente e carica di fiducia.
Nel contaminarci gli uni con gli altri c'è un seme di vita e una promessa di crescita costante.
Affacciarsi sul prossimo, lasciarsi toccare e toccarlo, mescolare le rispettive esistenze non sono delle buone azioni per guadagnarsi il Paradiso. Sono occasioni in cui cogliere l'appuntamento con il Risorto. Sono sorgenti in cui attingere alla vita per ciò che essa è nel suo senso più profondo.
Abbiamo bisogno d'altro per che questa Speranza per vincere le nostre diffidenze?