TESTO ...entrare negli occhi...
don Angelo Casati Sulla soglia
Domenica delle Palme (25/03/2018)
Vangelo: Gv 11,55 - 12,11
55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.
1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Come scrive un monaco amico, Goffredo Boselli, è con emozione che, in questi giorni, saremo chiamati a celebrare "riti che si tramandano da secoli, come si tramanda un'eredità di grande ricchezza, ricevuta dai nostri padri e dalle nostre madri che ben prima di noi hanno celebrato la loro fede. Ma di certo non siamo guardiani di riti antichi, bensì custodi della memoria sempre nuova del Signore Gesù, la quale è ancora oggi vivente e vitale, anche grazie a parole e gesti capaci di nutrire e confermare la fede nel Signore risorto da morte, "primo nato di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29).
Non siamo guardiani di riti antichi, siamo custodi di una memoria sempre nuova, vivente. E a introdurci nella liturgia ambrosiana ogni anno il racconto della casa di Betania. La scorsa domenica non siamo entrati nella casa. Gesù quel giorno incontrò le sue due amiche, Marta e Maria, fuori della casa; con loro andò, ancora turbato, al sepolcro. Oggi siamo nella casa. Starei per dire che, per fare Pasqua, devi entrare in questa casa. La casa di Betania. Betania è un bel nome, è la casa del povero.
Un piccolo villaggio a pochi chilometri da Gerusalemme, dove si ospitavano i pellegrini che, come Gesù e i suoi amici, non potevano permettersi un soggiorno negli ostelli della città. Noi tutti sappiamo che, da quando lasciò Nazaret, la vita di Gesù fu per lo più una vita per le strade. Non è forse vero che a uno, che lo voleva seguire, un giorno disse: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo"? (Lc 9,58) Senza casa. Eppure entrava in case. Soprattutto in case di malati. E amava essere invitato in casa di pubblicani e peccatori. E poi dai vangeli scopriamo che aveva case di amici. Dove raccontarsi, dove trovare rifugio al cuore.
E quella di Betania era una di queste. Ora sappiamo che, nei giorni che precedettero l'infamia della croce, lui passava la notte a Betania dai suoi amici. Da loro andò - è il vangelo d'oggi - anche sei giorni prima della Pasqua, la sua ultima Pasqua. Ebbene - lasciatemi dire, perdonate, sto forse forzando con l'immaginazione - quella casa, che per lui era l'intimità dell'amicizia, quel giorno era un po' come invasa da voci. Come potrebbero essere, purtroppo, questi nostri giorni che ci portano a Pasqua.
Infatti nel racconto ci sembra di vedere Gesù un po' come defilato. Le voci sono quelle dei curiosi che vogliono accertarsi del miracolo, Marta era presa a preparare, i discepoli a ragionare di soldi e quanto costava il profumo e quanto si sarebbe potuto ricavare per la carità vendendolo. Parole che riempiono la sala e l'ingresso della casa, e le rubano - perdonate - l'intimità di cui Gesù ha bisogno, rubano la comprensione dei giorni terribili verso cui lui sta andando. Non so, ma immagino, che a volte sia capitato anche a voi, di sentire il peso dell'invasione delle parole in una sala e le voci che si sovrappongono le une alle altre e la voglia di stare un po' in silenzio o tutt'al più raccontarsi, il racconto non è mai nel vociare, va negli occhi. Per questo quasi ci sembra - perdonate - che Gesù e la sua amica si siano creati nella sala quasi un eremo, in cui stare in silenzio, il silenzio e i gesti, il silenzio dei gesti.
Pensate l'intensità di quel loro stare e nessuna loro parola nella sala sul momento. Si sente invece all'improvviso la brezza leggera di un profumo che invade la casa. Pensate l'intimità del silenzio, degli occhi, del profumo e la sguaiatezza dei discorsi, anche quelli dei discepoli. Che fanno questione di soldi. Voi mi capite, dipende da come entri in una casa. Da come entri in questa settimana santa. Confesso che mi stanno aiutando a capire come entrare queste parole di Christian Bobin, nel suo libro "Il Cristo dei papaveri" dove scrive: "Quando ero invitato da qualche parte, io non entravo in una casa: entravo negli occhi delle persone. Non vedevo il resto".
Gesù e Maria entrano negli occhi, l'uno negli occhi dell'altro. E il viaggio negli occhi giunge alla terra del cuore. Al cuore dell'amico, in vista ormai di morte, di morte di croce. E lei che cosa fa? Gli profuma e gli unge i piedi. Che lui senta - tenerezza all'estremo - il soffio dei suoi capelli accarezzare i suoi piedi. Vorrei indugiare, solo un breve indugio sui piedi di Gesù: Maria li unge con uno sproposito di profumo. I piedi, quei piedi, vengono da un lungo viaggio. Il Figlio dell'uomo è venuto fra noi, lungo viaggio. E fu, per tutta la sua vita, in viaggio. Con noi e per noi. La sua non fu una vita confinata in casa in attesa che gli altri gli facessero visita: non si fece visitare, andò a visitare. I suoi piedi lo portarono ovunque. A spingerli la passione per le donne, gli uomini di questa nostra umanità, instancabile.
Anche i suoi, piedi affaticati per il lungo incontenibile andare, segnati da polvere e sabbie. Anche i suoi piedi, come i nostri, in attesa del dono di un poco d'acqua che porti sollievo, che porti ristoro. Anche lui in attesa, lui che un giorno a Simone, il fariseo, mosse rimprovero, gli disse: "Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi" (Lc 7,44). Maria di Betania non solo offre acqua, ma offre unguento e profumo. E in quella sconsiderata misura sembra quasi volerlo ringraziare di tutto il viaggio della sua vita, un lungo andare per amore, ora che i piedi resteranno inchiodati, ma per poco, a una croce. Per poco.
Riprenderà a camminare. E oggi cammina con noi. I piedi, sollevare le stanchezze. Pensate di lì a pochi giorni, nell'ultima sua cena, avrebbe lasciato questo, come segno, quasi testamento per i suoi discepoli. Dirà loro: "Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi" (Gv 13,14-15). Pensate che Giovanni, raccontando l'ultima cena, dimentica - perdonate il verbo - di raccontare l'eucaristia. E racconta la lavanda dei piedi. Come a dire che le due cose stanno insieme.
Se celebri il lungo viaggio d'amore del tuo Signore, anche tu, come lui, solleva le stanchezze di questa umanità. Lava i piedi, solleva le stanchezze. Il pensiero mi va ad Emmanuel Carrère, credente e poi non credente, che, alla fine del suo romanzo, "Il Regno", ricordando il giorno in cui ebbe l'occasione di partecipare, in una comunità, al gesto della lavanda dei piedi, scrive: "Devo ammettere che quel giorno, per un attimo, ho capito che cos'è il Regno".
Nella casa di Betania, nella sala dell'ultima cena, a Pasqua. Per capire che cosa è il regno.