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TESTO Lo Spirito di pace

don Fulvio Bertellini

Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (19/05/2002)

Vangelo: Gv 20,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

L'evangelista Giovanni concentra in un unico racconto apparizione del Risorto, dono dello Spirito, missione dei discepoli. Non si preoccupa tanto di fare una cronaca dettagliata degli eventi, ma di concludere il suo annuncio di salvezza con alcune scene forti e significative. Il nostro ascolto e rilettura di questo brano deve essere quindi particolarmente attento: è un brano riassuntivo, in cui ogni elemento ha il suo peso.

Il dono della pace

Due volte si ripete in questo brano il saluto: "Pace a voi". E' un chiaro indizio di strutturazione: dopo il primo saluto, Gesù si fa riconoscere; dopo il secondo, manda i discepoli. Prima i discepoli conoscono il Risorto; poi dalle sue parole conoscono se stessi. C'è una situazione nuova, che da Gesù transita ai discepoli: il Cristo non è più esattamente quello di prima, ma neanche i discepoli sono più gli stessi. Il termine che riassume la novità della situazione, per Gesù e per i discepoli, è il termine "pace". La pace era la situazione nuova portata dal Messia: se Gesù dona la pace, vuol dire che l'era messianica è ormai arrivata. Non però nel modo in cui era attesa dal popolo ebraico: come benessere materiale, abbondanza di raccolti, fecondità, lunga vita e vittoria sui nemici. Non che il cristiano debba disprezzare questi beni: però deve andare oltre.

La pace nella croce

La pace del Risorto porta i segni delle piaghe. Non solo le mani e il costato, che rappresentano la sofferenza di Gesù; ma anche la ferita del costato, che rappresenta l'effusione di amore e di salvezza per tutto il mondo avvenuta sul Calvario. La pace portata da Gesù non è indifferenza, egoismo, gelosia dei propri beni: è capacità di accettazione, di perdono, di sopportazione del male. E' capacità di donare. Tutto questo è proprio del Risorto: solo Gesù poteva avere un amore così grande da donare la vita, e così forte da riprenderla. Molti uomini nei secoli hanno sacrificato la loro vita, in vari modi, per le persone che amavano o per gli ideali in cui credevano: solo in Gesù c'è una vittoria reale e concreta, la vittoria della Risurrezione.

Una pace da donare

Una seconda volta Gesù dice ai discepoli il saluto della pace. Ma stavolta, non parla più soltanto di se stesso. Gesù non è soltanto il Risorto che può donare pace e offrire il perdono. Gesù è anche colui che offre ai discepoli il dono di poter donare pace e perdono. La Risurrezione trasforma così la vita dei discepoli, li coinvolge in una vicenda completamente nuova, dando loro lo stesso potere di Gesù. Noi rischiamo di vedere soltanto il lato umano dell'evento: Gesù risorto ci rende portatori di pace nei confronti degli altri uomini. Non dobbiamo dimenticare però che tutto viene dal Padre: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". E' al Padre che tutti gli uomini devono ritornare. E' nel Padre che si ritrova la vera pace.

La pace nello Spirito

Tuttavia, manca ancora qualcosa. Rischia di essere tutto una pura utopia, un bel progetto irrealizzabile. Gesù invece manda subito il dono dello Spirito, forza efficace di riconciliazione. "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi. La salvezza proposta da Gesù attraverso i discepoli non è una semplice etichetta, una bella dichiarazione di intenti, ma è una realtà che si realizza per la forza dello Spirito, e ha una sua dimensione visibile. Ciò che fanno i discepoli (visibile) ha un riscontro reale (che appartiene alla realtà invisibile).

Uomini di pace

Lo Spirito dunque ci spinge ad essere uomini di pace, a portare la stessa pace del Risorto. Come fare? Più che una realtà da costruire è una realtà da accogliere. I primi ad aver bisogno del perdono siamo noi. Prima di andare a predicare agli altri, noi per primi dobbiamo riconciliarci con Dio. Dalla coscienza di essere perdonati nasce lo spirito di accoglienza: si tratta essenzialmente di aprire le porte. Lasciare che altre persone entrino nella nostra vita. Possono essere le persone della nostra famiglia. Possono essere i vicini di casa, i compagni di lavoro, gli uomini e le donne della nostra città, del nostro quartiere. Lo Spirito ci apre gli occhi sulla realtà della disgregazione: decine e decine di persone vivono gomito a gomito, spesso sgomitando, senza mai incontrarsi. Famiglie sole e isolate, in cui può accadere che una madre getti il figlio in lavatrice. Lo Spirito ci sottrae al nostro egoismo e alla nostra finta privacy, e ci spinge a costruire l'autentica pace. La pace che non ignora i conflitti, che non finge di non vedere i mali, che si china con amore su ogni sofferenza e disagio. La pace che non nasce dai nostri sforzi, ma dalla forza imprevedibile dello Spirito.


Flash sulla I lettura

La festa giudaica di Pentecoste è la cornice del racconto della prima solenne effusione dello Spirito Santo, e dei suoi effetti pubblici. Si trattava della festa del raccolto, in cui venivano offerte a Dio le primizie della mietitura. Si apre così una prospettiva interessante nel racconto: il dono dello Spirito consente di cogliere le primizie della missione degli apostoli, i primi frutti della nuova epoca inaugurata dalla Risurrezione di Cristo. Nel giudaismo posteriore la festa di Pentecoste era caratterizzata anche dal riferimento all'Alleanza e al dono della Legge. Non sappiamo se il collegamento era già stato effettuato all'epoca degli Apostoli: in tal caso il dono dello Spirito sarebbe il compimento dell'Alleanza, la nuova Legge, non scritta su tavole di pietra ma sui cuori. L'evangelista tuttavia non insiste su questi temi: lo Spirito è visto come forza che dà coraggio ai discepoli e favorisce la loro comunicazione. Con il dono dello Spirito i discepoli escono dal cenacolo, si espongono in pubblico, danno avvio alla loro testimonianza: una testimonianza che è impossibile trascurare.

Un ultimo rilievo: la lista dei popoli presentata nel brano non comprende propriamente i pagani, ma i Giudei della diaspora, che abitavano a Gerusalemme o che si erano radunati per la festa. Nel piano narrativo degli Atti l'apertura ai pagani avviene soltanto in seguito, con la predicazione di Pietro a Cornelio, e con la missione della comunità di Antiochia. Qui però si ha un primo, significativo movimento di espansione: l'annuncio sfonda i confini di Gerusalemme, e abbatte anche le barriere linguistiche e culturali: "li sentiamo annunciare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio". E noi quali barriere siamo chiamati ad abbattere, dalla forza dello Spirito?


Flash sulla II lettura

"Nessuno può dire "Gesù è il Signore", se non sotto l'azione dello Spirito Santo". A Corinto i doni dello Spirito erano diventati oggetti di contese e gelosie, con divisioni nella comunità; e la cosa è stupefacente. Come possono i buoni doni dello Spirito diventare causa di dissidio nella comunità? Paolo sgombera subito il campo: il primo dono dello Spirito è la fede nel Risorto, che dovrebbe accomunare tutti e far ritrovare l'unità.

"Ci sono poi diversità di carismi": solo in un secondo tempo vengono valutate le differenziazioni. Nella comunità sono presenti diversi carismi (doni personali dello Spirito), diversi ministeri (incarichi da svolgere), diverse operazioni (con questo termine forse Paolo intende l'azione concreta che viene svolta, e il suo risultato effettivo, di successo o insuccesso). Nella comunità cristiana non sono tutti uguali, ma esiste un'unità profonda, che viene ritrovata in Dio. L'uguaglianza di cui parla Paolo non è un'uguaglianza astratta, costrittiva, che appiattisce le persone: i cristiani non sono fatti in serie! Siamo uguali perché accomunati dall'amore di Dio, dalla fede in lui, dalla sua azione salvifica, e più che essere uguali, siamo uno, diventiamo un solo corpo in Cristo. Non ci è richiesto lo sforzo dell'omologazione: ci è richiesto di accogliere il dono della comunione.

 

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