TESTO Commento su Marco 9,2-10
II Domenica di Quaresima (Anno B) (25/02/2018)
Vangelo: Mc 9,2-10
2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”, scrive san Paolo: in altre parole, come poteva Dio chiedere in olocausto Isacco, se proprio Lui, Dio, lo aveva donato ad Abramo e Sara?
Questo è il primo quesito. E il secondo è: per quale motivo la liturgia accosta il sacrificio di Isacco alla trasfigurazione di Gesù?
Sul sacrificio di Isacco è stato scritto moltissimo: la tesi teologica tradizionale, la conosciamo tutti, esalta la fede cieca di Abramo, il quale obbedisce, accettando il comando divino, senza opporre resistenza, fosse anche quello di uccidere il figlio; la Bibbia propone anche un'altra ipotesi che possiamo definire antropologica, secondo la quale, Abramo sarebbe entrato in contatto con un popolo straniero, e si sarebbe adeguato alla cultura locale, che usava consacrare le fondamenta del tempio, seppellendovi i cadaveri dei maschi primogeniti, uccisi dai genitori e offerti in olocausto alla divinità. Abramo avrebbe infine desistito, intuendo che le convinzioni umane circa la Volontà di Dio, non corrispondevano a Verità.
Che si segua il filone teologico, oppure quello culturale-antropologico, la vicenda ha comunque un lieto fine, e ci insegna almeno due cose: la prima è che ad aver fede non si sbaglia mai; la seconda è che la Verità va cercata ogni giorno; non ci si può illudere di averla trovata e di possederla una volta per tutte: sarebbe protervia...
Non si possiede nulla e nessuno, una volta per tutte!... Neanche la fede... neanche Dio!
Veniamo al fatto della trasfigurazione di Gesù: l'evangelista Marco precisa che Gesù fu trasfigurato, insinuando che il soggetto dell'azione non è il Figlio di Dio, ma il Padre, il quale, non solo agisce, ma parla anche: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!”.
Il particolare della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia è un modo, diciamo, scenografico, per affermare che Gesù conferma in modo definitivo l'Alleanza stretta con Mosè sul Sinai, e realizza le profezie messianiche di Isaia. Anche per questo, soprattutto per questo, la voce di Dio comanda ai tre testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, di ascoltare il Vangelo che il Figlio è venuto ad annunciare con la parola e con la vita. Ecco, quanto alla parola, si può dire che i Dodici capirono... quanto invece alla vita, Marco ci informa che (i Dodici) non capirono ciò che stava per accadere; che cioè Gesù sarebbe risuscitato dai morti. Anche perché non si può risuscitare senza prima essere morti... E tutto potevano immaginare, gli apostoli, tranne che il loro maestro, all'apice della notorietà, presto sarebbe morto...e in quel modo, poi...
Ed è proprio a questo punto che il sacrificio di Isacco viene a ruolo: all'offerta di un sacrificio umano, Dio risponde sacrificando il suo Figlio unigenito; per smentire una volta per sempre la convinzione che si possa piegare la volontà di Dio a suon di sacrifici: al contrario, è Dio che compie un gesto in nostro favore; e non un gesto qualsiasi: Dio ci dona la sua vita!
Possiamo stare tranquilli: nel segno della passione e morte di Gesù, Dio ci ha mostrato di non esserci ostile, anzi, (ci ha mostrato) di amarci come la sua stessa vita e forse anche di più.
Del resto, sappiamo che tutti gli insegnamenti del Signore sono stati vissuti da lui in prima persona: “Ama il prossimo tuo come te stesso.”(Mt 22,37-40); “Chi ama la propria vita la perde!”(Gv 12,20-33); “Non c'è amore più grande di questo: dare la vita per gli amici.”(Gv 15,13).
Il comando impartito ai tre apostoli dalla voce che parlava di tra le nubi significa ben più che il semplice ascoltare con le orecchie: in contesto biblico, ma non solo, ‘ascoltare qualcuno' significa ‘fare ciò che quel qualcuno dice': mi vengono in mente le parole di Maria ai servi del banchetto nuziale di Cana: “Fate tutto ciò che vi dirà!”(Gv 2,5).
Ci portiamo a casa questo comando di Dio; facciamo un esame di coscienza sul significato che diamo al verbo ascoltare: ragazzi, quando vostra madre vi dice: “Ti prego, ascoltami!”, sapete bene che in verità vuol dirvi: fai come ti dico. Lo stesso si potrebbe dire ai mariti, quando le mogli pronunciano la stessa espressione, e viceversa... Ma anche un figlio ha tutto il diritto di essere ascoltato, quando implora suo padre, sua madre, nello stesso modo.
Quanto a Dio, lui ascolta sempre le nostre invocazioni. Ma, allora, perché non fa come noi gli chiediamo di fare? perché non accorre quando lo invochiamo? Dov'è questo Dio, del quale tanto si decanta l'infinita bontà e provvidenza?
L'insondabile mistero della sofferenza non si può liquidare con risposte opportuniste, o banali; tantomeno storpiando l'immagine di Dio a nostro uso e consumo, facendolo diventare indifferente, o addirittura sadico; e neppure considerando il dolore una grazia, o, peggio, una punizione. E noi sappiamo quanto siano ancora purtroppo diffuse siffatte convinzioni.
Ebbene, a queste obbiezioni, che intaccano profondamente l'identità della sua Persona, Dio potrebbe rispondere con un'altra domanda:
“Che cosa ne avete fatto dei dolori di mio Figlio? ve l'ho donato, gratuitamente, senza chiedervi conto della sua morte... E non vi basta ancora?”.
La passione di Cristo non può intendersi come un atto circoscritto nel tempo, relegato ad un passato dal quale ci separano ormai 2000 anni di storia sacra e profana; la passione e morte di nostro Signore costituiscono un capitale - e che capitale! -, dal quale possiamo attingere grazia, forza, tutte le energie necessarie ad affrontare le prove che la vita ci riserva; ce n'è abbastanza per noi e per gli altri... Ce n'è abbastanza per tutti, per tutti!
Lo facciamo? Sembra di no... Lo dimostra il fatto che quando viviamo momenti di crisi, va in crisi anche la nostra preghiera.
Non è il caso di ripetere per l'ennesima volta quali sono i canali attraverso i quali attingere al capitale della passione di Cristo... Al primo posto, i Sacramenti, scaturiti proprio dal costato aperto di Gesù; beh, l'elenco continuatelo voi.