TESTO Commento su 1Sam 3,3-10.19; Gv 1,35-42
Carla Sprinzeles Radio Nichelino Comunità
II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (14/01/2018)
Vangelo: Gv 1,35-42
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
Terminato il tempo di Natale, rimettiamoci in cammino. L'obiettivo è essere felici, ma come fare? Ecco le letture ci conducono per mano e ci indicano la strada.
Oggi ci viene presentata dalla liturgia la chiamata dei discepoli, che a quel tempo erano discepoli di Giovanni. In fondo è proprio il passaggio del testimone da Giovanni Battista a Gesù attraverso due dei suoi discepoli.
Anche nella nostra vita ci sono queste svolte in cui ci è chiesto di decidere personalmente il cammino, di non lasciarci portare semplicemente dagli istinti, dalla volontà di emergere, dal desiderio di possedere, dal voler apparire, ma dallo Spirito del Signore, cioè dalla forza della vita che ci conduce alla nostra identità.
Ogni chiamata si intreccia con altre chiamate. La chiamata della vita non è mai individuale, è sempre una missione che coinvolge altri. La chiamata ci perviene sempre attraverso persone, situazioni, esperienze che compiamo, ma ha alla radice una Parola più grande. E' l'intreccio tra creature e creatore, tra la Parola della vita e la parola dei viventi che incontriamo.
1 SAMUELE 3, 3-10.19
La prima lettura è tratta dal I libro di Samuele. Fa parte dei libri, che noi chiamiamo storici (Giosuè, Giudici, Samuele, Re). Non sono libri di storia, non cercano di ricostruire gli avvenimenti con esattezza, l'autore non è un fotoreporter, ma un profeta che cerca il senso dell'avvenimento. Cerca di scoprire quale parola di Dio è contenuta in quell'avvenimento. Dovremmo imparare da loro a continuare a cogliere il senso della nostra storia.
La protagonista è la fiducia in Dio. Samuele è figlio di Anna, che essendo sterile è affranta. Dovete pensare che non c'erano pensioni, né assicurazioni sulla vita, il figlio era l'unica forma di assicurazione per la vecchiaia. L'intervento straordinario di Dio permette ad Anna di avere Samuele, che viene considerato dono gratuito di Dio, che rovescia le situazioni di ingiustizia. In un tempo in cui Dio sembra assente, Samuele diventerà il punto di unione tra Dio e il suo popolo. Il testo si apre con un contrasto tra il vecchio Eli, sacerdote ormai quasi cieco e il giovane Samuele che dorme presso l'Arca del Signore, la lampada è ancora accesa. Samuele vive da tempo nel santuario, teoricamente “sa” molto di Dio, ma non l'ha ancora “conosciuto”, cosa vuol dire? Significa fare esperienza diretta. Samuele viene chiamato nel sonno col proprio nome. Si alza per tre volte e va da Eli, l'unica persona che può averlo chiamato! La terza volta Eli, vecchio, cieco e stanco suggerisce a Samuele che sia il Signore a chiamarlo. “La parola del Signore era rara in quei giorni” e Samuele non ne aveva fatto esperienza, ma è pronto e disponibile. Eli conduce Samuele a relazionarsi con Dio:”Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Il giovane si orienta verso il nuovo Maestro. “Samuele acquistò autorità perché il Signore era con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.
Quello che io ho colto è che ognuno di noi ha bisogno di un maestro umano; la parola di Dio, l'esperienza di Dio passa attraverso una persona come noi, ma poi occorre lasciare il supporto umano, altrimenti è come se rimanessimo attaccati al palo che indica la direzione, non arriveremo mai alla meta se siamo attaccati a un palo. Quello che è molto importante dopo aver fatto un'esperienza di un contatto col Signore è sapere che lui è sempre con noi. Il Signore è una persona seria non ci lascia mai, è quindi molto bello, utile e di gran gioia e fecondità, condividere con lui ogni momento della nostra vita. Non c'è niente che a lui non interessi di noi! Il banale non è banale per lui, il nostro intimo, ogni nostra difficoltà, gioia, emozione, lui la condivide con noi! Le persone che si sentono sole, non lo sono! Se respiriamo, se siamo in vita, è il soffio vitale che ci tiene in vita, viviamolo, facciamo esperienza di questo potente soffio, è lì e noi non lo sappiamo! Anche nel momento della nostra morte è lì ad aiutarci a partorire la fiducia in lui e a distaccarci dal nostro corpo, con cui abbiamo condiviso questo tratto di vita. Il segreto della parola di oggi è fiducia.
GIOVANNI 1, 35-42
La lettura del Vangelo è di Giovanni e riprende il tema che ci è proprio utile in questo momento, ci indica come fare a incontrare il Signore. Giovanni scrive il vangelo già in tarda età e ricorda come è avvenuto a lui l'incontro con Gesù. Il suo primo maestro era Giovanni il Battista, che “stava”con lui e con Andrea, fratello di Simone. Gesù “passa”. Giovanni è la sentinella che, dal suo posto di osservazione, scruta in lontananza e in profondità il Signore è colui che “passa”, è la Parola in perenne movimento di amore. Il Battista rende testimonianza a Gesù, servo e agnello, perché anche i suoi discepoli vedano quello che anche lui vede e, abbandonino lo “stare”, si affidino al “camminare”.
Lo sguardo penetrante e l'annuncio profetico di Giovanni provocano un'improvvisa tensione di scena:”idue discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”, anche loro non rimangono legati e fermi al primo maestro. L'attenzione si sposta da Giovanni a Gesù, che sicuramente si rende conto di essere seguito, difatti il testo dice: ”Si voltò”, anche se sconosciuti, mostra disponibilità e desiderio di intessere un dialogo. Sì, perché Gesù cammina, ma non a caso o assorto nei suoi pensieri, come molte volte facciamo noi. La sua reazione suggerisce che egli abbia sotto controllo ciò che avviene attorno a sé, altrimenti non avrebbe sentito il bisogno di fermarsi e di voltarsi indietro. Gesù non è distratto o assente, ma è attento a quello che accade intorno a sé.
Questo a mio parere è già un insegnamento molto utile, per il benerssere nostro e degli altri. Essere attenti! Molte volte noi per paura di essere coinvolti facciamo finta di niente. Abbiamo paura di essere guardati negli occhi e magari dover rispondere a qualche domanda, oppure non conosciamo le intenzioni degli altri e ne abbiamo paura. Voltarsi, significa accettare di comunicare. Cosa ne pensate voi? Secondo me oggi la comunicazione è una grossa difficoltà: sarò capita, accettata, fraintesa o criticata? L'incontro con l'altro suscita conflitti, giudizi, da dove viene costui? Non è dei nostri! Voltarsi però è cogliere un'occasione, che forse non si ripeterà più.
I due discepoli del Battista sono alla ricerca e il voltarsi di Gesù è una risposta alla loro inquietudine. Gesù “guarda” i due, ecco cogliere questo “sguardo”penetrante, che vuol giungere in profondità, è molto importante. “Che cosa cercate?” Sentiamo la domanda rivolta a noi: cosa cerchi? Cosa ti aspetti da me? Perché mi cerchi? Non è semplice essere veri, sapere cosa in realtà cerchiamo, sovente ci inganniamo da soli! Oppure cerchiamo qualcuno che ci risolva i problemi a modo nostro! I due rispondono con un'altra domanda: ”Rabbi-Maestro dove abiti?” Si offrono, donano il loro essere nelle mani del Maestro. “Venite e vedrete”, l'invito è a toccare con mano la realtà. Non è solo una curiosità, è percepire il segreto della vita. I discepoli “andarono dunque” occorre avere il coraggio di affrontare l'ambiente nuovo.
“Quel giorno rimasero con lui” rimasero nel movimento d'amore che il Figlio Gesù ha per il Padre. In questo vincolo d'Amore che si chiama Spirito, dovettero stare molto bene perché Giovanni ricordava l'ora in cui è successo: ”Erano le quattro di pomeriggio”: i momenti forti dell'amore si ricordano. Non parla della casa di Gesù perché in altro passo si dirà che “non aveva dove posare il capo”. Che giornata felice dovettero trascorrere, che notte beata! Il Signore vuole venire nella nostra casa, nel nostro cuore, per trattenersi a parlare con noi!
Amici, cosa ci fa alzare la mattina, cosa ci spinge a entrare in relazione con gli altri, cosa ci fa studiare, pregare, lavorare o giocare? Cosa cerchiamo tutti? Cerchiamo la vita piena, anche se non sempre sappiamo che è solo lui, la Vita della nostra vita, la forza del nostro ardore, la gioia della nostra felicità. Dio passa attraverso le creature, solo attraverso altri esseri umani possiamo intuire la strada, tuttavia necessariamente, dovremo abbandonare la guida rassicurante, per trovare la vita che ci appartiene e della quale solo noi possiamo realizzare tutte le armonie. Il nostro obiettivo è come Gesù, incarnare la Vita del Padre.