TESTO Commento su Gen 15,1-6; 21,1-3; Lc 2,22-40
Carla Sprinzeles Radio Nichelino Comunità
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (31/12/2017)
Vangelo: Lc 2,22-40
22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – 24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
31preparata da te davanti a tutti i popoli:
32luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Il tema della famiglia oggi è molto attuale, vediamo come la famiglia di Nazareth può essere di modello.
Non la idealizziamo, non pensiamo che la famiglia di Gesù non abbia avuto difficoltà. E' una famiglia come tutte le altre, con le sue difficoltà, incertezze, incomprensioni, in cui non c'è stata una visione fin dall'inizio di quello che poi sarebbe avvenuto. A 12 anni Gesù pose dei problemi ai dottori della legge nel tempio. I suoi genitori lo rimproverarono. Maria disse: “Perché hai fatto così? Tuo padre ed io ti cercavamo con angoscia” e Gesù rispose: “Ma io l'avevo detto che volevo interessarmi di problemi religiosi, delle cose del Padre mio”. I genitori non avevano capito le sue esigenze.
La famiglia è un ambito di educazione, di crescita, richiede un particolare tipo di amore, che si sviluppa, fa crescere per lanciare nella vita.
GENESI 15, 1-6; 21, 1-3
La prima lettura ci fa comprendere il dramma di Abramo in una realtà in cui non esiste la fede nella resurrezione. La vittoria sulla morte è data dalla permanenza del “nome” nella storia, attraverso la catena generazionale. Generare figli diviene la condizione di vivere dopo la morte. Generare un figlio indica che la vita è “benedetta”, è feconda, diviene “vita eterna”.
Sara, la moglie di Abramo è sterile ed è in età avanzata. L'ansia e i dubbi portano Abramo e Sara a porre in atto tentativi diversi per darsi l'immortalità, forzando la realizzazione della promessa, attraverso l'adozione di un servo, o la generazione di un figlio da una schiava.
La storia di Abramo e Sara è dunque una storia “umana”, intessuta di fede e dubbio, di fiducia nel Dio della promessa e di scoraggiamento perché la sua Parola non si realizza. Eppure Abramo è ricordato per la sua fede “per la sua fede Abramo divenne padre di tutti i popoli”.
Come conciliare Abramo, il “credente”, con colui che non vedendo il realizzarsi della promessa dubita e decide di agire per dare una svolta al proprio destino? Il brano di oggi ci suggerisce una risposta: “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Abramo continua a credere e questo perseverare nella fede lo rende giusto. Abramo si è radicato in Dio.
Dio aveva chiesto ad Abramo di lasciare la propria patria, di farsi straniero, seguendo un Dio che non conosce verso una terra che non possiede. Credere è dunque per Abramo continuare a seguire in una estraneità sempre più dolorosa, lasciando che la relazione con Dio diventi la sua terra, il suo popolo, la sua stabilità e la sua stessa identità.
Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia.
Abramo si fida di Dio: questa è la sua giustizia. La relazione con il Dio della promessa diviene, perciò, più importante del realizzarsi stesso della promessa.
LUCA 2, 22- 40
La famiglia di Gesù è stata una famiglia come tutte le altre: non dobbiamo pensare che le parole di Simeone e Anna fossero già un'indicazione di un cammino sicuro che Giuseppe, Maria e Gesù dovevano percorrere e che era conosciuto; tanto è vero che Giuseppe e Maria si meravigliavano di queste parole ispirate, di questi auguri che venivano pronunciati su Gesù. Gesù, il Messia, il Dio incarnato, è venuto per “la rovina e la risurrezione di molti, perché siano svelati i pensieri di molti cuori".
Il Salvatore ha dunque a che fare con il discorso interiore che accompagna l'esistenza umana giorno e notte, questo fiume di pensieri che si realizzano poi in gesti e parole determinate o che invece sfuggono al loro autore.
Ascoltando questo vangelo, uno può sentire un brivido, al pensiero di quel terribile giorno del giudizio finale in cui saranno rivelate tutte le azioni con le loro motivazioni. Eppure è appunto una cosa meravigliosa sapere che non saremo giudicati sull'apparenza, e che lo svelamento della nostra interiorità sarà invece la garanzia della comprensione infinitamente compassionevole del Signore.
Simeone e Anna dimostrano una gioia che forse non riusciamo a capire, perché per noi Gesù non è ancora il liberatore di ciò che in noi è oppresso, pauroso, arrabbiato.
Il Salvatore invece viene a rompere veramente il cerchio infernale del giudizio, fonte di tante incomprensioni, solitudini, spaccature, vendette e depressioni. Rivela infatti, i meccanismi di sofferenza che stanno dietro alle negatività, quando ad esempio mostra il pubblicano della parabola giustificato non dalla sua fedeltà alla legge, bensì dal suo riconoscere la propria incapacità a essere in regola.
Cristo fa entrare l'umanità nel suo dinamismo pasquale, dalla rovina alla risurrezione, dall'impotenza umana a fare il bene, dal dolore innocente eppure causato dall'incoscienza, alla fiducia nel Bene che sostiene la vita. Sulla croce rivelerà il grande segreto del male, quando griderà: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
I litigi familiari, comunitari o nell'ambiente di lavoro, non vengono spesso dall'attribuire all'altro la responsabilità d'atteggiamenti di cui non è neanche consapevole? Gesù è “segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori”, appunto perché sa che dietro all'infedeltà o all'incomprensione c'è un grido che chiama la salvezza, che passa attraverso la compassione del fratello.
La perfezione chiesta all'essere umano non è morale, ma è quella dell'amore che è fiducia, riconoscimento della propria debolezza, apertura all'altro senza nascondersi dietro la bella figura, accoglienza della negatività altrui come manifestazione delle sue ferite affidate a chi gli sta di fronte.
Amici, è una famiglia che ha “umanizzato” Dio, perché è nella famiglia che l'amore di Dio si fa carne, diviene sperimentabile.
Oggi tocca a noi “umanizzare” Dio, renderlo sperimentabile, far sentire il calore dell'amore di Dio a chi ci sta vicino.