TESTO Una graziosità nuova
III Domenica di Avvento (Anno B) - Gaudete (17/12/2017)
Vangelo: Is 61,1-2.10-11; 1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
6Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose:
«Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia».
24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
La gioia e l'esultanza espresse da Maria nel salmo responsoriale di questa domenica sono l'eco di quelle del profeta Isaia nella prima lettura. Io gioisco pienamente nel Signore (Is 61,10), dice il profeta, come Maria esclamava: La mia anima magnifica il Signore (Lc 1,49). Isaia poi continua: La mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza... come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli (Is 61,10).
Il motivo di gioia sia del profeta Isaia che di Maria è un'avvenenza nuova che il Signore ci conferisce, espressa attraverso l'immagine di vesti nuove, di un mantello, di gioielli e di un diadema, tutti simboli della vera bellezza che il Signore ci dona, vale a dire la grazia.
Tra i tanti significati della parola ‘grazia' vi è appunto anche quello di ‘bellezza'. Ne abbiamo la traccia in espressioni ancora in uso oggi, come nell'appellativo ‘grazioso' riferito per esempio ad un volto. Un volto grazioso è bello, gradito, ben visto. Visivamente, la corrispondenza tra grazia e bellezza è espressa nella differenza tra il volto di Eva prima e dopo la trasgressione nei celebri affreschi della cappella Sistina. Vi si vede prima Eva vicino ad Adamo in una delle immagini di donna più belle mai dipinte da Michelangelo. Immediatamente dopo la scena con l'albero avvolto dal serpente, però, appaiono Adamo ed Eva dopo la loro trasgressione e il viso di Eva è contorto, già deturpato dalle conseguenze del peccato, già sgraziato.
Siamo stati creati ad immagine di Dio, siamo riflessi della sua bellezza, ma solo se restiamo rivolti verso di lui. Quando ci separiamo da lui l'immagine si sbiadisce, si sfigura e la ritroviamo solo se ritorniamo a rifletterci in lui. Abbiamo allora accesso ad una bellezza ritrovata così descritta da Isaia: mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia (Is 61,10). La grazia che ci rende di nuovo ‘graziosi' è quella della salvezza e della giustizia. Con la giustizia siamo resi giusti, cioè siamo ‘aggiustati', riparati, restaurati. E' ristabilita in noi l'immagine di Dio. Uniti a Gesù siamo di nuovo graditi, accetti a Dio, possiamo cioè sentirci dire la frase stessa che il Padre rivolge a Gesù: Ecco il mio figlio prediletto, - cioè il mio figlio che è gradito, che è grazioso - in lui ho posto tutta la mia gioia (Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22).
Il cantico di Maria precisa in cosa consista questa bellezza, questa graziosità nuova che il Signore ci dona. Maria gioisce ed esulta per questo dono rivolto a lei e a tutta l'umanità. E' interessante constatare che nella prima parte del Magnificat Maria non esita a parlare di se stessa. Ci sono sei pronomi possessivi: l'anima mia magnifica il Signore; il mio spirito esulta in Dio mio salvatore; ha guardato all'umiltà della sua serva; tutte le generazioni mi chiameranno beata; grandi cose ha fatto in me l'onnipotente (Lc 1,46ss). Poi, nella seconda parte, esulta per tutti coloro che sono anch'essi oggetto della misericordia di Dio, che temono Dio - esulta per gli umili, per gli affamati, per Israele. Tutti questi appellativi indicano simbolicamente noi, che siamo il popolo di Dio.
Ora, tra queste due parti del Magnificat, situata al centro del cantico proprio per sottolinearne l'importanza, appare la parola misericordia: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono (Lc 1,50).
La misericordia è al centro, perché Maria teme il Signore, come lo temono tutte le categorie di credenti menzionati nella seconda parte del Magnificat. Solo meditando su questa misericordia capiamo come il Signore ci salvi, ci giustifichi, ci rivesta di grazia e di bellezza nuova. Lo fa perdonandoci, avendo misericordia di noi, chinandosi su di noi, non stancandosi mai di rimettere i nostri peccati.
Il proprio della misericordia è che non possiamo fare nulla per meritarla, perché è un dono assoluto. Non la si riceve mai una volta per tutte, ma deve essere mendicata costantemente, come lo confessiamo quando quotidianamente, con il Padre Nostro, proprio questo chiediamo al Signore: Rimetti a noi i nostri debiti. E quotidianamente ripetiamo con Maria: “il Signore ha guardato la mia umiltà, la mia piccolezza, la mia incapacità”, letteralmente “il mio nulla”. Se il Signore ci salva, se ci ama, se costantemente ci perdona, non è perché creda che saremo mai capaci di corrispondere al suo amore, di fare grandi cose, di accedere ad una bellezza che potremmo attribuirci. Tutta la nostra bellezza, tutta la nostra capacità di corrispondere all'amore del Signore, sono un dono. Ciò che il Signore guarda è il nostro bisogno, la nostra piccolezza, la nostra incapacità.
Non dimentichiamo che, prima di essere qualcosa che il Signore concede, la misericordia rappresenta la sua stessa identità: Dio è misericordia. Questo è il nome che si attribuisce quando Mosè gli chiede di vedere il suo vero volto: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso (Es 34,6). Ecco il vero nome del Signore: Dio misericordioso, che conserva il suo amore per mille generazioni e perdona la colpa, la trasgressione e il peccato (Es 34,7).
Nessuno ha espresso questa verità più eloquentemente di Bach nel suo famoso Magnificat e specialmente nel passaggio: Et misericordia eius a progenie in progenies timentibus eum, ‘La sua misericordia, di generazione in generazione su quelli che lo temono' (cf. Lc 1,50). L'incedere calmo, regolare, inarrestabile di questo brano esprimono la serena determinazione del Signore, la sua affidabilità, la sua fedeltà: mai rifiuterà di perdonarci, mai si stancherà di soccorrerci, non solo di generazione in generazione, ma attraverso tutti i momenti, tutte le tappe della nostra vita.
Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, “Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B” ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui