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TESTO Inutile giustificarsi - Parte seconda

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2017)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

“Chi me lo fa fare? Ho già tante cose mie per la testa, ci manca anche di mettermi a fare qualcosa per gli altri... Chi si dà da fare per gli altri è perché ha buon tempo, se avesse qualcosa da fare a casa o sul lavoro non andrebbe a perdere tempo in giro. Per cosa, poi? Per sentirti osservato, giudicato, criticato se sbagli a fare qualcosa? Ma ci mancherebbe! Preferisco fare le mie cose, che ne ho già tante, chiudermi nel mio mondo e lasciar correre tutto il resto. Tanto, per quello che abbiamo da vivere...”. E via dicendo...

Pensieri da uomo qualunque, da uomo della strada, da rappresentante dell'opinione pubblica media. Pensieri di chi preferisce interessarsi dei propri problemi senza farsi gli affari altrui. Pensieri di chi non ha molta voglia di darsi da fare per il bene comune perché, tant'è, la vita è talmente breve che è meglio godersela facendo ciò che ci piace, soprattutto se questo coincide con gli affari propri senza coinvolgere gli altri. Pensieri di chi è affetto da uno dei peggiori vizi capitali, l'accidia, quell'inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene che diventa pigrizia, indolenza, svogliatezza: peggiore rispetto ad altri perché subdolo, latente, non evidente, nascosto. Nascosto, come si nasconde in una buca una somma di denaro che ti viene affidata perché tu la possa far fruttare con le tue abilità, con le tue capacità, con il tuo lavoro, e - perché no? - anche con le tue doti, con il tuo talento, che - ironia della sorte - ha lo stesso nome di ciò che ti è stato affidato; e allora non puoi dire che tu non sai nulla di queste cose, che sono cose che tu non comprendi, che sono cose che non ti riguardano e non fanno parte della tua vita, perché a te, come a tutti, è affidato un talento da far fruttare proprio perché con un talento dentro di te ci nasci già, ce l'hai da sempre, e quello che ti è affidato ti corrisponde, fa parte di te.

Chi te l'ha affidato? La vita, la natura umana, il destino, la società in cui vivi, la storia che percorri, chiamalo come vuoi tu. Io lo chiamo Dio, perché credo davvero che sia lui ad aver messo nel cuore di ognuno di noi un talento sin dalla nascita; così come credo che sia lui ad avercene affidato, lungo il corso della nostra esistenza, uno o più da far fruttare, “secondo le capacità di ciascuno”. Se c'è di mezzo Dio (e questo lo crediamo in molti), allora quei pensieri iniziali non sono solamente da uomo qualunque, da uomo della strada, da uomo solitario e senza contatti con l'ambiente circostante: possono essere anche pensieri da uomo credente, da uomo che ha posto la sua speranza in qualcuno di grande, da uomo che ha fede in un destino che va oltre la nostra stessa vita...

Proprio così: l'accidia colpisce tutti, anche chi dice di credere. Anche - e qui la cosa si fa drammatica, perché senza giustificazioni - chi dice di conoscere bene Dio, e di agire (o meglio di “non agire”) di conseguenza proprio perché lo conosce bene. “Ti conosco, Dio - questo è il ragionamento del servo accidioso della parabola - so che sei un duro, e che quello che vuoi lo ottieni, comunque e ovunque, anche dove apparentemente non sei coinvolto. Ecco, io non ho bisogno di un Dio così, non voglio avere nulla a che fare con te, mi fai paura: non ti chiedo niente, è vero, perché magari non sono di quelli che corrono in chiesa a ogni piè sospinto. Ma come non ti chiedo niente, così non ti rubo niente. Quello che mi hai affidato, te lo restituisco intatto: così non potrai mai dirmi che sono stato disonesto”.

Non fa una grinza, questo ragionamento. Tranne che in un piccolo particolare: che Dio è tutto meno che un duro. E al servo accidioso non lo manda a dire: gli ripete le sue stesse parole, concorda con lui sul fatto di essere capace di ottenere ciò che vuole (del resto, è Dio, ed è onnipotente e immortale), ma non sul fatto che sia un duro. Tant'è vero che agli altri due concede di entrare a far parte della sua gioia (cosa riservata ai figli, non certo ai servi); tant'è vero che a lui l'unica cosa che importa - lo vedremo domenica - non è di aver compiuto con i suoi ordini, onde evitare i suoi castighi, ma è quella di aver amato, di aver avuto misericordia, di aver dato da bere a chi aveva sete, di aver dato da mangiare a chi aveva fame. Cosa che il servo accidioso non è capace di fare, o ancor peggio, non vuole fare. Ma ciò che è intollerabile è la motivazione: non fa nulla di bene, non mette a frutto il talento del suo padrone, non fa nulla per meritarsi la gioia del suo padrone perché lui, con il suo padrone, non vuole avere nulla a che fare, perché il suo padrone è un duro, e un duro non può essere amato, può solamente essere temuto. Forse questo ragionamento può funzionare con un boss della mafia (che tra l'altro non è onnipotente né immortale), ma non con il Dio di Gesù Cristo.

Alla fine del Vangelo di Matteo, allora, lo smacco più grande è quello di vedere che c'è qualcuno, tra gli uditori di Gesù, che invece di aver fatto un percorso che lo avrebbe portato a scoprire il volto misericordioso di Dio, ha continuato a considerare Dio come un giudice severo, e ha negato a se stesso questa possibilità rinchiudendosi nella buca della Legge, della formalità, del precetto, di quei comandamenti che danno sicurezza e certezze, che fanno evitare di correre rischi ma che alla fine ci rendono minimalisti, incapaci di scoprire il vero volto di un Dio che è amore.

Probabilmente, per questo servo era l'ultima possibilità di amare Dio: già, perché settimana prossima l'anno liturgico e il nostro cammino in compagnia di Matteo si chiuderanno con un giudizio inappellabile per chi non ha voluto amare Dio nei fratelli. Non perdiamo tempo, allora: non perdiamo mai l'occasione di fare qualcosa di bene per gli altri. O quantomeno, non diamo la colpa a Dio perché esigente e duro, quando di duro c'è solo il nostro cuore!

 

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