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TESTO Inutile giustificarsi - Parte prima

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/11/2017)

Vangelo: Mt 25,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. 9Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. 12Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

Tra poco meno di un mese, inizieremo il Tempo di Avvento, con il quale la Chiesa inaugura il nuovo Anno Liturgico. Sarà il Vangelo di Marco, ad accompagnarci alla scoperta del Maestro dal prossimo 3 dicembre fino allo stesso periodo del prossimo anno; ci congediamo, perciò dal Vangelo di Matteo, con la lettura continuata del capitolo 25 - l'ultimo della sua opera prima del racconto della Passione - che ci accompagnerà in queste tre domeniche. È un capitolo un po' particolare, direi quasi unico nel suo genere: è l'unico capitolo di un Vangelo narrato senza soluzione di continuità, tutto d'un fiato, con parabole, tre per la precisione, molto note a tutti quanti noi, ossia quella delle dieci vergini, quella dei talenti e quella del giudizio finale. E poiché nelle prime due si parla di attesa e vigilanza operosa in attesa del ritorno del Signore, si è soliti pensare che quello sia il tema principale del capitolo. Forse, però, non è così.

A me piace pensare che i discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo si chiudano con un richiamo alle opere di carità, che sono quelle che danno valore a tutta la Legge e a ogni comandamento o precetto. Non dimentichiamo che Matteo scrive il suo Vangelo per una comunità di ebrei divenuti cristiani, quindi per gente che ha bisogno di vedere in Gesù il Messia, il nuovo Mosè, il nuovo legislatore, colui che porta a compimento l'antica Legge del Sinai: tant'è vero che i discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo iniziano al capitolo 5 con il grande Discorso della Montagna, considerato l'atto di promulgazione della Nuova Legge di Gesù, il cui senso profondo era di compiere i precetti di Dio non con l'ansia di applicarli alla lettera, ma cercando di capire e di dare priorità a ciò che costituisce lo spirito della Legge, ossia l'amore a Dio e al prossimo. Se era amore all'inizio, è amore anche alla fine dell'insegnamento di Gesù, perché - e lo ascolteremo nella Solennità di Cristo Re - il Signore e Re della storia ci giudicherà sulla carità.

Ma è amore anche nella parabola di oggi, e non perché ci parla di un matrimonio, ma perché il tema che la lega al Discorso della Montagna e all'ultimo discorso di Gesù sul giudizio finale è proprio quello delle opere di carità. Assegnare al Vangelo di oggi il tema dell'invito alla vigilanza come messaggio fondamentale, mi pare alquanto riduttivo, e, di fatto, anche poco veritiero, dal momento che nel racconto nessuno rimane sveglio e vigilante in attesa dello sposo, anzi, se la dormono alla bell'e meglio tutte quante, stolte e saggie. La discriminante tra i due gruppi di ragazze non è la veglia, ma sono le lampade, alcune accese e imbevute d'olio, altre invece a rischio spegnimento perché prive di combustibile. Mi sono chiesto spesso come mai, in un Vangelo che ci proietta verso opere di carità e di attenzione verso gli altri, ci debbano essere atteggiamenti che di caritatevole hanno poco o niente. Perché le cinque ragazze saggie non potevano prestare dell'olio anche alle altre? Lo sposo era vicino, figuriamoci se non sarebbe bastato per entrambi i gruppi almeno fino al suo arrivo! E poi, cosa salta in mente a questo sposo di chiudere il portone del luogo dove si celebravano le nozze, quando era noto e assodato che le feste nuziali da quelle parti duravano giorni interi, “H24” come diremmo oggi, senza che nessun abitante del villaggio ne fosse escluso? Cos'è questa chiusura nei confronti dell'altro, che per quanto possa essere “stolto” è comunque sempre tuo fratello e tua sorella?

Ecco, la chiave di lettura riguardo alle opere di carità sta proprio in quest'aggettivo “stolto”, in questa “stoltezza” che stride in maniera palese con la “sapienza” così ben esaltata e lodata dalla prima lettura di oggi. Il termine “stolte” con il quale vengono bollate senza mezzi termini le ragazze prive di olio nelle loro lampade, viene usato da Matteo proprio al termine del famoso Discorso della Nuova Legge, il Discorso della Montagna, riferendosi a chi segue gli insegnamenti del Maestro solo apparentemente, a parole e non con i fatti: chi dice “Signore, Signore” e non fa la volontà del Padre è simile a un uomo stolto che costruisce la propria casa sulla sabbia. E guarda caso, le ragazze stolte si dirigono allo sposo che ha ignobilmente chiuso loro la porta in faccia dicendogli “Signore, Signore”! Non c'è dubbio che la stoltezza di queste ragazze è la stessa stoltezza dell'uomo che costruisce sulla sabbia; e costruisce sulla sabbia perché ritiene di poter essere amico di Dio solamente perché lo invoca “Signore, Signore”, con intensità ed entusiasmo, ma senza una sola buona opera che dimostri che le sue non sono parole al vento.

E guarda caso, sempre all'inizio del Discorso della Montagna, quando si parla di “lampada da mettere sul lucerniere”, si dice riferito a quelle “buone opere” che permettono all'uomo di risplendere, di fronte a Dio e di fronte agli uomini. Se quindi le lampade ben accese rappresentano le buone opere che risplendono di fronte a Dio e agli uomini, allora è facilmente comprensibile perché non possano essere prestate dalle ragazze sagge alle ragazze stolte: non perché le prime siano “orgogliose”, ma perché se c'è qualcosa che un uomo non può prestare o donare a un altro sono proprio le sue opere, buone o cattive che esse siano. Le nostre opere sono esclusivamente legate alla nostra responsabilità: o le hai o non le hai, o hai fatto del bene o non l'hai fatto, e non puoi accampare scuse, non servirebbe a nulla.

È inutile giustificarsi di non aver avuto olio nella lampada, la porta ti verrà chiusa in faccia; è inutile giustificarsi di avere nascosto il tuo talento sotto terra per paura di un padrone severo, ti verrà portato via anche quel poco che hai; è inutile giustificarsi di non aver fatto del bene ai fratelli perché “non li abbiamo riconosciuti”, anche Dio dirà di non averti mai conosciuto. O sei pronto a fare il bene, ed è una cosa che non si compra né ci si presta da qualcuno (perché viene spontanea a chi sa amare), o altrimenti vuol dire che il bene non abita nel tuo cuore, non fa parte del tuo DNA, non è costitutivo della tua persona.

E allora, assumiti le tue responsabilità. Se la porta rimane chiusa, non è cattivo lo sposo: sono cattive le tue opere. E visto che oggi inizia anche la Settimana della Carità, svegliamoci: tiriamoci indietro le maniche, meno “Signore, Signore”, che sono spesso parole al vento, e più gesti concreti d'amore al prossimo!

 

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