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TESTO Paradossale bellezza...

don Angelo Casati   Sulla soglia

Domenica di Cristo Re (Anno A) (05/11/2017)

Vangelo: Gv 18,33c-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Noi oggi concludiamo l'anno della liturgia. Poi sarà avvento. Lo concludiamo con la solennità della regalità di Gesù. E' l'ultima domenica ed è - lasciatemela chiamare così - la domenica del paradosso. Finiamo con un paradosso. Gesù è un paradosso, un paradosso di bellezza. Un paradosso. Meglio così. Il paradosso ci salva dal percolo di addormentarci. Apre domande.

Paradosso, come dice l'etimologia dal greco, significa "ciò che è a lato della opinione comune", della "dòxa". Confessiamolo, oggi in questo racconto del vangelo di Giovanni c'è "molto" a lato dell'opinione comune. Stiamo ascoltando racconti che stridono con l'opinione comune. E allora andiamo a spiare, per fessure, nel testo. La liturgia infatti ci ha proposto una lettura a dir poco inquietante: inquieta le parole che solitamente usiamo: "re", "regalità".

Le inquieta e apre domande: "Ma davvero re, Gesù?". Glielo ha domandato anche Pilato: "Dunque tu sei re?". Ma re dove? Re come? Re quando? E lui - pensate - che usa il presente: "Io sono re". In quel momento, capite. La scena è paradossale. Per capire qualcosa - anche della regalità di Gesù - dovremmo ripercorrere il racconto di una notte e di un mattino. E vederlo arrivare nella notte, l'hanno braccato, l'hanno catturato per mano di un discepolo che ha tradito, legato, sottoposto a una inquisizione vile, prima nella casa di Anna, poi nella casa del sommo sacerdote Caifa.

Due processi, parole velenose e velenosi pure i gesti: schiaffeggiato, per aver detto la verità. Ora, nel racconto lo vediamo passare la soglia del pretorio. E' qui, in questo spazio, che si gioca la parola "re", la parola "regno". Parole che rimbalzano nel dialogo tra lui e Pilato. E Lui dice."Io sono re". Al presente! Legato! Nelle mani di uno che decreta la morte. Lui Gesù - starei per dirvi, e perdonate - è come se fosse in vigilia di vestizione di abiti regali. I re, ma anche i papi, sono eletti, si rivestono delle insegne, si affacciano dall'alto.

E c'è nel racconto la vestizione e la presentazione. Ecco la vestizione: "Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: "Salve, re dei Giudei!". E gli davano schiaffi". Ed ecco la presentazione alla folla: "Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: "Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna". Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora.

E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!". Vestizione e presentazione, che raccontano a tutti noi, senza possibilità di fraintendimenti, la distanza dai regni della terra, dalle formalità della terra, dai riti mondani. E' altro, totalmente diverso, il suo approccio e il suo affaccio. Niente mondanità, gli pulsa fin sul viso un'altra passione, così diversa da quella del potere, la passione della verità. La passione per l'uomo, per ognuno di noi.

In quella stanza del pretorio due sovranità sono a confronto, quella di Pilato e quella di Gesù: quella di Pilato mette paura, quella di Gesù mette fiducia. Vestizione ed esposizione: lui, Gesù, si è tolto ogni imponenza, ha esposto l'amore. Mi è venuta improvvisa una connessione: fedele a questo modo di vedere e di sentire di Gesù, papa Francesco, fin dalle prime ore del suo mandato si è tolta ogni imponenza, tutto ciò che legava la figura del papa a immagini di una certa sovranità: nei vestiti, nelle parole, nei gesti. E' diventato il papa dell'immediatezza.

Al maestro di cerimonie che lo invitava ad indossare, sopra la veste bianca, la mozzetta di velluto rosso, bordata di ermellino, e la croce d'oro, con piglio deciso disse. "Questa la mette lei; io mi tengo questa, la croce di quando sono divenuto vescovo, una croce di ferro". L'imponenza allontana, voleva immediatezza. Lo guardammo, era come abitato da una passione di vicinanza, quella del pastore cha fa vita con il gregge: Il re è pastore.

Voi mi capite, se sostiamo nella stanza del pretorio e ascoltiamo il dialogo sul regno o se sostiamo nella piazza dove Gesù viene affacciato, dove la folla, sobillata, tra Gesù e Barabba, sceglie Barabba, se sostiamo in silenzio, io penso che, per esili fessure, scopriamo cosa è re e che cosa è regno per Gesù, e quindi per noi, che, sia pur da poverini, cerchiamo di stargli dietro. E' questa la verità del regno.

Gesù dice: "Io sono nato e sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità". Noi lo guardiamo. Ci sembra di capire: ha dato testimonianza alla verità dell'amore. Contro la grande menzogna che si annida subdolamente nei poteri mondani. Ebbene anche a noi, come suoi discepoli, è affidato il compito di dare testimonianza alla verità, alla verità di un mondo diverso. Dove ciò che conta non è l'imponenza, ma l'immediatezza, stare in mezzo, come ha fatto Gesù, mescolarsi come lui si è mescolato.

E non è forse vero che, secondo il racconto che oggi abbiamo ascoltato dal secondo libro di Samuele, in confronto al tempio, che è casa immobile, Dio dice la sua preferenza per la tenda: vivere con il suo popolo sotto una tenda. La tenda dice stare in mezzo, conoscere, toccare la vita, amare nella verità. La verità. Oggi ci tocca essere vigili sulla verità. perché anche noi, come le folle di quella piazza - oggi ci sono altre piazze, le piazze mediatiche - possiamo essere abilmente orchestrati, manipolati, pilotati.

Da chi? Da chi, oggi come allora, strumentalmente urla di possedere la verità: hanno figura di giganti, imponenti, possono avere le folle, ma non possono avere il nostro cuore. Il nostro è un regno all'opposto. Pensate che Papa Francesco alla domenica della regalità di Cristo, ha legato da quest'anno, la giornata mondiale del povero. La regalità sta nell'amare, come Gesù. E fa parte dell'amore evangelico mettere al centro i poveri. Ci aveva anche chiesto di portarli nelle nostre eucaristie di oggi e di ascoltarli.

Non siamo ancora arrivati a questo, ci pentiamo di non averlo fatto. Penso però che metterli al centro delle nostre attenzioni e ascoltarli sia un affare di ogni giorno. A cui essere fedeli ogni giorno. E quando accade, accade qualcosa del regno di Dio. Sulla terra.

 

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