TESTO Il primato della coscienza
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/11/2017)
Vangelo: Mt 23,1-12
In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Preparare l'omelia non è mai facile, almeno per il sottoscritto. Diviene ancor più complicato quando capita di dover riflettere (per poi commentarla) su una Liturgia della Parola come quella di questa domenica, direttamente rivolta ai sacerdoti e alle autorità religiose e - come spesso capita nei loro confronti, nella Bibbia - per nulla esaltante o morbida. Vorrei tanto, oggi, trovarmi seduto al posto di chi mi ascolta, e, invece di predicare, mettermi tranquillamente ad ascoltare quanto detto dalla Parola di Dio, facendo un mea culpa dei miei comportamenti o ancor meglio non appartenendo alla categoria che viene presa di mira. Ma non è così, e allora cerco di dire prima di tutto a me stesso ciò che sono chiamato, per il mio ministero, a dire agli altri.
Potremmo sintetizzare il tutto attraverso due proverbi, uno appartenente alla lingua italiana (“Predicano bene e razzolano male”) e l'altro più “nostrano”, ovvero della nostra cultura bergamasca (“Précc e frà, caàs el capel e lassai 'ndà”, tradotto per chi non comprende, “Con preti e frati, togliersi il cappello e lasciarli andare per la loro strada”). Ma questo semplificherebbe il discorso, e credo che in parte banalizzerebbe pure la portata del Vangelo di oggi. Sarebbe sufficiente, infatti, prendere in considerazione la limitatezza umana che comunque contraddistingue i membri del clero o i rappresentanti religiosi, tanto al maschile come al femminile, e, senza la necessità di doverli giustificare (soprattutto quando commettono cose aberranti), attribuire i loro errati comportamenti, le loro incoerenze, le loro infedeltà, le spigolose asperità del loro carattere al fatto, appunto, di essere persone umane come tutte le altre. Ma il discorso di Gesù nel Vangelo è molto meno banale, e va notevolmente più in profondità, perché non riguarda solo o principalmente il comportamento, bensì l'insegnamento e la dottrina.
Va innanzitutto ricordato che Gesù non se la prende con le autorità religiose solamente in questo capitolo 23 del Vangelo di Matteo, per esse nefasto (vi risparmio gli epiteti che Gesù rivolge loro), ma anzi in più momenti, nel suo insegnamento, condanna la dottrina dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei in quanto basata su un'interpretazione molto soggettiva e personalistica della Legge di Mosè, cosa ben sottolineata da Gesù quando afferma che essi si sono seduti “sulla cattedra di Mosè”: la “cattedra” era lo scranno principale della sinagoga, lasciato deliberatamente vuoto e ben adornato perché, qualora Mosè tornasse, avrebbe la possibilità di sedersi al posto che gli compete come giudice e legislatore. Il fatto che scribi e farisei lo occupino è un'immagine usata da Gesù per dire come essi abbiano usurpato quel posto atteggiandosi appunto a interpretatori ufficiali della Legge.
E dove voleva arrivare la loro interpretazione soggettivistica, che a volte applicava la Legge alla lettera e altre volte giungeva ad attuare comportamenti quanto meno discutibili attraverso riletture arzigogolate di quanto espresso nel Pentateuco? Lo scopo di avere in mano il pallino della Legge e della dottrina, era uno solo, ben descritto da Gesù nella seconda parte del testo: esercitare il potere sul popolo, ergendosi a maestri, padri e guide di quelle persone che, fidandosi di loro in quanto dotti e sapienti, erano indotti a consegnare nelle loro mani uno dei beni più preziosi che il Signore ha dato agli uomini, ossia la coscienza. Avere in mano le coscienze delle persone, soprattutto di quelle meno preparate di loro culturalmente e religiosamente, significava, per scribi e farisei, avere la possibilità di manipolare il popolo in base alle loro scelte, alla loro linea politica, ai fini che decidevano di volta in volta di perseguire. Tenendo conto poi che anch'essi si trovavano in regime di dominazione politica straniera, questo rappresentava l'unico modo per ritagliarsi quello spazio di potere, di libertà e di autonomia che al popolo era negato, spesso attraverso forme di opportunismo politico che secondo i casi li portavano a scontrarsi o ad allearsi con il governatorato romano: il processo e la condanna di Gesù ne sono il caso più emblematico.
Verrebbe da dire: “Va beh, ma questo ai tempi di Gesù, dove il popolino era certamente più manipolabile perché anche meno preparato; oggi non è più così, difficilmente ci si lascia manipolare la coscienza da chicchessia, foss'anche un'importante autorità religiosa”. Può essere, e in parte è così. Eppure, episodi di tentata manipolazione delle coscienze, di plagio delle convinzioni religiose e spirituali, e soprattutto di imposizione di dottrine che vengono legate sulle spalle della gente come “fardelli pesanti e difficili da portare” (per riprendere le parole del Vangelo) non sono mai venuti meno, nella Chiesa, e continuano a tutt'oggi. Sarebbe sufficiente parlare di tutti quei precetti, decreti e norme espressi nella dottrina morale della Chiesa in ordine, ad esempio, alla morale matrimoniale, sessuale e affettiva; all'esclusione dalla comunione eucaristica delle persone separate e risposate, oppure conviventi. Ci troviamo molto spesso di fronte a norme e dottrine pesantemente imposte sulle spalle della gente, che hanno certamente un senso e un significato, non discuto: ma spesso vengono imposte senza tener conto dei drammi, delle fatiche, delle sofferenze che stanno dietro a tante situazioni, e ancor peggio senza tenere conto dell'ineludibile primato della coscienza personale (così bene riaffermato dal Concilio Vaticano II), che pur non essendo infallibile, non può essere spazzato via alla bell'e meglio da dottrine e norme che servono solo a dare sicurezza a chi poi, nella Chiesa, è chiamato ad applicarle ma non a rispettarle (perché non lo riguardano). E spesso lo fa passando sopra alla bellezza del Vangelo, che non può mai essere un'oppressione, ma solamente un annuncio di libertà.
Concludo citando un breve passaggio dell'Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, che rappresenta il programma del ministero pastorale di Papa Francesco: “Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando l'annuncio si concentra su alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche, il messaggio di Gesù correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più il profumo del Vangelo”.