TESTO Dare per gioia
XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (22/10/2017)
Vangelo: Is 45,1.4-6; Sal 96; 1Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21
In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Con la frase Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, in maniera lapidaria e brillante, Gesù espone il principio fondamentale della relazione del cristiano nei confronti dell'autorità civile. La fede cristiana non dispensa dall'obbedienza nei confronti dell'autorità civile in tutta la sfera delle relazioni politiche e sociali e riconosce la legittima autonomia di queste ultime.
Si tratta di idee che Paolo sviluppa per esempio nella lettera ai Romani quando afferma: Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite, infatti non c'è autorità se non da Dio.... Occorre stare sottomessi non solo per timore della punizione, ma per ragioni di coscienza. Per questo voi pagate anche le tasse. Quelli che svolgono questo compito sono al servizio di Dio. Rendete a ciascuno dunque ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto. Le conseguenze di questo passaggio sono chiare. Per prendere alcuni esempi: un cristiano che evade le tasse, che infrange il codice della strada mettendo a rischio la vita propria e quella degli altri, che fa lavorare delle persone in nero, che utilizza un ruolo pubblico in politica o nell'amministrazione a proprio vantaggio, non commette solo un reato dal punto di vista civile e penale, ma pecca contro il Signore, perché ogni autorità è stabilita da Dio.
Questa però è solo la prima metà della frase di Gesù. La seconda richiede di rendere a Dio quello che è di Dio e qui le cose si complicano. A prima vista sembra si tratti di un parallelismo. In realtà c'è un cambiamento di livello totale.
Quando parliamo di Dio, infatti, ci riferiamo a colui nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo e al quale dobbiamo tutto: Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto dal Signore? E se l'hai ricevuto dal Signore, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? La relazione con l'autorità civile può essere quantificata, essere espressa in termini di dare e avere. Lo stato assicura una società dove regna, nella misura del possibile, un certo ordine, una certa pace, una certa giustizia, garantisce alcuni servizi come l'educazione, i trasporti, la salute e in compenso richiede il compimento di alcuni doveri - limitati e misurabili - come per esempio il pagamento delle tasse.
Ragionare in termini di dare e di avere diventa invece impossibile nei confronti del Signore. Nei suoi riguardi ci è detto: Il Signore Dio nostro è l'unico Dio. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Al Signore dobbiamo dare tutto, quello che abbiamo e più ancora quello che siamo, perché comunque viene da lui, gli appartiene. Nella relazione con lui siamo chiamati ad abbandonare la logica mercantile o servile: Non vi chiamo più servi - ci ha detto Gesù - perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio ve l'ho fatto conoscere .
Abbiamo una eloquente illustrazione di tutto questo nella parabola del figliol prodigo, quando il secondo figlio dice al padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando. Ha dato al padre obbedienza, rispetto, lealtà, servizio come li si dà a Cesare, ma questo gli ha impedito di accedere ad una relazione autentica con lui. Si è comportato con lui come un servo leale, non come un figlio e per questo non capisce la gioia del padre per il fratello ritornato a casa e non riesce a condividerla.
Siamo dunque invitati a tradurre in modo diverso la frase relativa a Cesare e a Dio. Essa significa: “Date a Cesare come si da a Cesare, in termini di dare e avere, ma date a Dio come si dà al Signore, come si dà ad un padre”. Cambia la modalità. Cambia l'esigenza. Deve cambiare il cuore.
La relazione filiale con il Padre ci invita ad andare oltre la logica di una giustizia meramente umana. Il Padre che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, ci chiede di amare i nostri nemici, di pregare per i nostri persecutori, di gioire per il ritorno del peccatore, del figliol prodigo, di entrare nella sua gioia. Dice anche a noi: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio, è tuo, ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato .
E' questo il solo modo per capire Paolo quando dice: C'è più gioia nel dare che nel ricevere. Non si darà mai a Cesare con gioia, ma sempre per dovere, per obbligo. Al Signore invece con gioia, per amore, liberamente, siamo chiamati a rendere grazie, ad offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e a lui gradito. A Dio diamo con gioia, non perché ci dia, ma perché ci ha dato. Diamo non per dovere, ma per amore. Diamo per gioia. Diamo per entrare nella sua gioia.
Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Mi guida la tua mano. Omelie sui vangeli domenicali. Anno A", ed. Dehoniane. Clicca qui