TESTO Piccolo è bello!
don Angelo Casati Sulla soglia
VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (08/10/2017)
Vangelo: Lc 17,7-10
«7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Penso non sia facile - almeno non lo è per me - rintracciare il filo rosso che attraversa le letture di questa domenica. Forse forzando, io starei per dirvi che potrebbe essere la piccolezza, la nostra piccolezza, una piccolezza amata. Davanti a Dio certo, ma anche davanti agli altri. Penso al brano di Giobbe. Qualcuno vi ha ravvisato una composizione drammatica, una narrazione poetica.
Tutti abbiamo ascoltato, quasi come un ritornello, le parole di coloro che portavano comunicazioni drammatiche a Giobbe: "Sono scampato solo io per raccontartelo". Così fino alla devastazione totale, diremmo noi: "Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò". La conclusione del nostro brano oggi era nel segno della benedizione: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!". Ma basterà girare qualche pagina per udire parole che sono nel segno della maledizione.
Sentiamole: "Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: "Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un maschio!" (Gb 3,1-3). Un accostamento che ci fa dire che non dobbiamo leggere mai una pagina senza l'altra. Ma ci fa anche dire che siamo segnati da piccolezza e Dio non si scandalizza se avviene che nella vita accanto a parole di benedizione ci siano in altri giorni parole di maledizione della vita, di sfogo e di lite con Dio.
Puoi sfogarti e anche litigare perché è un Padre. E sono - lasciatemi dire - preghiere le parole di abbandono, ma anche quelle delle nostre lamentazioni e dei nostri gridi. La Bibbia ne è testimone. Ci racconta senza scandalizzarsi. Ma ancora una cosa creava sconcerto nel brano: quell'essere colpito da parte di Giobbe, una volta e poi un'altra ancora e poi ancora e non è mai finita, quasi ci fosse un sorta di accanimento sino a restare nudo. Il brano mi faceva a pensare a coloro che nella vita è come se avessero perso tutto.
Penso sia toccato anche a voi, e non solo a me, di incontrare persone o famiglie che vivono situazioni difficili, dolorose, vorrei dire, al limite della sopportabilità o oltre la sopportabilità, persone che si chiedono giustamente: "Perché?". Come Gesù, che giustamente sulla croce ha chiesto al Padre: "Perché mi hai abbandonato?". Leggendo il nostro brano e le pagine che seguono pensavo quanto fossero attuali queste pagine, davanti a tanto carico di dolore. Mi dicevo: occorre proprio riconoscere la nostra piccolezza. Stare vicino. Stare in silenzio.
Qualcuno ha la pretesa di dire parole teologiche, ma le parole suonano vuote, come quelle degli amici di Giobbe, imponenti teologi. Sta in silenzio, stringi una mano, accarezza un viso, prega Dio che sorregga, che vinca la sensazione di essere da lui abbandonati. Storie dei piccoli. I piccoli che sembrano denudati di tutto e i piccoli che stanno al loro fianco con la piccola misura del lume della tenerezza. La tenerezza per la tenerezza. E basta.
E' in questo orizzonte che vorrei leggere la parabola di Gesù sui cosiddetti "servi inutili". Ancora una volta ci tocca notare che a una prima lettura la parabola sembra spigolosa, forse irritante. Non dobbiamo lasciarci fuorviare da una interpretazione che cozzerebbe con altre numerose pagine del vangelo. Quasi a dare a Dio l'immagine di un padrone, che vede solo se stesso, si fa servire sprezzante anche da chi arriva stremato dai campi.
Tutti voi ricordate le parole di Gesù ai suoi discepoli nell'ultima cena: "Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27). Non sembra dire proprio l'opposto di quello che dice il nostro brano se preso alla lettera? Il cuore della parabola può essere sorpreso nelle parole finali: "Così anche voi quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Ma in che senso "Inutili"?
Già altre volte ricordavo che l'aggettivo greco, tradotto con "Inutile", in quella lingua ha anche un altro significato, quello di "povero". E dunque potremmo tradurre: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: "Siamo poveri servi", "siamo semplicemente servi". Non dunque "servi inutili". I servi infatti non sono inutili. Ma come inutili? Hanno lavorato. Siamo servi. E dunque siamo serviti a qualcosa. Non importa quale, non importa quando, non importa dove.
E ci basta la gioia di averlo fatto. Non è - voi mi capite - uno sminuire, intristendoci, noi stessi; è semplicemente vivere la consapevolezza della nostra piccolezza. E io dico che piccolo è bello! Chi mai vuole farmi credere che pomposo è bello? Per me è urtante, è soffocante, è disgustoso. Piccolo è bello. Per me è bello dire: "siamo poveri servi. Non abbiamo fatto nulla di più di quanto dovevamo fare".
Non è forse bello un mondo dove ognuno fa la sua cosa e ci mette il suo impegno, la sua passione, la sua gioia? E non c'è differenza di valore. Non vi è mai capitato di fermarvi a ringraziare un netturbino che con il suo lavoro ci dà la gioia di una città pulita o di chi con la sua presenza silenziosa ti offre la possibilità di contemplare un'opera d'arte, o di chi tiene aperto uno spazio di gioco per i bambini della città?
Proprio in questi giorni una persona amica mi ricordava che sua madre aveva spesso sulle labbra, quasi fosse un mantra, il detto di un pastore luterano dell'ottocento: "Mio compito" diceva "è di scavare un pozzo giusto, al punto al quale sono stato posto". E l'amica aggiungeva: "Non mirare ad altro, a cose migliori, superiori o a lodi. Sembra così semplice, ma metterlo in pratica non va da sé. Bisogna anche trovare l'amore per questo pozzo e sopportare tutte le circostanze intorno. La vita chiede di procedere e di migliorare, è una "Fabbrica del Duomo". Cercherò di continuare a mettere una mattonella sull'altra".
Siamo semplicemente servi, ma siamo - voi mi capite - contenti di esserlo. Non è forse questo il significato profondo del salmo 131 che due fidanzati hanno scelto in questi giorni per il loro matrimonio?
"Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l'anima mia".