TESTO Infedeli o possessivi?
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2017)
Vangelo: Mt 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Sono molte le cose che possono giungere a rovinare un rapporto d'amore tra due persone, anche il più idilliaco. Incomprensioni, liti, mancati dialoghi, silenzi, cambiamenti improvvisi nella vita lavorativa o familiare, episodi legati alla salute delle persone...sono davvero molti i fattori che possono portare due persone a non amarsi più come prima, se non addirittura a smettere di amarsi. Ma in cima a tutte le motivazioni, lo sappiamo bene, ce ne sono due, che probabilmente sono poi all'origine di tutti quei fattori che abbiamo elencato, e di molti altri: e sono due motivazioni diametralmente opposte tra di loro, che comunque portano allo stesso risultato, la fine dell'amore. Si tratta dell'infedeltà e della possessività.
Essere infedeli, non è solo o principalmente un fatto legato al tradimento del compagno o della compagna con un'altra persona: è anzitutto un fatto di mancata fiducia, ovvero comportarsi in modo tale da perdere o far perdere la fiducia, l'affidarsi, il fare affidamento dell'altro su di te. Non potersi più fidare dell'altro come qualcuno con cui condividere ogni cosa, “nella buona e nella cattiva sorte”, come dice la formula del consenso tra gli sposi, vuole dire minare alla base i pilastri della vita di coppia e di famiglia. E questo diventa ancor più doloroso quanto più si è investito, lungo gli anni, proprio su quest'aspetto. Quando uno dei due si butta anima e corpo in una relazione resa a volte tortuosa, faticosa, snervante dagli atteggiamenti superficiali o problematici dell'altro nella speranza di poterlo cambiare, di vedere che le fatiche fatte portano buoni frutti, per poi accorgersi che è stato tutto uno sforzo vano, perché dall'altra parte non c'è risposta, o peggio ancora c'è infedeltà a vari livelli, si avverte un senso di frustrazione, di svilimento che fa davvero perdere ogni speranza. E allora, forse, è davvero meglio ammettere che è finita, cercando di ritrovare almeno se stessi e di salvare il salvabile, laddove c'è di mezzo qualcun altro oltre ai due.
Ma anche essere “troppo fedeli” può portare al disfacimento di una storia d'amore. Cerco di spiegarmi. Se in un rapporto di coppia la reciproca fedeltà è vissuta come un valore assoluto in maniera univoca, unidirezionale, senza un equilibrio che permetta a ognuno dei due di rimanere un'identità singola, una persona, un individuo con la propria personalità, le proprie caratteristiche e soprattutto la propria libertà, il passo per cadere in un rapporto di tipo ossessivo e possessivo è davvero breve. E le conseguenze possono essere ancor più dolorose e drammatiche dell'infedeltà. Quando uno entra nella vita e nel cuore dell'altro per prenderne possesso, per impadronirsene, per dominare, per farla da padrone, per assoggettarlo alle proprie volontà, ancora più se l'altro è debole e privo di una forte personalità, mascherando tutto questo come “amore geloso”, ovvero “pieno di zelo”, il rischio concreto, reale, è quello di annullare l'altro, di negargli la libertà e, in definitiva, di negargli la possibilità di vivere come soggetto, come individuo; e questo senza la necessità - purtroppo reale e attuale pure quella - di eliminare fisicamente l'altro. Una persona può essere uccisa dall'amore dell'altro anche senza che l'altro le torca mai un capello; un amore che soffoca, alla fine, non tradisce altro che un atteggiamento d'infedeltà, di mancanza di fiducia nel partner e in se stessi. Ci si sente talmente deboli, insicuri, incapaci di avere personalità, di fidarci dell'altro e della sua libertà, che si arriva a impossessarsi di lui in ogni mezzo, pur di sopravvivere, o ancor peggio, di avere un beneficio, un interesse, un tornaconto da quella relazione, che tutto è meno che amore.
Ebbene, infedeltà e possessività sono pure due costanti della storia della salvezza, ovvero del millenario rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo, ben delineati dalla Liturgia della Parola di oggi, rispettivamente nella prima lettura e nel Vangelo, entrambi legati dal “filo rosso” della comparazione della vigna, giunta per noi alla terza (ed ultima) domenica consecutiva. Isaia, nel suo celeberrimo “Cantico della Vigna” (studiato quasi a memoria dagli studenti nelle scuole rabbiniche), descrive l'infinito e instancabile amore di Dio, che fa di tutto per continuare a tenere vicino a sé, nella fedeltà e nel rispetto della sua libertà, un popolo che troppo spesso si è dimostrato infedele allontanandosi da lui, prostituendosi ad altri idoli, concedendo le proprie attenzioni a valori e ricchezze che non sono quelli dispensati dall'amore di Dio: prova ne è che questa “vigna” che è il popolo di Dio e che doveva dare uva buona ha prodotto spesso acini acerbi; doveva dare “frutti di giustizia e rettitudine e invece ha dato spargimento di sangue e grida di oppressi”.
Per non parlare della vigna del Vangelo, che finalmente, dopo tutta una storia di salvezza fatta di infedeltà e di perdono, riesce a dare frutti buoni e abbondanti, e così giunge il tempo della vendemmia. Ma in questo rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo non è sufficiente che l'amore dia frutti: occorre anche avere l'onestà di riconoscere che di questo rapporto d'amore, il popolo (specialmente i suoi capi) non può avere l'esclusiva, non può impossessarsene, non può farla da padrone pretendendo di eliminare l'altro (in questo caso Dio stesso) dal rapporto d'amore, per impossessarsi dei frutti di questo amore. Cosa che puntualmente avviene con la vicenda di Gesù Cristo, ultimo tra tutti i profeti, inviato per annunciare l'amore definitivo di Dio che lascia libero l'uomo di amarlo e di portare frutto a condizione di rimanere unito a lui; il quale invece viene eliminato con la lucida e feroce consapevolezza che uccidere l'unigenito Figlio di Dio significhi entrare in possesso del popolo di Dio, sua eredità.
Infedeltà e possessività continuano a essere presenti nella nostra vita di Chiesa, di popolo amato da Dio. Ma mentre l'infedeltà del popolo ha sempre trovato una clemente, paziente e misericordiosa risposta da parte di Dio, capace - come dirà il profeta Osea - di “attirarlo a sé, di condurlo nel deserto e di parlare al suo cuore”, la sua possessività, il desiderio di impadronirsi delle cose di Dio per sentirsi padroni della storia e dei frutti dell'amore di Dio, conduce Dio stesso a pronunciare una sentenza irrevocabile: i vignaioli, possessivi al punto da uccidere anche il Figlio di Dio, verranno fatti morire miseramente, e sostituiti da Dio con un altro popolo da amare, un popolo che non vuole impossessarsi di Dio, ma che si lascia amare da lui per offrirgli i frutti migliori.
Infedeltà e possessività sono presenti anche tra noi, cristiani di oggi e di ogni tempo. Tanti cristiani si dimostrano infedeli, incapaci di fidarsi di Dio, desiderosi di assetarsi ad altre fonti di vita che non sono vita eterna, sempre pronti a concedere il proprio amore non a Dio, ma a idoli falsi che promettono felicità e dispensano morte: eppure, a questi Dio non smette mai di offrire il suo perdono. Ma ai molti cristiani che si sentono padroni di Dio e delle sue cose, che sono talmente fedeli e devoti da sentirsi in diritto di esigere da Dio, con le buone o con le cattive, il risultato della loro eccessiva fedeltà, che vivono nella comunità e nella Chiesa non a servizio, ma in posizione di comando nei confronti degli altri, che s'impossessano di spazi, luoghi, tempi e strutture eliminando ogni tentativo di condivisione, di comunione, di collaborazione, di integrazione da parte di chi vuole fare parte della vigna di Dio...a questi cristiani, che sono cristiani ma non sono credenti, Dio pronuncia una parola che suona da sentenza irrevocabile: “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”.
Siamo proprio sicuri che stare morbosamente attaccati alle cose di Dio ci faccia bene, quando invece Dio vuole da noi un atteggiamento di servizio e non di possessivo e ossessivo dominio degli altri?