TESTO Volgiti a me, Signore: ascolta la mia preghiera
don Walter Magni Chiesa di Milano
VI domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (08/10/2017)
Vangelo: Lc 17,7-10
«7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Gesù nella breve parabola che è stata proclamata in questa liturgia ci parla di servi, di servire. E noi percepiamo come d'istinto un senso di disagio, di fatica al pensiero di metterci al servizio degli altri. Eppure Gesù si è definito come Colui che serve; venuto nel mondo proprio per servire, non per farSi servire.
Servo per amore
Capire Gesù alla radice significa accogliere questo Suo stile. Servire, essere servo, è il DNA di Gesù, la Sua natura più profonda. Come dice anche Paolo: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,5-11). Come se proprio nel servire Gesù avesse individuato la caratteristica più qualificante del cuore di Dio, facendo del servizio il filo rosso che attraversa l'intera Sua esistenza, la spiega e la giustifica: “il Figlio dell'uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,25-28). Per questo anche il kerigma, sin dalla prima predicazione apostolica, si concentra nell'immagine rivoluzionaria e sapiente di un Dio che serve, fino alla morte e alla morte di croce: “mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,21-22). Gesù, servo per amore, diventa così la prima grande contestazione di tutte le immagini che le religioni s'erano fatte di Dio. E sappiamo che il servo non fa paura e non si impone a nessuno. Piuttosto fa tenerezza quando Lo vedi. Tornare a provare tenerezza per Gesù mentre Si piega su di noi è un esercizio carico di conseguenze. Davanti all'immagine di un Dio crocifisso anche il cuore più indurito si smuove (Mc 15,39), provando lo stupore d'essere al cospetto di un insondabile mistero.
“Servi inutili”
Se Gesù Figlio di Dio è il servo, allora la strada della chiesa, che è poi la strada dei credenti, è tracciata. Perché ogni volta che ci si ritrova a celebrare l'Eucaristia dovrebbe risuonarci dentro la domanda che Gesù fa ai Suoi, durante quell'Ultima cena, dopo che aveva loro lavato i piedi: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,12-17). Sì, proprio questa domanda: Sapete ciò che vi ho fatto? È la consapevolezza di questo Suo domandare che manca. Non basterà certo il nostro tempo per cercare di rispondere in mille modi alla Sua domanda su quel Suo strano modo di amarci alla follia: “avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Gli esperti della Parola, si sono affaticati per comprendere il significato di questa espressione di Gesù: “dite (...): ‘siamo servi inutili'”. Inutili per chi? Per cosa? Perché? C'è un servire gratuito che è semplicemente inutile, perché non comporta ritorno a nessuna azienda del profitto. Questo servizio inutile, del quale solo Dio spesso S'accorge, deve essere custodito come un bene prezioso dalle chiese e dai credenti. Come un tesoro forse indicibile dai nostri linguaggi e dalle nostre teologie. Come un invito a continuare a servire “come un lavoratore che non deve vergognarsi” (Tim 2,15). Senza arrestarsi, senza arrendersi mai. Come Gesù che muore compiendo l'abbandono estremo: “tutto è compiuto” (Gv 19,30).
Se tu così perché non io?
Signore, se tu così perché non io? Ci è chiesto di fare memoria di Lui così nei nostri giorni. È Paolo stesso che ci ripeterebbe, come a Timoteo: “ricordati di Gesù Cristo”. E se una reliquia di Lui s'è impadronita del nostro cuore, allora questa si chiama servire, servire per amore. Questo ci basta. Come Lui, che è passato per le strade del mondo semplicemente “facendo del bene” (At.10,38) e ha continuamente offerto “preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito” (Eb 5,7). Adesso Gesù ce l'ha con te, ti sta parlando, scovandoti tra la folla: “È inutile che finga di non sentire, o ti nasconda per non farti vedere. Quell'indice ti raggiunge e t'inchioda a responsabilità precise che non puoi scaricare su nessuno. ‘Anche tu'. Perché il mondo è la vigna del Signore, dove egli ci manda tutti a lavorare. A qualsiasi ora del giorno. Non preoccuparti: non ti si chiede nulla di straordinario. (...). Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, in qualsiasi angolo tu consumi l'esistenza, possa diffondere attorno a te il buon profumo di Cristo. Che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime della gente. Che ti impegni a vivere la vita come un dono e non come un peso. Che ti decida, finalmente, a camminare sulle vie del Vangelo, missionario di giustizia e di pace. Esprimi in mezzo alla gente una presenza gioiosa, audace, intelligente e propositiva” (d. Tonino Bello, Servi inutili a tempo pieno, 1989). Direbbe il poeta mistico persiano Rumi (musulmano, XIII sec.): “Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore”.