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TESTO Grandi cose ha fatto il Signore per noi

don Walter Magni   Chiesa di Milano

III domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (17/09/2017)

Vangelo: Lc 9,18-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-22

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Cari amici e care amiche, riteniamo che il Vangelo sia la risposta alle nostre domande. Gesù però non ci ha mai dato delle risposte facili, ma ci ha invece fatto tante domande, lasciando a noi la responsabilità di rispondere. Nel vangelo di Marco ci sono 61 domande di Gesù, in Matteo 40, in Luca 25 e in Giovanni 48. Anche il Vangelo di oggi è carico di interrogativi, con l'avvio di qualche risposta.

Le domande di Gesù
Gesù, da buon rabbino, istruiva i Suoi discepoli usando un metodo dialogico, fatto di domande e di risposte. Già questo metodo ci fa intuire come Gesù introduceva i Suoi alla verità del vangelo. Non imponendo degli assiomi o dei principi astratti, più o meno chiari, ma partendo dalla convinzione che la verità si acquisisce pazientemente all'interno di un rapporto, di una relazione tra persone che dialogano e ricercano con pazienza la via che porta alla salvezza. Come se Gesù fosse convinto del fatto che una domanda ben posta diventa a sua volta un indicatore, un faro, una prospettiva a partire dalla quale è possibile cominciare a dare pazientemente e con onestà una risposta. Stando però al Vangelo odierno, va evidenziato un passaggio importante. Vi si dice, infatti, che “il Signore Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda...”. Come se l'evangelista Luca volesse sottolineare il fatto che il dialogo tra Gesù e i Suoi discepoli fosse inscritto nel dialogo orante di Gesù con il Padre Suo. Perché le domande di Gesù non sono anzitutto frutto di una scuola di pensiero teologico, di qualche lettura interessante o del dialogo con qualche rabbino famoso. Le Sue domande scaturiscono da quel rapporto profondo, intimo e per certi aspetti indicibile, che Gesù intratteneva quotidianamente nella preghiera con il Padre Suo.

“Le folle chi dicono che io sia?”
Gesù sa che nel nostro cuore ci sono tante domande e che se dovessimo partire da quelle per andare alla ricerca della verità del Vangelo, cadremmo nel rischio di una discussione senza fine. Finendo per balbettare un'impressione, qualche opinione più o meno dotta. Frutto, nel migliore dei casi, di una certa formazione, di qualche buona lettura o sana conversazione. Cosa ricordiamo del catechismo a riguardo di Gesù? Il nostro rapporto con Lui si è approfondito o si è sfocato con l'avanzare degli anni? È determinate Gesù nella mia vita o è marginale? Qui va colto il senso della prima domanda che Gesù pone ai Suoi discepoli: “le folle chi dicono che io sia?”. Cosa dice la gente di me? La gente tende a confondere Gesù con Giovanni Battista, con Elia o con uno di quei profeti che di tanto in tanto compaiono sulla piazza. È giunto il momento per misurare le nostre domande con Lui, le nostre opinioni confrontandoci più direttamente con Lui. “Se si parte dalle domande che l'uomo già sente dentro di sé, si corre il rischio di arrivare a Gesù stretti nelle proprie domande, incapaci di cogliere tutta la bellezza del vangelo, che non raramente esige che l'uomo corregga - o addirittura cambi - le proprie domande. Se invece si parte dalla figura di Gesù e dalla sua proposta, allora c'è la possibilità che l'incontro faccia sorgere domande più ampie, aprendo orizzonti prima neppure avvertiti” (B. Maggioni, Evangelizzare nello stile di Dio, Mondo e missione, agosto-settembre 2004)

“Ma voi chi dite che io sia?”
Il punto decisivo è ripartire dal riconoscimento della signoria della Parola di Dio. La valenza assoluta delle parole, delle domande che Gesù ci rivolge direttamente. Abbassando le nostre difese e accettando che il Suo domandare ci raggiunga il cuore. Lasciando che ci conduca là dove Lui, il Maestro, ci vuole portare. In questo modo Gesù riesce a porre la domanda decisiva: “ma voi chi dite che io sia?”. Anzi, più precisamente: tu cosa dici di me? Pietro, infatti, risponde senza esitare: “Il Cristo di Dio”. Risposta esatta, da manuale. Risposta che non basta al cuore assetato d'amore e di relazione di Gesù. A lui non sono le formule teologicamente corrette e neppure gli articoli del Credo per riconoscerLo come Figlio di Dio. In quel Suo domandare sta chiedendo un affidamento, una confidenza che non si può pareggiare a una dimostrazione logica o a un forbito ragionamento. “Una definizione, per quanto esatta, non ha nulla d'impegnativo. La perfetta risposta di Pietro sulla strada di Cesarea, non lo salva dal rinnegare tre volte il Maestro, mentre un generico: Tu, Signore, lo sai che ti voglio bene, questo lo impegna fino alla morte e più oltre (...). Camminando in silenzio accanto ai molti che cercano, cercatori anche noi di una realtà ineffabile che non si esaurisce in una formula quantunque esatta e significativa, possiamo meglio aiutare ed essere aiutati” (P. Mazzolari, Impegno con Cristo, 1942). Nel dramma Il padre umiliato di P. Claudel, una fanciulla ebrea, bellissima ma cieca, chiede provocatoriamente ad un amico cristiano, credente: “Voi che ci vedete, che uso avete fatto della luce?”. Appunto, noi che per il dono della fede vediamo, che ne abbiamo fatto della luce?

 

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