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TESTO Immagini paurose

don Fulvio Bertellini

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (17/04/2005)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Un'immagine paurosa, quella dei ladri che entrano di nascosto nel gregge, apre questo Vangelo. Anzi, la figura si ripete, con termini diversi:"ladro" (chi ruba le cose), "brigante" (chi maltratta le persone), "estraneo" (chi è al di fuori di una relazione umana autentica). Sappiamo che sono figure di contrasto, che servono a far risaltare l'immagine del buon pastore. Più che scrutare i fantasmi che escono nella nebbia, dovremmo guardare all'immagine nitida del pastore che ci chiama uno per uno, e della porta sicura, che si apre sui pascoli della vita. Però è strano nel Vangelo trovare immagini paurose: non è nello stile di Gesù - né degli evangelisti (e neppure dovrebbe esserlo della sua chiesa) - soggiogare le persone facendo leva sulle loro paure. Sui nostri timori nascosti e inconfessati fanno invece leva ampiamente la pubblicità e la politica: dalla paura dell'alito cattivo, di fare brutta figura con una pastasciutta ordinaria, fino alla paura di perdere il posto di lavoro, o di ritrovarsi invasi dagli stranieri, sono molti i messaggi che ci arrivano, stuzzicando le nostre angosce e offrendoci facili soluzioni. Compra il dentifricio, compra il sugo pronto, vota Tizio a destra, vota Caio a sinistra.

Immagini di vita

Gesù non sfrutta le nostre paure, e anche così si rivela l'autentica guida, l'autentico pastore. Lui ci conosce per nome e ci apre la vita in pienezza, la vita in abbondanza. Non ha bisogno di terrorizzarci per costringerci a seguirlo. Però ci mette in guardia: "Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti". Queste parole sono scritte precisamente per noi oggi, che ci lasciamo incantare dalla voce degli estranei. Che pur di liberarci dalle nostre paure, siamo pronti a venderci. Che pur di proteggerci, ci affideremmo anche a un brigante, basta che faccia al nostro comodo. Il discorso di Gesù vuole aprirci gli occhi. A chi stiamo affidando la nostra vita? Da quali padroni ci lasciamo dominare? Da quali sirene ci lasciamo sedurre?

Per smascherare i fantasmi, non servono ulteriori denunce. Il termine di confronto è lui. Il nostro cuore sa riconoscere la sua voce, e se percorriamo altre strade, nel suo fondo sente di non essere sulla via dell'autenticità e della libertà. Guardiamo dunque, in positivo, alle immagini di vita autentica che ci offre questo brano.

La porta

L'immagine della porta evoca un accesso libero, manifesto, senza sotterfugi. Passare per la porta significa presentarsi, farsi riconoscere, non aver paura della propria identità. Ora, Gesù afferma di sé: "Io sono la porta". La sua pretesa potrebbe apparire presunzione o arroganza: è lui l'unico vero rivelatore di Dio. L'unica via d'accesso al Padre. In un mondo dove si mescolano e si incontrano sempre di più religioni, razze, culture e opinioni una simile idea è addirittura pericolosa, sembra contraria alla tolleranza e alla convivenza. In realtà, è molto più pericoloso chi inganna, chi si nasconde, chi si ammanta di rispetto, solidarietà e promesse, e poi guarda al proprio interesse, o lavora nell'ombra. Gesù non obbliga e non seduce nessuno, e la sua croce è lì a ricordarlo.

La voce

La voce è quella che chiama ad una ad una le pecore. Invita cioè ad una relazione personale, in cui è valorizzato l'individuo, il singolo. Ciascuno di noi è importante lui, tanto da far passare in subordine la possibilità di un successo a vasto raggio. Per Gesù è vitale "non perdere nessuno" di quelli che "il Padre gli ha dato", ma la via da seguire è quella dell'incontro personale. La risurrezione, tra i suoi effetti, ha anche quello di permettergli di oltrepassare la barriera di una presenza fisica: il risorto oggi è accessibile allo stesso modo qui, in Africa, in Oceania e in tutto il mondo, a chiunque voglia ascoltare la sua voce.

Il recinto e il pascolo

Il recinto richiama immediatamente la presenza di un gruppo, di una comunità. La chiamata di Gesù valorizza la persona, ma non resta individuale: ci apre immediatamente ad un gruppo più vasto; che nel nostro brano non è mai chiamato "gregge", ma al plurale: le "mie pecore". Una comunità che non intruppa, che non massifica, che non costringe a perdere la propria identità. Dove c'è libertà di azione: "entrerà, e uscirà, e troverà pascolo". Gesù ci salva, aprendoci ad un'autentica comunione, non fondata sulle leggi e sulle regole, ma sul riferimento alla sua persona. E anche l'immagine del pascolo, nascostamente, fa riferimento a lui, pane di vita, che sazia ogni nostro desiderio. Vengono così smascherate tutte le istituzioni e le relazioni che ci riducono a truppa, numeri, massa, ingranaggi di meccanismi schiavizzanti, i falsi miti di società che ci seducono, ci imprigionano, ci condizionano. Anche la chiesa potrebbe diventare una simile aggregazione schiavizzante: se perde di riferimento la voce del suo pastore. Se pretende di accedere ai cuori per altre porte che non sono la parola viva, la voce di Cristo.

Flash sulla I lettura

"Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". L'interrogativo assomiglia molto a quelli che ci poniamo anche noi, quasi con le stesse parole. Ma la domanda profonda è, probabilmente, ben diversa. C'è chi ha già deciso e pianificato la sua vita. E si chiede, davanti al Vangelo: "Che cosa dovrei fare di più, di diverso?". C'è chi è sommerso di impegni e non sa uscire dal vicolo cieco in cui ha cacciato la sua vita. E chiede: "Che ci posso fare?". C'è chi è disperato per i suoi problemi e chiede una soluzione immediata: "Che cosa devo fare?". Il guaio è che spesso, mentre chiediamo cosa fare, abbiamo le mani piene, i nostri progetti già determinati, siamo già instradati sul nostro binario.

Gli interlocutori di Pietro invece si trovano d'un tratto vuoti, faccia a faccia con l'inconsistenza delle loro azioni, anzi, sono colpiti al cuore, sbigottiti mentre si accorgono dell'enormità del male che hanno commesso, a cui corrisponde la grandezza dell'azione di Dio. La loro richiesta sale come quella del povero, che non ha nulla e che è disposto a lasciarsi guidare.

"Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare...": la risposta di Pietro mette in primo piano l'agire di Dio, di fronte a cui la nosra pretesa di "fare" deve tacere. Occorre accogliere il suo perdono (pentirsi) ed entrare nel suo progetto di salvezza (battesimo), lasciare a lui l'iniziativa (dono dello Spirito).

"Per voi infatti è la promessa": stranamente (e questo potrebbe stupirci) non viene chiesta nessuna azione riparatrice, nessuna espiazione: a questo ha già provveduto la croce. Rimane soltanto il puro, gratuito amore di Dio.

Flash sulla II lettura

"Carissimi, se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza...": ma perché chi fa il bene deve per forza soffrire? Eppure (ed è inutile nascondercelo) le cose stanno proprio così. Lo conferma l'esperienza di Gesù, lo conferma la nostra esperienza quotidiana, lo conferma l'esperienza dei santi. La sofferenza a cui allude la lettera di Pietro è quella che deriva direttamente dal fare il bene, mentre noi temiamo molto di più le malattie o le disgrazie della vita.

"...lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme": ciò che Gesù ha fatto diventa "esempio" per i suoi discepoli. L'immagine è quella di una "traccia" da seguire, come un segno da ricalcare, o un sentiero nella neve da ripercorrere passo dopo passo. Ma il perché del legame inevitabile tra benefici dati e sofferenza subita resta sospeso. Ed io in questo momento non so rispondere a una simile domanda. Per ora mi basta l'inquietudine che forse la mia vita fila via troppo liscia. Sto seguendo veramente il sentiero di Gesù? O una strada più facile, senza ostacoli, che mi mette al sicuro dai rischi?

 

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