TESTO L'enigma della porta e del Pastore
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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (17/04/2005)
Vangelo: Gv 10,1-10
1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Il racconto delle varie apparizioni di Gesù dopo la risurrezione, che ha interessato la liturgia delle domeniche successive alla Pasqua, cede ora il posto ad immagini quanto mai significanti, con le quali Gesù presenta agli uomini l'essenza della sua personalità e della sua missione. L'immagine del buon pastore fu cara alle prime comunità cristiane che la tradussero in graffiti, sculture, bassorilievi, come simbolo della tenerezza di Cristo.
L'evangelista Giovanni subito dopo il racconto del cieco nato, riporta il discorso di Gesù sulla "porta delle pecore" e sul "Buon Pastore" (Gv 10, 1ss). Il cieco nato è espulso dalla sinagoga per la sua professione di fede nel Messia (Gv 9,30-34); è stato scomunicato, taglato fuori dalla comunità giudaica; potrebbe quindi apparire come una pecora sbandata, senza pastore e senza gregge.
Ma tale impressione è del tutto sbagliata: chi crede in Gesù, entra nell'ovile di Dio attraverso la porta di vita e di salvezza che è il Cristo, anzi diventa una pecora del Buon Pastore.
I capi del popolo giudaico con il loro comportamento si sono manifestati ladri e briganti, non pastori di Israele. Con il loro accecamento ostinato e lucido essi hanno dimostrato di non essere vere guide spirituali del gregge di Dio. Il discorso del Maestro, riportato da Giovanni in 10,1ss., è motivato dalla situazione concreta del cieco miracolato. In questo contesto le parole di Gesù acquistano un'efficacia particolare.
Le letture di oggi presentano la missione di Gesù aiutandoci a mettere la Chiesa, che ne è l'esito, al centro della nostra riflessione.
L'immagine del "gregge" concentrata attorno a Gesù, ricorda che la comunità cristiana non sarà un semplice prolungamento di quella giudaica, ma sarà profondamente contrassegnata dalla novità di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
"Il pastore chiama...conduce...le pecore lo seguono...conoscono la sua voce". Questi versetti raccolgono la relazione personale fra il pastore e le pecore attorno alla "voce", attorno cioè alla parole del pastore, che è anche parola di rivelazione. Intesa come parola del pastore, la parola di Dio è parola viva: è la continua presenza di Gesù in mezzo ai suoi. Una parola è viva quando è presente chi parla: in questo senso la presenza di Cristo impedisce alla Parola di diventare libro, di diventare testo storico, magari anche impolverato.
Ora poiché la Chiesa ha il privilegio di questa "presenza", che sembra dare la parola di Dio è per essa "spirito e vita", è "lampada per i suoi passi e luce sul suo cammino".
Questa Parola non concede di essere spettatori ma, ci apre a comprendere come il Cristo sia il punto di riferimento di tutta la storia umana e a vivere di conseguenza. Attraverso le Scritture si tratta di arrivare a Colui che ci ama. E poi il Pastore che "chiama le pecore una per una..." indica l'esperienza profonda di comunione che è il cuore dell'esperienza della Parola: l'atto personale di chi crede non si ferma all'enunciato dottrinale ma va, come innamorato, alla ricerca del volto di Dio, "non terminatur ad enuntiabile sed ad rem" (San Tommaso d'Aquino).
"Io sono il buon pastore...offro la vita...il mercenario che non è pastore...abbandona le pecore...e fugge". E' un flash drammatico nel quale palpita una realtà di situazioni. Gesù conclude con un'espressione che sembra dare una spiegazione logica: "Egli è un mercenario e non gli importa delle pecore". Quasi ad ammonirci, poiché l'umanità è un gregge e molti vorrebbero pascolarla, di far bene attenzione a chi affidiamo la nostra sorte e i nostri valori umani, se ad un autentico pastore o ad un mercenario che può anche essere un lupo ammantato da agnello.
Questa sofferta considerazione di un popolo che non sa distinguere tra pastore e mercenario e che si lascia facilmente ingannare era molto presente in Gesù. "Aveva compassione delle folle" annota Giovanni "perché erano come pecore senza pastore". Credo che l'umanità di oggi non sia meno sbandata: molti mercenari e pochi veri pastori.
E' chiaro che nel buon pastore è delineata anche la figura del sacerdote cattolico, originale ed unica; una figura che continua a dar fastidio al mondo, il quale vorrebbe normalizzare, laicizzandolo, questo fenomeno del prete, impegnato come una sentinella sempre all'erta in una situazione di permanente emergenza. Si vorrebbe fare di questo sacerdote un normale impiegato, un funzionario, per amore di quale modernità?
L'immaginario con cui si esprime il Vangelo di oggi potrebbe indurci a pensare ad un contesto bucolico di virgiliana memoria. Ma non è così. "Teniamoci lontani dalla dolcezza dei biondi pastori di certe immaginette circolanti. Il pastore presentato dalla Bibbia e dal Vangelo è un capo ardimentoso, che spinge in avanti il suo gregge" (L. Simon).