TESTO Commento su Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2017)
Vangelo: Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi?
43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
La parola di Dio della liturgia odierna ritorna sull'argomento della nostra responsabilità nell'accettare o ignorare il dono del " Regno di Dio", già adombrato la precedente domenica, nella parabola dei due figli.
Trattasi di un dono molto importante, ma ritenuto non vitale da chiunque è superficiale o talmente miope ed egoista, che non va oltre il significato delle parole della legge, come fanno " i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo", i quali temendo di perdere il loro prestigio si fanno sordi. Non solo si fanno sordi ma ardiscono cacciare fuori dalla vigna e ucciderlo il figlio del padrone nella speranza di diventare loro gli eredi. Speranza vana perché diventano solamente omicidi che il padrone della vigna tratterà come tali.
Il padrone della vigna, al momento giusto, si dimostrerà onnipotente e proprietario; infatti toglierà la vigna a quei vignaioli malvagi, " facendoli morire " e " la darà ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti i frutti a suo tempo ". Davanti a questo padrone onnipotente, l'uomo moderno, sente il dovere di opporsi, perché si sente schiacciato dalla sua potenza.
Questa opposizione sorge in quanti, nel loro animo, sentono prevalere lo spirito di onnipotenza, profondamente radicato nell'animo di ogni uomo.
La prima lettura di questa domenica ci parla di un padrone che, " pianta una vigna, la circonda con una siepe, vi scava un frantoio e vi costruisce una torre ". Queste parole sono l'inizio del " cantico della vigna " del profeta Isaia ed esprimono la storia dell'amore di Dio per la sua vigna Israele, non solo, ma anche per la vigna che è la chiesa e l'umanità intera. Questa vigna, che il Signore ha creato, è anche da lui custodita e colmata di doni.
Egli instaura con lei una relazione d'amore, ma occorre che gli uomini accolgano tale amore e con amore rispondano dando buoni frutti. Se i buoni frutti non verranno la siepe andrà rimossa e distrutta mentre la vigna diverrà pascolo per animali selvatici.
L'autore del Salmo di questa domenica, il 79, è una supplica collettiva che eleva un'accorata preghiera a Dio invitandolo a visitare la sua vigna e, con la sua presenza, allontani i nemici del suo popolo e con essi le sofferenze fisiche e morali.
Questo Salmo va pregato al plurale, cioè a nome di tutti gli uomini e anime di tutti chiedere a Dio " perché ai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia?". Ancora oggi il popolo di Dio si trova in una situazione di crisi: i cristiani sono perseguitati e uccisi, solo e esclusivamente perché tali, oppure, nella migliore delle ipotesi ignorati. E allora non resta altro che dire: " Rialzaci Signore, Dio degli eserciti e, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi."
La seconda lettura è la continuazione della lettera di San Paolo ai Filippesi. In essa l'apostolo invita la comunità di Filippi a non lasciarsi turbare dalle Cassandre che, come al solito fanno capolino, nella storia di ogni popolo, periodicamente vaticinando: catastrofi, fini del mondo, terza guerra mondiale, etc. A tutto questo c'è un rimedio, come suggerisce l'autore della lettera: avere fiducia nella preveggenza di Dio e vivere in pace con tutti.
Prosegue poi dicendo che, nel mondo non c'è soltanto ed esclusivamente il male, e i discepoli di Gesù, devono apertamente testimoniare e apprezzare i valori che vedono incarnati loro prossimo. Questo è possibile se c'è, come sostengono spirituale, una preghiera piena di fiducia e sincera. La nostra vita che è piena di angosce e di speranze, solo dopo Gesù Cristo, si pone sotto il segno della pace e della gioia: " Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto ".
Il vangelo che, la liturgia di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario, offre alla nostra riflessione è il proseguimento del ventunesimo capitolo di Matteo, su abbiamo riflettuto domenica scorsa. I chiamati a coltivare la vigna non sono più i due figli del padrone, ma dei professionisti, dei vignaioli, scelti dal padrone della vigna, alla quale non manca niente perché produca buoni frutti. Al momento di raccogliere i buoni frutti, il padrone della vigna manda, per ben due volte, dei servi perché i vignaioli consegnino loro i frutti prodotti dalla vigna, ma entrambi le volte i coltivatori li uccidono. In fine il padrone manda il proprio unico figlio, nella speranza i vignaioli ne abbiamo risposto, ma anche anche questi viene assalito, portato fuori dalla vigna e ucciso. I vignaioli avevano pensato che, il padrone non avendo più eredi, alla sua morte loro avrebbero ereditato la vigna.
Gesù non porta termine la parabola, ma lascia che i sacerdoti e gli anziani del popolo ne diano la conclusione. Pone solamente una domanda, molto innocente: " Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?". La risposta che danno gli ascoltatori segue la logica: li farà morire e darà la vigna ad altri vignaioli che gli daranno a suo tempo i frutti.
Il significato di questa parabola è semplice: la vigna è l'umanità intera creata da Dio ricca di doni, vignaioli sono quelli che rifiutano e uccidono, crocifiggendolo, il Figlio di Dio.
Questo rifiuto violento si è verificato diverse volte nella storia dell'umanità e persiste anche ai giorni nostri.
La parabola parla di un castigo derivante dall'ignorare i diritti di Dio. Castigo che ci infliggiamo noi stessi dovuto al fatto che ci comportiamo come padroni del creato che abbiamo solo in amministrazione.
Revisione di vita
- Siamo convinti che la salvezza è offerta a tutti e non un privilegio solo nostro?
- Il nostro piacere o non piacere non rende la vigna fruttuosa anzi la rende improduttiva. Abbiamo mai pensato a questo?
- Oggi sembra che la siepe che la cinge sia divelta e la vigna sia diventata pascolo per gli animali selvatici. Crediamo ancora che nessuno prevarrà contro di essa?
Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari