TESTO Commento su Ezechiele 33,1.7-9; Matteo 18,15-20
Carla Sprinzeles Radio Nichelino Comunità
XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/09/2017)
Vangelo: Mt 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Cosa ci dicono le letture della liturgia di questa domenica?
Gesù indica la VIA. Il cristianesimo originariamente era indicato come la religione della “via”.
Quale Via? Forse, in teoria, lo sappiamo tutti: la via dell'amore; ma quale amore? Viviamo in una realtà che ci delude e quindi siamo spinti a cercare nell'amore e nella gioia dello stare insieme il rifugio, la consolazione, il riparo da una realtà pubblica diventata insopportabile. Ebbene, non è di questo amore, che ci parla la liturgia di domani ma di un amore che abbraccia tutti. Ognuno di noi mangia, consuma, l'amore deve calarsi nel concreto, se il dollaro fa un salto in su, domattina ne risentiremo tutti, siamo tutti collegati. Occorre unirsi nelle cose, più che in teoria “nei cuori”; vedere nell'altro, mio fratello: contano i fatti, non le parole.
Gesù richiama ad uno stile di vita discreto e schietto per correggere colui che ha sbagliato: senza umiliarlo inutilmente, senza giudicarlo sulla base di dicerie, senza condannarlo con sentenza inappellabile. Ci traccia una via concreta da percorrere, passo dopo passo, con mitezza, se si vuole veramente il bene degli altri.
EZECHIELE 33, 1. 7-9
La prima lettura è del profeta Ezechiele, che vive in esilio a Babilonia, deportato con molti altri. Dal 597 al 587 a.C., il popolo d'Israele ha perduto la terra, il re, il tempio, sembra che il Dio di Israele sia stato vinto dal Dio di Babilonia. Ezechiele dice che il profeta è come una “sentinella” di guardia, che scruta e grida il pericolo e il soccorso. Dalla sentinella dipende la salvezza della città, perché deve riconoscere, da sola, l'amico o il nemico che spunta all'orizzonte. La sentinella veglia mentre tutti dormono e sa che viene il mattino dopo la lunga notte. Sa che c'è il sole e che spunterà l'aurora. E' responsabile della sorte della città.
Anche noi siamo sentinelle nell'ambiente in cui viviamo, siamo responsabili della sorte del nostro mondo, ma ci pensiamo? Ecco per questo dicevo che l'amore non è rifugiarsi nel nostro piccolo cerchio. L'amore richiede responsabilità concreta. Quindi occorre attenzione alla parola del Signore (pensate che Ezechiele, in modo figurato, ingoia il rotolo del manoscritto) e poi avverte e parla a nome di Dio, annunciando i pericoli e i rischi che si corrono. Ognuno poi resta responsabile delle proprie azioni.
Ezechiele fa da portavoce fra Dio che parla e il popolo di Israele, o il singolo, a cui comunicare la parola di Dio. La sentinella richiama l'empio ma anche conforta gli scoraggiati, motiva che non ha speranza per il futuro.
MATTEO 18, 15-20
Il capitolo 18 di Matteo, di cui abbiamo letto una piccola parte, chiarisce che la via dell'amore non è una via trionfante e di potere. Su questo i discepoli e anche noi ci troviamo spiazzati; vorremmo sempre emergere, essere importanti, avere potere. Non è questa la via dell'amore. Gesù afferma che quelli, che nella società vengono ignorati e ritenuti i più lontani da Dio, in realtà ne sono gli intimi, i più vicini: chi ignora i miseri, ignora Dio.
Gesù non invita mai a chiedere perdono a Dio, perché Dio perdona l'uomo mentre sta ancora peccando nei suoi confronti, occorre però che l'individuo prenda coscienza del perdono ricevuto e ciò è possibile solo se questo si trasforma in altrettanto perdono per chi è colpevole nei suoi confronti. Gesù sollecita il discepolo a fare come il Padre, che concede il perdono prima che venga richiesto.
Veniamo al passo che leggiamo: parla della correzione fraterna, secondo me, è un terreno minato!
Cerchiamo di capire. Gesù non ci vuol dire che se vediamo qualcuno che si comporta in modo che ci dà fastidio, che esce dalle regole, dall'alto del nostro essere giusti, lo dobbiamo correggere, obbligarlo a rientrare sui nostri binari, con molta presunzione. Per Dio l'importante è la gioia dell'amore, è venirci incontro quando ci sentiamo peccatori, per darci la capacità di ritrovare il nostro posto nell'assemblea.
Il Maestro indica come permettere al Padre di raggiungere l'altro: se non basta la simpatia di uno solo, questi prenda con sé altri due o tre, che sappiano meglio di lui trasmettere la tenerezza della misericordia, e se ancora non ci riescono lo considerino come “un pagano e un pubblicano”. Ma attenzione al significato: il pagano è uno che non conosce Dio, ma solo perché nessuno glielo ha rivelato e nel Vangelo Gesù dice: “I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno dei cieli”, ecco precedono chi si pensa giusto e vuole correggere. Cosa vuol dire Gesù? In che modo deve avvenire la correzione? Occorre diventare amici di colui che ha un difetto e aiutarlo a scoprire la ferita che ha provocato in lui quel difetto. Vuol dire guardare costui come uno che ha sofferto e che cerca di sopravvivere malamente attraverso questo atteggiamento sbagliato. Occorrono persone capaci di condividere con lui l'amicizia e offrirgli uno sguardo compassionevole e rispettoso, in modo da sciogliere la sua paura della condanna e permettergli di aprirsi alla tenerezza di Dio.
Tutti, prima o poi, siamo il pagano o il giusto, il pubblicano o il discepolo. Se noi diamo dei giudizi, impediamo di credere alla misericordia del Padre, mentre se lo sciogliamo, lo perdoniamo, visto che anche noi siamo perdonati, conduciamo l'altro al Padre.
Chiediamoci nuovamente che cos'è l'amore, perché è un nodo molto difficile da capire. L'amore è assumersi la responsabilità dell'altra persona; amarlo nella sua interezza, prenderlo e offrirsi a lui nella quotidianità, cercare insieme la felicità. Amare quindi col cuore e con la testa. Rendere concreto il proprio affetto. Per fare questo occorre sentirsi amati da Dio e imitarlo nel suo gesto perché Lui ha riempito il nostro cuore. Prima occorre trovare l'equilibrio nell'amore verso di me, occorre accogliere le mie fragilità senza vergogna, metterle nelle mani di Dio con abbandono da figli.
La fede è amare una persona, il Signore Gesù e questo amore mi porta a un cambiamento di vita. Occorre poi prendere a cuore il destino dei fratelli senza nascondersi dietro un rispetto che non ci interpella e lascia il fratello nella propria inquietudine. Io trovo che il perdono, umanamente, sia la cosa più difficile. Quindi Gesù, che lo sa, dice di unirsi e di formare una comunità, anche piccola, anche due o tre uniti nel suo nome. La presenza di Gesù non è da cercare, ma da accogliere, c'è già per continuare, con Lui e come Lui, a comunicare amore e vita a tutta l'umanità. Il mandato è di manifestare la presenza di Dio all'intera umanità, assicurandoli che non saranno soli, ma che lui collaborerà con loro per sempre, perché nessuno si perda.
Per concludere, per correggere l'altro occorre sentirsi anche noi peccatori, perdonati da Dio, avvicinarsi agli altri, insieme a Gesù, e con discrezione, umiltà e delicatezza dare a loro la mia voce, perché lui, Gesù, dica quello che è bene per il fratello che sbaglia. Altrimenti i nostri giudizi sono sempre al vetriolo e sparliamo quasi con soddisfazione, perché ci sentiamo bravi.
Questo è dannoso, altrettanto come disinteressarsi dell'altro. Per non sbagliare dobbiamo lasciare agire Gesù in noi.