TESTO Commento su Eb 11,1-2.8-19
Monastero Domenicano Matris Domini Home Page
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/08/2016)
Brano biblico: Eb 11,1-2.8-19
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
Forma breve (Lc 12,35-40):
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Collocazione del brano
Per quattro domeniche saremo accompagnati da due significativi capitoli della lettera agli Ebrei: l'11 e il 12. Questa lettera, nonostante il titolo che le è stato dato già da prima del II secolo, non è una vera e propria lettera e non sembra essere stata inviata a una comunità di Ebrei. Dall'analisi approfondita del testo gli studiosi ipotizzano sia stata scritta da un discepolo di Paolo che si trovava in Asia Minore (l'attuale Turchia) e che aveva mandato un discorso scritto a una comunità già consolidata che viveva le crisi dell'età adulta (perdita di entusiasmo, stanchezza...) e alcune persecuzioni esterne. Il testo ricorda i fondamenti della fede cristiana, soprattutto la centralità di Cristo e il senso della sua morte violenta e poi si rivolge ai suoi destinatari esortandoli a rinvigorire la propria fede. I capitoli che leggeremo in queste domeniche appartengono proprio a questa parte più parenetica (cioè esortativa) e invitano anche noi a riflettere sulla nostra fede e a darle fondamenta sempre più solide.
Il capitolo 11 è un vero e proprio elogio della fede. L'esordio sembra essere quello di un trattato di teologia sulla fede, invece poi il discorso si dipana su esempi molto pratici di uomini e donne che lungo la storia del popolo di Israele hanno saputo perseverare nella fede nonostante le difficoltà delle loro diverse situazioni e guardare al futuro, al compimento delle promesse di Dio, che si è realizzato in Gesù Cristo. Vi invitiamo a leggere il capitolo 11 nella sua interezza (40 versetti). Il brano che leggiamo in questa domenica parla quasi interamente della vicenda di Abramo, il padre della fede per eccellenza, e di Sara, sua moglie, che visse anche lei in prima persona le difficoltà della sequela di Dio.
Lectio
1 La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.
Questa frase iniziale è una vera e propria affermazione di principio che sostiene tutto il discorso seguente. La fede viene definita con due termini molto forti: il primo è hypostasis, cioè fondamento, garanzia. Questo termine greco si ritrova in molti papiri con il significato di titolo di proprietà o di possesso.
Il secondo termine è elenchos, che viene tradotto prova, ma può significare anche certezza, argomento dimostrativo. Questi termini suggeriscono dunque certezza e stabilità della fede. Però i complementi di specificazione che essi reggono, rendono l'affermazione più aperta al futuro. La fede è fondamento di ciò che si spera: ciò che è sperato ancora non lo si possiede, però la fede dona la certezza che la speranza diventerà una realtà tangibile. La fede è la prova di ciò che non si vede. Grazie alla fede, realtà che non ho visto perché sono fatti a me anteriori, come ad esempio la creazione, io ho la certezza che sono veramente accadute. Lo stesso vale per le cose che non vedo perché non si sono ancora realizzate. Grazie alla fede è come se le vedessi già.
2Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
E' questa certezza della fede su cui i nostri padri, i nostri antenati si sono basati e, perseverando nella fede, hanno ottenuto l'approvazione da parte di Dio. Il loro atteggiamento nei confronti del Signore è stato trovato giusto ed essi hanno potuto così godere del frutto della loro perseveranza nella fede. L'autore della lettera agli Ebrei comincia così un excursus dei personaggi biblici che più si sono distinti in fatto di fede. La liturgia salta i versetti 3-7 che parlano di Abele, Enoch e Noè, per venire a personaggi più significativi.
8Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Abramo nella tradizione giudaica è considerato il giusto per eccellenza e nella tradizione cristiana primitiva invece è il padre della fede (vedi anche Rm 4; Gal 3,6-18). Il cammino di fede di Abramo inizia con la “partenza”, l'uscita da una situazione sicura, per andare verso un futuro che egli non conosceva, ma che gli era stato promesso come eredità, cioè un bene da trasmettere alla propria discendenza (che ancora non aveva, e che dovrà attendere ancora a lungo). All'origine di questa partenza c'è la chiamata di Dio alla quale abramo aderisce prontamente.
9Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.
Legata all'esperienza di Abramo c'è il tema della terra, caratterizzato dal movimento dal posseduto al non posseduto, da quello che si vede a ciò che è invisibile e sconosciuto. Questa tensione è resa bene dall'idea dell'abitare nella tenda, in una situazione precaria, in terra straniera, attendendo la realizzazione delle promesse di Dio. In questa situazione precaria vissero anche i suoi primi discendenti, nonostante una prima realizzazione delle promesse.
10Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Contrapposta alla tenda vi è la città dalle salde fondamenta, salda perché progettata e costruita dallo stesso Signore.
11Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso.
La seconda tappa del cammino di Abramo riguarda l'attesa del compimento delle promesse e si focalizza sul tema della discendenza. In questa tappa è coinvolta anche Sara, poiché il vero erede di Abramo non poteva nascere che da lei. Qui risalta il contrasto tra l'impossibilità di Sara di diventare madre, poiché avanti negli anni, e la sconvolgente realizzazione della promessa. Ciò però passò attraverso la sofferenza e i tentativi di sistemare le cose alla maniera umana: una prima assegnazione dell'eredità al nipote Lot, poi al domestico Eliezer la nascita di Ismaele dalla schiava Agar.
12Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Eppure la fede di Abramo ebbe la meglio: anche se anziano fu il capostipite di una discendenza numerosa. L'autore di Ebrei la ricorda con le stesse espressioni usate dal Signore nel formulare ad Abramo la sua promessa (cf. Gn 15,5; 22,17).
13Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra.
L'autore di Ebrei fa qui una pausa di riflessione, un piccolo excursus teologico, sottolineando come l'esperienza di Abramo sia stata un paradigma per coloro che lo hanno seguito, ma anche per i suoi predecessori: tutti loro avevano ricevuto una promessa, vi credettero fermamente, ma alla loro morte tale promessa non era stata ancora realizzata. Bella l'immagine del saluto da lontano ai beni promessi: essi nella fede li vedevano già, ma non li possedettero. Nella fede affermarono la provvisorietà della loro vita terrena, non solo il loro vivere in terra straniera.
14Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. 15Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; 16ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Tutti loro erano usciti dalla loro terra ed erano pellegrini nel mondo. Il loro sguardo era aperto al futuro, a una patria migliore di quella che avevano lasciato. Questa patria si è incarnata per un po' in una terra promessa, ma poi è diventata la patria celeste, la città che Dio aveva preparato per loro. Ecco dunque che Dio prende nome da questi suoi primi servi fedeli. Egli infatti si manifesterà a Mosè come il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. La fede dei primi patriarchi ha avuto una ricompensa grandissima, sia celeste che terrestre.
17Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, 18 del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza.
Ma ritorniamo ad Abramo. La sua fede dovette superare una terza tappa, quella della prova. Dio gli chiese di sacrificare suo figlio Isacco. Qui raggiungiamo il momento di maggiore tensione perché sembra che Dio stesso voglia distruggere il pegno del futuro che egli stesso aveva donato ad Abramo ed annullare così tutte le sue promesse.
19Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Il superamento della crisi avviene in forza della fede di Abramo che si fida della “potenza” di Dio che risuscita i morti. La conclusione di questa sequenza fa intuire uno scorcio cristiano della fede di Abramo: egli per la fede ritrova non solo il figlio della promessa, ma il figlio “risuscitato” da Dio. In questo l'autore cristiano suggerisce una specie di anticipazione profetica della vicenda di Gesù, che si trova anche nell'indicazione di Isacco come di figlio unigenito.
Meditiamo
- Ho ricevuto anche io delle promesse da parte di Dio? Quale è il mio atteggiamento nei confronti di ciò che la vita mi ha donato finora? Ho saputo abbandonare la mia terra in forza di una promessa? Di che cosa si trattava?
- Quale è stato il mio atteggiamento nei momenti di difficoltà, quando la promessa di Dio era ben lontana dall'avverarsi?
- A che punto è la mia fede? Sto sperando in qualcosa di migliore, o vivo alla giornata?