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TESTO Ma Dio salva davvero tutti?

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/08/2017)

Vangelo: Mt 15,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Mi sono spesso chiesto se Dio salvi tutti, o meglio, se debba davvero proprio salvare tutti. Dentro di me dico di sì, dico che la sua misericordia è grande: penso a me stesso, e se sono fiducioso che salvi me, quanto più lo sono verso le persone che credono in lui meglio e più di me. Ma quando si tratta di gente che non crede? Quando in gioco è la fede di gente che si professa atea, oppure di gente che dice di credere, ma ha preferito allontanarsi dalla chiesa e dalla pratica religiosa? E quando si tratta di gente che appartiene ad altri “credo”, ad altre religioni o ideologie, al di là del fatto che possiamo provare maggiore o minore simpatia verso le altre religioni, vista la rabbia - a volte motivata dai fatti - che si sta diffondendo nei confronti di alcune religioni ideologizzate e contrarie all'idea di un “Occidente Cristiano”? La rabbia - motivata ma ingiustificata - ti fa dire che Dio non può salvare tutti; la misericordia - che non è il buonismo - ti fa dire l'esatto contrario.

E Dio, che cosa dice? O meglio, che cosa fa? A me di che cosa dica o di che cosa faccia il Dio professato o venerato da altri, sinceramente mi importa poca: rispetto le visioni teologiche, le professioni di fede, e le tendenze spirituali di ogni uomo e di ogni donna sul pianeta, ma mi interrogo e mi concentro sul mio Dio, sul Dio Gesù Cristo, su quel Dio che ha fatto della misericordia il suo distintivo, che ha fatto dell'umano la propria essenza e che ha fatto della fede l'unica risposta possibile agli interrogativi dell'esistenza umana, tra cui, appunto, quello della salvezza universale. La quale resta un fatto di fede, ovvero frutto di una risposta personale, di un cammino profondo e sincero a cui ogni uomo è chiamato fino a comprendere il vero volto di Dio.

Come la donna cananea del Vangelo di oggi, pagana, senza Dio, fuori dalla salvezza - a detta del popolo eletto - che da quel “Figlio di Davide, abbi pietà di me” con cui si rivolge a Gesù per chiedere la guarigione della figlia, giunge a una fede definita da Gesù “grande”, a tal punto da far fare a Dio come ella desidera. Eppure, dicevo, il cammino di questa donna nel suo approdo alla salvezza - e ancor più, a un modello di fede per tutti noi - non è un cammino facile. La sua richiesta di salvezza, il suo grido iniziale a Dio non ha certo le fattezze di un grido di fede, di una professione di fiducia in lui: si rivolge a Gesù come “Figlio di Davide”, come “messia terreno”, come un “capo”, un “condottiero”, un “comandante”, dal quale ottenere “pietà”, ovvero una grazia rispetto a una condanna già segnata sul suo capo. E la condanna è duplice, secondo la mentalità di Israele: è straniera, quindi fuori dalla salvezza, ed è stata colpita (forse dallo stesso Dio?) con una presenza demoniaca nella sua famiglia.

Niente da fare, a persone come queste Gesù non rivolge neppure una parola. Ci verrebbe da dire - come spesso facciamo - che Dio è cattivo perché non ci ascolta; se abbiamo anche solo un pizzico di fede perché ci riteniamo suoi discepoli, diremmo - come i Dodici - che in fondo a Dio non costerebbe nulla farle una grazia, anche solo per evitare che continui a molestare e impedisca loro di proseguire nel cammino (come quando in comunità facciamo le cose che ci vengono richieste più per evitare seccature che per convinzione). Ma Gesù tira dritto, perché in fondo le dà ragione: si comporta così come lei lo chiama, da “Figlio di Davide”, da “messia”, da “capo del popolo d'Israele”, che quindi non è chiamato - se vuoi nemmeno legalmente - a concedere una grazia a uno che non è suo suddito perché straniero, perché “non appartenente alle pecore perdute della casa d'Israele”. Allora, la donna prosegue nel suo cammino di fede e cambia registro: Gesù non è più il Messia israelitico, dal quale non otterrebbe nulla, ma diviene il “Signore”, il Dio della storia, il Dio fatto uomo presente nella vita degli uomini, al quale chiedere anche solo un aiuto.

Niente da fare: con i “cani” (così erano chiamati i pagani dagli ebrei) non si tratta. La risposta di Gesù è dura, perché sembrerebbe non scendere a compromessi: a Dio non ci si rivolge solo per ottenere un aiuto, ci vuole un cammino di fede. In realtà Gesù sapeva già quale fosse la fede di questa donna, e assume questo atteggiamento perché non sia lei a comprendere, ma i suoi discepoli, ovvero noi, che dobbiamo comprendere che la salvezza non è un fatto di appartenenza a un popolo o a una religione, e non è neppure questione di opportunità (salviamo tutti, pur di non essere intralciati in ciò che facciamo o purché non ci creino problemi), ma è questione di un cammino di fede, che parte dalla capacità di Dio di essere per noi grazia, e dal desiderio nostro di metterci in cammino con lui sempre, comunque, senza mai lasciarci andare, convinti che Dio non ci tratta mai come dei “cani”, ma ci tratta come dei figli, e non ci dà le briciole della salvezza, ma ci chiama a condividere il suo pane come appunto fa un padre con i suoi figli, alla sua mensa.

Questa donna si accontenterebbe anche solo delle briciole della grazia: e Gesù capisce da questo che il suo cammino parte da una fede profonda, da quella fede che sa che tutti quanti siamo seduti alla mensa di Dio, perché suoi figli, e ognuno può sfamarsi di ciò che può, nella misura della propria fede. La fede di questa donna non era né opportunismo né tanto meno frutto di equivoci: è una fede definita da Gesù “grande” (nel vangelo di Matteo, Gesù dice “grande” solo alla fede di due “atei”, di due “pagani”, lei e il centurione romano), ed è grande non perché “battezzata” in un gruppo religioso o perché occasionale e contingente, ma perché consapevole che Dio è padre, e alla fine nessuno può essere considerato da lui se non un figlio, al di là dei nostri meriti.

Fa impressione vedere un Gesù che si “converte” dalle sue scelte a causa di una donna che è capace di fargli fare ciò che lei vuole (è come se Gesù pronunciasse a lei le parole del Padre Nostro, “sia fatta la tua volontà”), ma fa ancor più impressione vedere che la fede veramente è capace di smuovere le montagne, come proverbialmente diciamo. Se la fede di questa donna straniera ha ottenuto da Gesù una grazia che non meritava, figuriamoci se a ogni uomo non è data la possibilità di ottenere la salvezza, al di là del proprio credo. È davvero una questione di fede.

 

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