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TESTO Una donna in cattedra nel tempio

don Angelo Casati   Sulla soglia

X domenica dopo Pentecoste (Anno A) (13/08/2017)

Vangelo: Mc 12,41-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,41-44

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Un motivo dominante, quasi voce ininterrotta di torrente, percorre le letture di questa domenica, un motivo che ha nome "tempio". E alla mente s'affacciano domande: "Perché un tempio? E basta un tempio? E che cosa succede dentro un tempio? Che cosa accade qui, questa mattina, fra noi? Che cosa accade in noi o che cosa non accade?".

Cominciamo con il dire che alla fine Dio si era lasciato convincere a farsi erigere un tempio, non era certo il massimo delle sue aspirazioni. Salomone - nel nostro brano - non lo ricorda. Ricorda solo che a Davide, suo padre, Dio aveva detto che sarebbe stato suo figlio a innalzargli un tempio, ma a Davide Dio aveva anche detto altro, aveva detto che nella costruzione di un tempio subodorava un pericolo, un pericolo di restringimento, pericolo di immobilità: per uno come lui che era stato sempre a fianco del suo popolo, per uno come lui che aveva come sogno non quello di stare sui troni, ma quello di camminare con il suo popolo.

Ma allora perché Dio cede? Non so se sbaglio, penso che ceda per noi. Per come siamo fatti noi, noi che abbiamo bisogno di luoghi In cui convenire, in cui custodire le memorie, le memorie che ci fanno vivere. Per farmi capire, come accadde a noi, per esempio, in questi giorni: un popolo, quello ambrosiano, avrebbe potuto affidare coralmente a Dio, un suo pastore, il vescovo Dionigi, se non avesse avuto il Duomo come luogo di convocazione e di preghiera?

Ebbene il tempio, la chiesa, ricorda a tutti noi, come la ricordava agli ebrei, un'alleanza tra Dio e il suo popolo, un'alleanza che deborda dal tempio. Un'alleanza che ha come due facce. Al cammino di Dio con gli uomini deve rispondere il cammino dell'uomo. Alla consapevolezza che Dio cammina con noi, deve rispondere la nostra volontà di "camminare davanti a Dio". Nella sua preghiera, a mani alzate, Salomone rivolgendosi a Dio, dice: "Tu mantieni l'alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore".

La promessa a Davide aveva una condizione: "purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta, camminando davanti a me come tu hai camminato davanti a me". Mi sembra bellissima questa espressione che ritorna più volte nel brano: "camminare davanti a Dio". Voi mi capite, come se mi bastassero i suoi occhi, come se non fossero importanti per me gli occhi degli altri e quindi mi interessasse la retta coscienza e questa fosse il criterio determinante, assoluto per me. Io cammino davanti a Dio?

In questo orizzonte - voi mi capite - il tempio, la sua frequentazione, non mi esaurisce, anzi mi urge a uscire e a camminare davanti a Dio, in retta coscienza. Il tempio urge a un altro tempio più interiore: "Non sapete" scrive Paolo "che siete voi il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?". E come lo mostriamo che lo Spirito abita in noi, se non facendo nostri i pensieri, le passioni, le opere che furono di Gesù? In questi giorni in cui ci ha accompagnato la memoria del Card. Dionigi Tettamanzi mi sono ritornate più volte alla mente le parole con cui nell'ottobre del 2006 concludeva la sua prolusione al Convegno della chiesa italiana all'arena di Verona.

"E ora" disse "l'ultima parola. Non è da me, ma viene da lontano, dall'Oriente, da un vescovo martire dei primi tempi della Chiesa, da sant'Ignazio di Antiochia. Desidero che la sua voce risuoni in questa Arena e pronunci ancora una volta una parola d'estrema semplicità, ma capace di definire nella forma più intensa e radicale la grazia e la responsabilità che come Chiesa in Italia chiediamo di ricevere da questo convegno. E che, per dono di Dio, il cuore di ciascuno di noi ne sia toccato e profondamente rinnovato!

Ascoltiamo: "Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede sino alla fine. È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo" (Lettera agli Efesini). "E' meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo".

E siamo riportati al vangelo di questa domenica. Dove si parla di tempio e di Gesù che sta insegnando nel tempio. E che cosa vede? "Una vedova povera" direte voi, dopo aver ascoltato il brano di oggi. Ma in realtà Gesù vede due scene, contrapposte. Sì, perché - vedete - si può stare nel tempio in due modi. E io in che modo ci sto? Ed ecco la prima scena che non è stata ricordata. Marco scrive che Gesù diceva loro nel suo insegnamento: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa".

Potremmo dire: sono quelli che si dicono credenti senza esserlo. Non camminano davanti agli occhi di Dio, a loro interessa essere negli occhi, nei sondaggi, degli uomini. Non cercano il regno di Dio, ma i vantaggi della religione; non servono la religione, ma si servono della religione. Non danno, divorano. E poi pregano a lungo. Ma è una liturgia da spettacolo. "Guardatevi": diceva Gesù."Guardatevi", cioè via gli occhi da loro. E invece posate gli occhi, non finite di guardare quella vedova povera, quasi invisibile, lei che nel silenzio più assoluto fa scivolare, senza che se ne oda rumore, nel tesoro del tempio due monetine che fanno un soldo.

Che era tutto quello che aveva per vivere. E' come se Gesù alla fine della sua attività pubblica ci presentasse due modi di frequentare chiese. E detronizzasse - via lo sguardo - quelli che esibiscono se stessi, quelli che si approfittano e mettesse in cattedra una poveretta. I primi, secondo Gesù, sconsacrano il tempio. La donna lo onora con un gesto umile, silenzioso, estremo: "tutto quanto aveva per vivere"! Nessuno di noi sa come si chiamasse quella donna, povera. Povera anche di nome. Una innominata, della folla dei piccoli.

Ma agli occhi di Gesù grande, la più grande. E dov'è la grandezza? Certo, una cosa è sicura: che lei mai e poi mai avrebbe immaginato che noi questa mattina, dopo più di duemila anni, saremmo stati qui a ricordarla. Non c'è molto da commentare. Ho solo da chiedermi se me la tengo davanti agli occhi, se mi lascio sedurre dal suo gesto, dal suo silenzio, dalla sua umiltà, dalla sua generosità fuori da ogni umana comprensione. Una cosa so: che ho molto - ancora molto - da imparare da lei. Per essere fedele al vangelo.

 

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