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TESTO Commento su Matteo 14,22-33

Omelie.org - autori vari  

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/08/2017)

Vangelo: Mt 14,22-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Lucia Piemontese

Il racconto evangelico comincia con un atto di forza di Gesù nei confronti dei discepoli: li costringe a prendere la barca da soli e a precederlo da un'altra parte, sull'altra riva. Questa forzatura si può comprendere considerando che avviene subito dopo la prima moltiplicazione dei pani. Gesù ha sfamato le folle, che i discepoli volevano congedare perché si procurassero il cibo da sole, ed ha reso partecipi i suoi del dono del pane. Poi, con questa esperienza nel cuore, li allontana da quel contesto divenuto forse anche gratificante e li manda a precederlo per preparare la sua venuta altrove. Gesù non va con loro; Lui, che è il loro Maestro capace di compiere miracoli grandiosi, li manda soli verso “l'altra riva” ( espressione di luogo, ma con significati più profondi).

Gesù congeda quelle folle, per la quale ha provato grande compassione (cf Mt 14,14) e le rimanda alla loro vita nutrite e sostenute dal pane che ha spezzato per loro. Poi sente il bisogno di stare con il Padre e sale sul monte, luogo di vicinanza con Dio. Gli avverbi sottolineano il tempo prolungato che dedica all'intimità con il Padre nella solitudine e nella preghiera.

Il racconto ci mostra due quadri: è notte, da una parte c'è Gesù in alto sul monte nella quiete della preghiera, dall'altra i discepoli in basso sul mare, ormai lontani dalla riva, in balia dei flutti e del vento contrario. Per loro è una situazione molto difficile. Il Maestro non c'è e non si affretta a raggiungerli, ma questo non significa che li abbia abbandonati.

E' quasi l'alba (in greco “ la quarta veglia della notte”, ossia fra le tre e le sei del mattino) quando Gesù va dai suoi. E' l'ora in cui è ancora buio ma si intuisce l'approssimarsi della luce; è quell'ora particolare nella storia della salvezza, nella quale il Dio dell'esodo mette in rotta l'esercito del faraone e frena le ruote dei suoi carri (cf Es 14,24) ed è l'ora in cui le donne scoprono che la tomba è vuota e il Signore è risorto (cf Mt 28,1 e paralleli). Proprio in quell'ora Gesù si avvicina ai discepoli, camminando sul mare (è sottolineato dalla doppia ripetizione) come il Signore che vince la morte e domina l'abisso che tutto vuole inghiottire.

I discepoli, certamente molto affaticati per la tempesta, lo scambiano per un fantasma e provano ancor più confusione e paura. Le parole di incoraggiamento di Gesù sono le parole di Dio, quelle che dicono la sua presenza e che risuonano fin dai tempi antichi: dall' “Io sono” rivelato a Mosè (Es 3,14) via via fino al “non abbiate paura” detto da ultimo dagli angeli ai pastori di Betlemme (cf Lc 2,10) e alle donne nell'annuncio della risurrezione (cf Mt 28,5).

Allora vien fuori la voce di Pietro (solo Matteo racconta di lui in questo episodio), che per la prima volta chiama Gesù con l'appellativo di Signore e lo prega con veemenza “comandami di venire da te!” ( è un imperativo precativo). E Gesù gli dice “ vieni!”. Questo invito ha un sottofondo biblico ricco di sfumature emotive ed amorose: nell'AT ricorre in particolare nel Cantico dei Cantici all'interno del dialogo d'amore fra il diletto e la sposa, mentre nei Vangeli, oltre a Pietro, Gesù lo rivolge a Natanele (cf Gv 1,46) e alla Samaritana (cf Gv 4,16) per chiamarli a sé; infine risuona nelle ultime righe dell'Apocalisse fra Cristo e la Chiesa (cf Ap 22,20).

Pietro si fida della Parola di Gesù e comincia a camminare sulle acque verso di Lui. Ma guardando alla furia della tempesta ha paura. E la paura lo tira giù, facendolo affondare nel mare/morte. Allora grida al Signore il suo bisogno di salvezza e Gesù subito stende la mano per salvarlo. Con questo gesto Gesù guarisce un lebbroso (cf Mt 8,3), ma l'espressione è antica e richiama gli interventi di Dio nell'esodo quando direttamente o tramite Mosè stendeva la mano/ la destra per liberare il popolo e compiere prodigi. Come in Esodo 14, siamo di fronte all'immagine della potente mano di Dio che salva del mare il popolo/Pietro.

Con una domanda Gesù pone Pietro a confronto con la sua fede: poca fede e dubbio.

L'aggettivo oligopistos al singolare o plurale (cf Mt 6,30; 8,26;14,31; 16,8; e Lc 12,28) e il sostantivo oligopistia (cf Mt 17,20) sono propri del primo Vangelo e riferiti ai discepoli. E' interessante notare che l'aggettivo si trova sempre in contesti di affanni, tempeste sul mare, mancanza di pane e tensione; il sostantivo è usato in una situazione di insuccesso). Anche il verbo dubitare/distazein è usato solo in Matteo, qui e alla fine del Vangelo in 28,17 (dove alcuni discepoli dubitano di fronte al Risorto).

Finalmente, con Gesù sulla barca il vento si placa. I discepoli riconoscono il Signore, non è un fantasma ma il Figlio di Dio (anticipano la professione di fede che Pietro fa successivamente in Mt 16,16) e lo adorano.
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Barche e tempeste...

Ci sono due forti elementi simbolici: il mare e la barca. Sappiamo che il mare è simbolo di grande pericolo, caos e morte nella visione biblica. La barca è vista come simbolo della Chiesa nella tradizione patristica dei primi secoli, ma può essere vista anche in chiave esistenziale personale. Barca e mare sono inscindibili, per sua natura la barca deve compiere un cammino nel mare, lo deve necessariamente contattare e attraversare. A volte o spesso ci sono tempesta, buio e venti contrari, ed allora è difficile, si provano fatica e smarrimento. Questa è l'esperienza dei discepoli narrata nel Vangelo, è l'esperienza della Chiesa inviata al mondo nella storia ed è l'esperienza della nostra vita. Così, nel racconto evangelico possiamo intravedere sia la figura della Chiesa nel gruppo dei discepoli in barca, inviati dal Signore, sia la figura del credente in Pietro. Nell'andare verso l'altra riva, ossia verso ogni luogo, ogni persona, ogni popolo, ogni “altro”, accade di stare nella tempesta per una lunga notte. Quando Gesù si avvicina, i discepoli lo prendono per un fantasma e si turbano profondamente fino a gridare di paura. Non lo riconoscono, lo scambiano per qualcos'altro. Questo perché le paure, le agitazioni, le prove, vissute senza la consapevolezza della presenza del Signore, ci possono portare a non distinguere la realtà e a vedere, al suo posto, fantasmi.

Quando il Signore ci raggiunge camminando sul mare...

Proprio al centro e al cuore del racconto (v.27) Gesù raggiunge i discepoli camminando sul mare: è l'immagine del Risorto che vince la morte (mare/abisso) e la calpesta sotto i piedi. E' il Signore che si fa riconoscere con la sua Parola e invita a non avere paura proprio perché Lui è presente. E' Gesù che torna come Risorto e non abbandona la sua Chiesa/i suoi. Al Signore Pietro e noi possiamo chiedere ciò che solo Lui ci può dare: raggiungerlo calpestando la morte. “Se sei tu, comandami di venire da te sulle acque” (v.28): è un segno che Pietro cerca? Oppure è la certezza che solo Gesù può fargli compiere l'impossibile? Pietro non sta chiedendo una prova o una dimostrazione ma l'intervento di Dio nella propria vita, sta dando voce al desiderio e al bisogno profondo dell'uomo, bisogno di Dio e di vita eterna. E questoè anche il desiderio di Dio: “Vieni!”. Pietro cammina con lo sguardo fisso sul Signore ma poi le difficoltà prendono il sopravvento e allora comincia ad affondare e grida “ Signore salvami!” (v.31). Così accade a noi, vogliamo camminare verso Dio ma poi ricadiamo nelle paure e ci sentiamo l'acqua alla gola. Quanto ci appartiene il grido di Pietro! E' un grido “originario”, grido del cuore umano, grido del bisogno e della fiducia, espresso dall'orante in numerosi salmi (cf Sal 68,2).

La salvezza del Signore non tarda, arriva subito, insieme alla sua Parola che fa luce nel cuore: Pietro, hai poca fede; perché dubiti, ancora dubiti di Dio? La possibilità di camminare sulle acque e di non essere ingoiato dall'abisso mortale ha a che fare con la fede: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).

Immagini pasquali e battesimali...

Le immagini e i richiami che stanno sullo sfondo di questo racconto fanno riferimento alla Pasqua e all'esperienza battesimale. Gesù ha appena moltiplicato i pani ( figura dell'Eucaristia), è salito sul monte/in alto per stare con Dio (siede presso Dio), viene come Signore che calpesta il mare/ morte (Risorto), è riconoscibile e riconosciuto per la sua Parola che risuona all'orecchio della Chiesa (“Io sono”).

E poi c'è il mare e la mano tesa che salva Pietro dalle acque. Come non pensare al passaggio del Mar Rosso al tempo della pasqua esodica (promessa del battesimo secondo san Paolo, cf 1 Cor 10,2) e come non cogliere l'affondare di Pietro e l'essere salvato come il passaggio battesimale dalla morte alla vita?

Quale invito dal Vangelo?

Tutte le letture ci mostrano situazioni in cui il cuore è in agitazione e ansia. La prima e la seconda ci presentano Elia e Paolo che, per motivi diversi, vivono una esperienza di grande inquietudine. Il profeta teme di perdere la vita a causa di Gezabele, dopo aver dedicato tutte le sue energie a Dio, Paolo è in dolore e sofferenza perché il suo popolo non riconosce in Gesù il Messia.

Dal Vangelo ci raggiunge un invito forte: non dobbiamo temere, qualunque sia la tempesta che stiamo attraversando come persone o comunità. Addirittura è inevitabile e necessario fare esperienza di tempesta e di precarietà, perché in questo possiamo conoscere la verità della nostra fede e chiedere al Signore di fortificarla. In balia dei flutti e dei venti contrari, facciamo l'esperienza che solo la presenza di Gesù Risorto che sale sulla barca della Chiesa e della nostra vita può dominare la morte e tutto quello che porta con sé di paura e turbamenti. Gesù ci manda sempre ad un'altra riva, ma sta con noi da Risorto e ci dice: Coraggio, Chiesa, non aver paura! Coraggio miei discepoli, vivete quella fede bella e forte che avete ricevuto al fonte battesimale quando vi ho tratto fuori della acque di morte! “Io Sono, non abbiate paura!” (v.24).

 

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