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TESTO Commento su Matteo 17,1-9

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Trasfigurazione del Signore (Anno A) (06/08/2017)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Massimo Cautero

Episodio strano quello della Trasfigurazione di Gesù! Difficile capirlo subito, bello capirne il senso.

Nel tempo i vari esegeti hanno scritto molto, interi libri e forse biblioteche, su questo fatto evangelico, un fatto che ha lasciato in San Pietro una così vivida memoria che egli usa questo episodio, come abbiamo letto nella seconda lettura, per sostenere la grandezza e potenza di Gesù come direttamente confermate dalla voce del Padre che gli concede ogni onore e Gloria.

Una voce quella di Dio che non solo conferma la piena figliolanza di Gesù ma anche la persona nella quale Dio pone ogni amore e compiacimento.

Certo è che San Pietro, offrendo la sua diretta testimonianza storica, non si aspettava un'epoca, come la nostra, in cui per essere creduto devi, con ogni forza, “discolparti” e portare prove montagne di prove. Forse non si aspettava nemmeno un'epoca in cui il significato della Resurrezione, del dono della vita eterna che Gesù ci fa con la sua Resurrezione, fosse qualcosa di instabile ed incerto, scarsamente degno di attendibilità persino fra i battezzati stessi.

Probabilmente non si sarebbe nemmeno immaginato che dopo tanti martiri e testimoni della Fede, che in quasi duemila anni hanno servito Cristo e la sua Chiesa, la verità della Resurrezione fosse messa a margine e non a fondamento della vita dei singoli cristiani. San Pietro ci dà la sua parola su quello che è accaduto il giorno della Trasfigurazione sull'alto monte, ma il suo intento non è certo dare credito a se stesso ma dare forza ai suoi interlocutori - che possiamo benissimo essere noi oggi! - circa l'effettiva volontà del Padre di renderci, per amore, figli nel Figlio, che per questo ha ricevuto ogni Gloria ed onore necessari, anch'egli non per dare lustro a se stesso, ma per servire quell'umanità che grazie alla sua Passione, Morte e Resurrezione è destinata alla sua stessa Resurrezione, a quella vita Divina che è tutto ciò a cui un credente, un battezzato, dovrebbe aspirare.

Ciò che accade sull'alto monte è un concentrato dell'intera storia della salvezza, Antico e Nuovo Testamento, possiamo dire la vera e giusta anticipazione di quell'epilogo che sarà la realizzazione del piano di salvezza, del come e da chi la salvezza sarà realizzata, ma anche della Gloria luminosa che appartiene a chi salva e di cui riflette e gode chi viene salvato.

Nella non facile comprensione del brano due sono i messaggi comprensibili immediatamente: Il FINE che è la Resurrezione ed il PRINCIPIO che è la Parola - cioè Gesù stesso - che va ascoltata! Tra il fine ed il principio si gioca la nostra identità di figli, la nostra fede, il nostro essere per la Resurrezione. La trasfigurazione è poi proposta a noi, e prima di noi ai discepoli sul monte, in maniera tale che la libertà umana possa dire la sua, anche balbettando sciocchezze (vedi le parole di Pietro!), ma con il preciso invito di meditare nel silenzio, almeno finché non si prenda sul serio, nella vita, nelle speranze, nella storia la Sua Resurrezione come la resurrezione di tutti. Prendere sul serio la Resurrezione è accogliere il dono dei doni: i discepoli, scendendo dall'alto monte, vengono invitati da Gesù a non parlare di ciò che avevano visto prima della sua Resurrezione, sicuramente perché se i discepoli avessero raccontato, senza prima aver vissuto, avrebbero parlato senza l'accoglienza del dono, senza la verità del fine del loro essere e quindi rischiato di raccontare solo di un fatto, un accadimento che, per quanto vero e straordinario, non avrebbe comunicato la verità del loro essere stesso, cioè essere per la resurrezione per i meriti e dono di Dio in Cristo e non per altro.

Di fatti portentosi e straordinari è pieno il mondo e la storia degli uomini, la Trasfigurazione, pur potendo rientrare in essi, non appartiene a questa categoria ma alla categoria della “verità che salva” o della “verità che indica la strada giusta della salvezza”. Ciò che i discepoli vissero ed oggi noi celebriamo rivivendo, nella liturgia della Chiesa, è sì la verità che salva ma che salva coinvolgendoci nella strada, domandando la nostra collaborazione e adesione. La parola “trasfigurazione”, non indica una semplice metamorfosi ma un passaggio di significato dell'essere di tutto ciò che già noi oggi viviamo: trasfigurare il mondo, le persone, la società, la mia esistenza vuol dire, innanzi tutto, guardare tutto sotto quella luce divina ed increata che tutto avvolge ed illumina come la nube dell'alto monte, la stessa luce di Dio che già vede tutte le cose trasfigurate nel bene che esse sono e saranno, nella Gloria di quel figlio amato capace di fare tutti gli uomini fratelli e quindi figli dello stesso Padre. Dopo aver guardato in e con quella luce noi discepoli siamo invitati ad andare e trasfigurare, a nostra volta, le realtà a cui siamo chiamati, non con la nostra forza ma con la stessa luce di Gloria nel quale il Padre riconosce anche noi come figli amati, figli che chiama con le stesse parole con cui indica il Figlio al Battesimo al Giordano e sull'alto monte, e che non si stanca di ripetere ogni volta che qualcuno diviene figlio nel Figlio fin dal giorno del suo battesimo.

La liturgia eucaristica che vede oggi il ricordo della Trasfigurazione è la nostra odierna occasione in cui celebriamo la vittoria nell'evento pasquale di Gesù. Il pane eucaristico che mangeremo è esso stesso concentrazione di quella trasfigurazione a cui siamo invitati anche noi a trasfigurarci per trasfigurare il mondo. Se pensiamo ancora di dover star zitti aspettando chissà che cosa da Dio o da Gesù, rimandando l'annuncio del Vangelo e della Verità a favore di chissà quale “bon ton” religioso o “politicamente corretto”, a cui le fioche luci di questo mondo ci richiamano od addirittura obbligano, non possiamo assolutamente dire di vivere in quella luce divina che questo mondo lo vuole trasfigurato al bene e all'amore.

Non esistono più e non possono esistere più, dopo la certezza della nostra salvezza che Gesù ci ha donato, tentennamenti o fraintendimenti: l'opera della trasfigurazione nella luce divina e affidata a noi che la viviamo, l'ascoltiamo e, addirittura, la mangiamo.

L'annuncio della gioia, dello sfolgorare di Gesù sul Tabor e sopratutto del mattino di Pasqua, della voce che ci chiama “figli amati”, non può essere rimandato, il germe della Gioia deve essere sparso. Non pensiamo più che dobbiamo “cambiare il modo” - questa io personalmente l'ho sempre sentita una falsa affermazione! - pensiamo, piuttosto che il mondo aspetta di essere trasfigurato, condotto ad un fine di Gloria e di Luce, e noi non siamo qui per “aggiustare” questo mondo ma per incendiarlo, non con le fiamme della Geenna, ma con la Luce della Gloria dei Figli di Dio, con l'amore di un Padre che si compiace dei suoi figli e non ne vuole perdere neppure uno.

 

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