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TESTO Commento su Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/07/2017)

Vangelo: Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 13,24-43

In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Forma breve (Mt 13,24-30):

In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

Continuiamo in questa domenica la meditazione del 13° capitolo dell'Evangelo di Matteo in cui l'evangelista raccoglie le "parabole del Regno". In esse il "Regno" viene presentato non come realtà futura, ma come realtà attuale, presente qui e ora nella nostra storia quotidiana e nei nostri spazi geografici di singoli, di coppie e di famiglie. Gesù conosce bene l'animo umano; ne conosce il mai sopito delirio di onnipotenza. Ognuno di noi - anche se non vorrebbe mai ammetterlo - crede di essere migliore degli altri. Ogni persona saprebbe come risolvere un caso che angoscia l'altra. Ogni famiglia avrebbe molte cose da insegnare alle altre famiglie... Ci sentiamo onnipotenti, inattaccabili, sappiamo tutto, come altrettanti déi. Voi sarete come Dio... promette il Divisore ai mitici nostri progenitori. Come dire: "Voi sarete Dio" e, oltretutto, ne siamo abbastanza convinti.
Ma Gesù rompe questo cerchio assurdo e folle e ci racconta la nostra storia. Per farlo, negli incontri pubblici con le folle che lo seguono, o nell'atmosfera più raccolta, ma egualmente cordiale, del suo quotidiano rapporto con i discepoli, egli utilizza abbondantemente il genere letterario delle parabole. "Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste sin dalla fondazione del mondo"(Mt 13,35). Ricordandoci questa affermazione di Gesù, Matteo esprime due preoccupazioni: una teologica e l'altra pastorale. Quella dell'evangelista è una comunità di origine giudaica, ancora fortemente segnata dalla predicazione della Sinagoga e dalla pedagogia del Primo Testamento: una comunità nella quale la novità del messaggio di Gesù deve fare i conti con le tendeste separatiste e puriste dell'ebraismo dell'epoca. Nei confronti della sua comunità, Matteo deve dunque sforzarsi di collegare la vecchia alla nuova Legge, di vedere la prima come "profezia" della seconda.

Tre sono le parabole che in questa domenica l'Evangelo ci fa meditare: quella del grano e della zizzania, quella del granellino di senape, e infine quella del lievito. Un sottile filo rosso le attraversa.
Nella parabola del grano e della zizzania, i semi dei quali si sono confusi quando, con gesto largo, il seminatore li ha fatti cadere nel campo arato, Gesù denuncia la nostra fretta epurativa. Buon grano e zizzania sono cresciuti assieme, e che deve dunque fare il contadino? Separare il grano dalla zizzania prima della mietitura? No, dice il Signore: lasciate che crescano assieme, quando giungerà il kairòs, il tempo opportuno, separerò il grano buono dalla zizzania cattiva. Il fatto è che noi non ci stiamo alla battuta. Siamo impazienti. Vorremmo subito mettere da una parte i buoni, dall'altra i cattivi, il nostro posto essendo evidentemente tra i primi.
Non è solo una pretesa nostra in quanto singoli, ma anche - spesso - della nostra comunità cristiana. Quante volte parliamo di "misericordia", proclamiamo di voler dare accoglienza al "diverso" e al "lontano" (una parola che, significativamente, non abbiamo ancora abolito dal nostro vocabolario) senza riuscire peraltro a liberarci da un pregiudizio di fondo: noi siamo i "buoni" che accolgono i "cattivi", noi siamo i ricchi che accolgono i poveri, noi siamo i puri che accolgono gli impuri. Insomma, noi siamo perfetti e, grazie o Signore che non ci hai fatto come "quelli là". Noi non sbagliamo mai. Se in famiglia un figlio ha qualche problema, non è certo colpa mia: è colpa di mia moglie, dei nonni, della società, della scuola, dell'oratorio... Non ammettiamo mai la nostra fragilità, non ci sentiamo zizzania, abbiamo bisogno di sentirci sempre grano, giusti dalla parte giusta. La cosiddetta "misericordia" non ha il significato che le avrebbe dato Gesù, Lui, "il padrone della forza che giudica con mitezza" (cf Sap 12,18); un significato che peraltro possiede anche etimologicamente: un cuore umile e povero. Solo con un cuore umile e povero potremo accogliere il "diverso", la donna abbandonata dal marito (o il marito abbandonato dalla moglie) che attraverso l'angoscia della loro fragilità e del loro fallimento hanno finalmente scoperto un nuovo modo di amare e di essere amati. O i rom e i sinti, e tutti gli extracomunitari che, siamo sinceri, un po' ci disturbano con la loro diversità... e ben vengano dunque le leggi liberticide, la chiusura delle frontiere, i "numeri chiusi" dei politici nostrani. "Non sentiamoci in colpa se non possiamo accogliere tutti...", afferma qualcuno di questi politici. E allora, che facciamo? Li lasciamo travolgere dalle onde e morire in mare...?... Gli esempi potrebbero continuare.
E vengono ancora spontanei alla mente i riferimenti alle guerre di religione, alle crociate contro gli "infedeli", allo zelo inquisitorio condotto per la "maggior gloria di Dio", alla vergogna dell'Olocausto. E ben venga papa Francesco che non perde occasione per denunciare questi modelli inammissibili per ogni coscienza umana e cristiana. Ma il rischio di ricadere in questi modelli è pur sempre presente. La violenza non è solo la guerra, anche se la guerra è sempre ingiusta violenza. Non solo con le armi si esercita il dominio, ma anche con le leggi e con i riti. Il dissenso non è solo represso dalle strutture militari e poliziesche, né dai loro idranti, ma anche dal rifiuto di accettare la diversità di opinioni, e talvolta anche dalle comunità ecclesiali. Il gesto di papa Francesco, che è andato a pregare sulle tombe di don Milani e di don Mazzolari, dovrebbe farci riflettere.

Anche la parabola del granello di senape ci porta sul medesimo registro. Un piccolo seme fa crescere un grande albero. Ma a noi piacciono le cose piccole, nascoste? No, ci piacciono le cose grandi, ci piace essere sempre dalla parte dei potenti, del vincitore. Grande tentazione, questa, per la nostra Chiesa. Quale Chiesa vogliamo costruire assieme? Una chiesa visibile, presente al mondo, come una nave che solca il mare attraversandone imperterrita le burrasche, oppure una chiesa piccolo seme, presente nel mondo, senza mondanizzarsi, senza cioè essere del mondo, una Chiesa che non tratta con i potenti di questa terra per avere dei benefici, benefici di qualsivoglia natura, ma che si fida della parola del suo Signore, e che sa essere sale nella vivanda e, come ci ricorda la terza parabola, lievito nella pasta.
Stupende le letture di questa domenica! Ci dicono di accettare la nostra fragilità personale, di coppia, di famiglia e di comunità e la nostra povertà: non esistono persone perfette, né una coppia perfetta, né una società perfetta. Ma - la parola del Signore non lascia dubbi - "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi... (Rm 8,26). È quando siamo deboli che siamo forti. Ci dicono inoltre di accettare non solo che all'interno della nostra comunità ci sia grano e zizzania, ma che la nostra stessa comunità è - al contempo - grano e zizzania, santa e peccatrice. Ci suggeriscono di accettare che l'uno e l'altra, il grano e la zizzania, crescano assieme, anche nelle nostre famiglie, che non sempre sono "perfette" come le vorremmo, perché possiamo capire la bellezza della varietà e, nel contatto con esse, essere quel piccolo seme che fa crescere un grande albero, quel pugno di lievito che fermenta dal di dentro la pasta. E soprattutto ci dice di rifiutare sempre la tentazione di essere maestri, ma sempre e soltanto discepoli. Di tutti.

Traccia per la revisione di vita.
- Ci accettiamo, in coppia e in famiglia come siamo? Con le nostre debolezze e le nostre fragilità? Oppure vogliamo apparire migliori di quanto siamo? O ancora vogliamo cambiare l'altro sulla base dei nostri parametri comportamentali?
- Sappiamo perdonare non in modo ostentato, sentendoci e credendoci migliori della persona che abbiamo perdonato, ma umilmente, nel profondo dell'intimità e del cuore?
- Ci rendiamo conto che siamo incapaci, con le nostre sole forze, di farci carico del peccato del mondo?
- Confidiamo nello Spirito che viene in soccorso della nostra fragilità e della nostra aridità, e che - quando non sappiamo neppure trovare le parole per pregare - è Lui stesso che prega in noi e per noi?

Luigi Ghia Direttore di "Famiglia Domani" - rivista dei CPM italiani

 

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